La maggior parte dei contratti internazionali per la fornitura energetica sono scaduti a fine Aprile e si stima un 250% di aumento dei prezzi rispetto al 2021. In gran parte ciò è effetto delle manovre speculative sui mercati del comparto energetico, già intervenute ben prima del conflitto ucraino (pur se gli indirizzi statunitensi verso una crisi militare in Ucraina erano già chiari) ma in parte è la logica conseguenza di una contrazione dell’offerta a fronte delle sanzioni contro la Russia, che altera in profondità l’andamento del greggio sui mercati.
Le proiezioni sull’incremento dei costi per l’approvvigionamento energetico indicano un aumento del 50% già maturato nel primo trimestre di quest’anno; il che significa che proiettato sui dodici mesi produrrà un aumento pari almeno al 200%. Sarà il gas degli Stati Uniti la soluzione al mancato arrivo del gas russo? Secondo ilSole24Ore, pubblicazione non certo ipotizzabile come antistatunitense, chi ha acquistato il gas dagli Stati Uniti a Dicembre, ha speso il 50% in più di chi lo ha acquistato dalla Russia e, se invece di farlo direttamente con un contratto di fornitura tra stati, lo ha fatto reperendolo sul mercato con la mediazione di una compagnia energetica, è arrivato a spendere il 250% in più di quanto si spende con i russi.
In prospettiva a breve-medio termine il quadro è abbastanza problematico. Per l’Europa la fine delle importazioni di gas russo rappresenta un autentico macigno scagliato sui suoi stessi piedi, visto che il 27% del petrolio, il 46% del carbone e il 40% del gas provengono da Mosca. Il punto più alto del suicidio economico lo si raggiunge con gli acquisti di gas dall’India, che compra il gas dalla Russia e ce lo rivende aggiungendo la sua quota di guadagno. Questa strategia idiota ci costa il 40% in più a metro cubo e qui si misura la genialità di Draghi, il cui fanatismo atlantista verrà messo a carico dei nostri conti pubblici e delle utenze private di tutti noi.
Per Washington invece, i contraccolpi delle sanzioni nel comparto energia contro la Russia sono relativi. Gli USA sono produttori ed esportatori di energia e le importazioni dalla Russia non superano l’8% del petrolio raffinato, il 5% del carbone ed un misero 0,5% del gas. Non è un caso che il Fondo Monetario Internazionale prevede una decrescita del PIL mondiale dell’1%, di quello europeo dell’1,1%, con punte per l’Italia del 1,5% e della Germania dell’1,7, mentre per gli USA la perdita sarà dello 0,3%.
Anche sul piano militare la rottura tra Bruxelles e Mosca per Washington avrà un suo importante ritorno con l’aumento delle spese militari per il rafforzamento ed ampliamento della NATO (le cui forniture sono rigorosamente statunitensi). Dunque sotto ogni profilo la fine della relazione politica, commerciale e culturale tra Europa e Russia determinerebbe una rottura che si ripercuoterebbe positivamente per Washington nel disegno dell’ordine mondiale unipolare.
Appaiono dunque evidenti la finalità statunitensi nel voler produrre una interruzione totale del gas russo in Europa: tanto l’economia russa come quella europea saranno seriamente danneggiate dalla fine dell’import/export, mentre gli USA ci guadagneranno vendendo il loro gas e a prezzi maggiorati e indebolendo le economie di due tra i maggiori competitor economici. Non è solo un vantaggio congiunturale, bensì strutturale, perché il guadagno maggiore sarà di natura geopolitica: l’interruzione delle forniture con la Russia porterà l’Europa alla dipendenza dagli USA per il comparto energetico, che si aggiungerà alla dipendenza militare e politica, configurando così, oggettivamente, una relazione tra USA e UE di sostanziale dipendenza totale, a tinte neocoloniali.
Per l’Europa è uno snodo decisivo. Dovrà procedere dentro ad una nuova configurazione dell’ordine mondiale che, invece di vederla protagonista, in grado di rappresentare istanze di multipolarismo e centralità di un continente dalla straordinaria importanza politica ed economica, la trova supina e politicamente dipendente dall’egemonismo unipolare statunitense. Le conseguenze saranno dure sul piano economico e politico.
La guerra ha cambiato e cambierà ulteriormente il quadro internazionale geostrategico e l’Unione Europea, avendo abdicato ai suoi interessi, assiste ora impotente ed ininfluente al consolidamento di un nuovo asse internazionale che punta ad un modello di governance alternativo a quello unipolare imposto dall’Occidente. È un modello concepito sulla somma degli interessi e sulla reciprocità degli stessi tra paesi con le economie emergenti: prima fra tutti la Cina, quindi l’India, la Russia, l’Iran, il Pakistan, il Sudafrica, l’Indonesia, il Brasile, il Messico, la Nigeria, la Turchia e altri ancora.
Sono Paesi dalle identità completamente differenti, ma uniti dal rifiuto del modello a comando unipolare e che rivendicano nella dimensione demografica e nella generazione di ricchezza, nel progresso tecnologico così come nelle risorse terrestri e marine, nel controllo delle vie di comunicazione e nei dispositivi militari, un ruolo di direzione politica del pianeta da affiancare a quello dell’Occidente.
