Stranamente non si è ancora sentito un qualsiasi strisciante parlamentare del PD alzare la voce contro la puntata di Report di lunedì 2 maggio, che ha mandato in onda un fulminante servizio di Manuele Bonaccorsi (ex Left e altre testate vicine) dal fronte più caldo in Ucraina: I sommersi e i salvati di Mariupol.
Senza nulla concedere alla propaganda russa (ha persino svergognato un contemporaneo servizio che i media di Mosca stavano registrando sul famoso teatro cittadino colpito da un bombardamento), il semplice girare per la città fantasma ha alzato il velo sulla realtà sociale dell’Ucraina.
Che è composita, essendo quel paese stato “assemblato” ai tempi dell’Unione Sovietica mettendo insieme l’Ucraina storica, con territori (e popolazione) russi, come la Crimea (guardate i nostri libri di storia delle scuole medie, per accorgervene) o il Donbass, o addirittura ex polacchi (come la regione di Leopoli) e ruteni (la regione al confine con Ungheria e Slovacchia).
Una composizione che permetteva, ancora nel 2014, ai russofoni (quelli che parlano il russo come lingua madre) di vincere le elezioni. A dimostrazione che le percentuali “etniche” erano quasi paritarie, componendosi e scomponendosi ulteriormente a seconda delle “ideologie” o dei “valori condivisi” (liberali, comunisti, socialisti, nazisti, ecc).
Com’è noto, le percentuali elettorali preminenti permettono a volte di accedere al governo, ma non assicurano il potere. E infatti il golpe di Euromaidan, organizzato e finanziato dagli Stati Uniti, realizzato materialmente da nazisti e mercenari, mise le armi al posto di comando, rovesciando il risultato delle urne. Il potere militare mal si concilia con la “democrazia”, ne converrete.
Quel nuovo potere ultranazionalista ucraino – Pravij Sektor e altre formazioni naziste fecero parte di quel governo guidato da Arsenij Jatseniuk – tra i primi provvedimenti proibì l’uso della lingua russa. Si può immaginare come venne presa la cosa in quelle parti di territorio dove i russi erano stragrande maggioranza.
La Crimea indisse un referendum vinto con percentuali vicine all’unanimità. E i nazisti non osarono neppure attaccarla, visto che il capoluogo, Sebastopoli, è anche la base della flotta russa del Mar Nero. Più complicata la situazione in Donbass, dove la guerra di aggressione alle repubbliche di Donetsk e Lugansk si trascina appunto da allora (14.000 morti).
Dal servizio di Report emerge che Mariupol è (era) una città con una forte presenza russa. Gli abitanti intervistati, quelli che non se ne sono andati verso i territori controllati dall’Ucraina, lo dicono con molta forza.
E spiegano con altrettanta semplicità il comportamento delle truppe naziste: piazzavano le loro batterie contraeree o i carri armati tra le case civili o addirittura sui tetti.
Vi sembra poco credibile? Beh, basta che ascoltiate i vaneggiamenti nazisti dei comandanti del battaglione Azov – riprese da una tv francese, non certo italiana, durante l’evento Pace Proibita, di Santoro e Vauro – quando descrivono i cittadini ucraini di lingua russa come untermenschen, spazzatura, e altri epiteti poco amichevoli. Potete verificare da soli, intorno all’ora e 10 minuti (le riprese durante la strage di Odessa, 2 maggio 2014) e intorno all’ora e 52.
Vi sembra così strano che abbiano ritenuto di poterli tranquillamente usare come scudi umani? Bombardassero pure, i russi. Avrebbero colpito i loro fratelli. Sia detto poi sommessamente: nascondersi tra i civili è un crimine di guerra, a rigor di diritto internazionale.
Quel che insomma viene fuori da questa testimonianza è che la guerra è in questo caso anche una guerra civile, innescata dai nazisti ucraini (che qualche “professionista dell’informazione” ha provato a presentare come dei “semplici” nazionalisti quasi democratici) e fomentata dagli Stati Uniti, per allargare la Nato a est. Lo dice anche il Papa, che ha sicuramente informazioni migliori delle nostre, magari provenienti “dall’Alto”.
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