Dopo gli applausi alla convention di Confindustria, il passare delle settimane, e l’accumulo di criticità nell’agenda politica istituzionale, il futuro di Mario Draghi si è fatto più incerto. E qui parliamo di “Mario Draghi” ovviamente senza riferirsi tanto alla persona fisica, o alle ambizioni personali, ma alla rete di potere che Mario Draghi rappresenta: una rete dove si sovrappongono poteri finanziari, di governance istituzionale e interessi di grande capitale.
Di qui si comprende come, nel 2020, sia accaduto che il governo Conte, che era comunque riuscito a portare in Italia oltre 200 miliardi di contributi UE di varia natura con il Recovery, sia stato fatto saltare dagli interessi di questa rete che mirava a gestire direttamente la fase successiva, quella del PNRR. Dopo un anno a Palazzo Chigi “Mario Draghi”, grazie anche alla scadenza dell’elezione del presidente della repubblica, è a un bivio: o consolida il proprio potere o subisce un processo di logoramento magari anche repentino.
Questo anche perché il processo di logoramento, all’interno della stesse rete di “Mario Draghi”, è cominciato da tempo visto che gli stessi partiti che compongono la sua maggioranza, e anche la rete che lo ha portato a Palazzo Chigi, hanno messo in difficoltà le scelte dell’esecutivo (su episodi che appaiono dettagli ma non lo sono: dal superbonus alla riforma fiscale). L’ideale per praticamente tutto l’arco parlamentare oggi sarebbe questo tipo di percorso: un presidente della repubblica diverso da Draghi, elezioni nel 2023 e l’ex presidente della BCE a capo della commissione UE nel 2024 a giocare un ruolo preciso: rompere quanto possibile con il rigore di bilancio europeo che ha caratterizzato gli anni dieci. Significherebbe un ruolo per i partiti, una maggiore dotazione di spesa (sulla cui qualità bisogna però dubitare) e un ruolo principe nella politica globale per l’attuale presidente del consiglio.
Certo, che lo stesso “Mario Draghi” abbia dei dubbi su questo schema lo si vede dal fatto che, prima di Natale, Mario Draghi si è autocandidato presidente della repubblica, mettendo in discussione il suo stesso ruolo a Palazzo Chigi, con un atto di forza che prova le difficoltà e i conflitti che attraversano i gruppi di potere all’interno delle istituzioni. Come andrà a finire? In uno scenario complicato, anche dalle difficoltà che possono attendere il nostro paese tra possibile aumento dello spread e costo alto dell’energia, fare pronostici non aiuta a capire cosa sta accadendo.
Siamo di fronte a tre possibilità: Draghi presidente, e l’eventuale grado di autonomia del governo dal presidente della repubblica ci darà la cifra dello stato delle istituzioni; Draghi semipresidente, ovvero presidente del consiglio del quale va capita la prospettiva (es. presidente del consiglio anche per la prossima legislatura invaliderebbe sostanzialmente le elezioni); Draghi magnifico uscente e qui andrebbe capito verso dove e perché.
Ogni anno si apre con particolari incognite politiche, il 2022 contiene queste che non riguardano tanto il gioco del potere ma i modi che le istituzioni hanno per reagire agli choc del prossimo periodo.
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