I riverberi drammatici sull’Italia
Dentro lo sfacelo dell’Europa, l’Italia uscirà con le ossa rotte. Economicamente siamo uno dei paesi che pagheranno il prezzo più alto. L’abbandono del gas russo e il rivolgersi a quello USA, algerino, qatariota, egiziano e angolano appare una follia economica: oltre a spendere il 50% in più su una bolletta già pesante, non produrrà uguale volume di gas, risultando alla fine meno di un 60% di quanto necessario. La conseguenza ovvia è che l’assenza di una fornitura sufficiente metterà in ginocchio l’economia.
Non si tratta, infatti, di spegnere i condizionatori, come con demagogia d’accatto ha affermato Draghi, perché l’impatto non avverrà solo sul riscaldamento delle nostre case. L’uomo col ghigno di Goldman Sachs dovrebbe sapere che la ripercussione più dura sarà sul comparto industriale – fabbriche e piccole e medie aziende – così come sull’intera filiera della distribuzione delle merci e sulla stessa erogazione dei servizi. Entreranno in crisi tutti i settori della società con conseguenze sul welfare residuo e sui settori come istruzione, sanità e ricerca. Potremmo dire addio alle già difficili ipotesi di ripresa economica post-pandemia e il ricorso ad un ulteriore indebitamento, in parallelo con una riduzione della spesa sociale, produrrà una crisi economica ancor più grave di quella del 2018.
Un colpo durissimo sul PIL che arriverà direttamente sulla competitività delle imprese alla cui riduzione farà seguito un ampliamento del ricorso agli ammortizzatori sociali e ad una estensione della disoccupazione, con conseguenze sulla spesa sociale pesantissime per un Paese già indebitato oltre ogni misura e che, comunque, aumenterà di diversi milioni gli italiani che vivranno vicino o addirittura sotto la soglia di povertà. In una situazione che i demiurghi del monetarismo isterico definiscono già in buona sostanza insostenibile, appare dunque almeno strano che un elemento tutto politico di scontro con la Russia sia praticabile, anzi auspicabile, vista la sua insostenibilità economica.
Il paese che solo all’inizio degli anni ’90 era divenuto la settima potenza economica mondiale, pur con dimensioni territoriali ed anagrafiche alla fine modeste, è oggi seppellito economicamente dal debito pubblico e politicamente dalla totale irrilevanza sulla scena internazionale. Colpa anche di una classe politica stracciona e di un giornalismo cialtrone, l’Italia non ha più un ruolo, non ha un obiettivo e non dispone di un progetto politico che vada oltre l’obbedienza cieca agli Stati Uniti.
I sondaggi, unanimemente, indicano come la stragrande maggioranza degli italiani non condivida le decisioni del governicchio mai eletto e frutto di un inciucio parlamentare. Siamo in presenza di una scollatura profonda con percentuali di opposizione dei cittadini verso l'operato del governo assolutamente inedita nella storia della Repubblica. Il che non deve stupire, giacché il discrimine su pace e guerra corre trasversalmente e tiene insieme anche sensibilità politiche diverse, agli antipodi in alcuni casi. Ma andrebbe rispettata una opinione pubblica che invece si cerca – con pessimi risultati ma a reti unificate – di manipolare e condizionare facendo attenzione a nascondere la verità sulla guerra, i suoi motivi, la politica dell'Italia e la direzione che dovrà prendere. Addirittura – unico in Europa – il governo arriva alla secretazione sulle forniture militari pure decise da un voto parlamentare, segno evidente di un procedere inconfessabile e molto diverso da quello che si dichiara.
Tutti ricorderanno un governicchio che non vede l’ora di portarci in guerra, che privilegia la fedeltà alla NATO piuttosto che quella verso l’Italia e la Costituzione sulla quale ha giurato. In prima fila c’è il PD, passato dall’entusiasmo europeista del “ce lo chiede l’Europa” al ruolo di ventriloquo della Casa Bianca per permettere all’omino che lo guida di tornare a Palazzo Chigi. Tanto dannunzianesimo dei nostri politicanti, che nelle TV si dichiarano pronti al sacrificio dall’alto dei loro redditi a sei zeri e guardano con indifferenza chi non arriva alla fine del mese, sembra davvero fuori luogo oltre che di cattivo gusto e politicamente suicida. Nessuno dimenticherà partiti e giornalisti che hanno remato perché la guerra divenisse possibile, sia i politicanti da strapazzo ansiosi di dimostrare a Washington di essere le pedine giuste, che gli hooligans con microfono e telecamere desiderosi di farsi tribuni a share ridotto. Andrebbero perseguiti per alto tradimento nei confronti degli interessi nazionali.
Sopra e sotto le nostre miserie e quelle di un establishment al quale sarebbe pericoloso dare in gestione anche un condominio di periferia, ci sono gli interessi peggiori. La responsabilità degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nel conflitto sono evidenti, così come l'incapacità dell'Europa di difendere i propri interessi e bisogni; in una parola, la sua capacità di imporre la propria governance. Se con la guerra nell'ex Jugoslavia gli USA misero in difficoltà la nascita dell'UE, con la guerra in Ucraina ne hanno decretato la fine.
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