“Molti vedono solo un disordine privo di senso laddove in realtà un nuovo senso sta lottando per il suo ordinamento”
(Carl Schmitt, Terra e mare)
(Carl Schmitt, Terra e mare)
Pare evidente, e l’inizio della guerra russo-ucraina è una prova di quelle serie, che la società sia uscita dalla politica. Certo non è la prima volta che accade, di fronte a crisi sistemiche, quindi si tratta di delineare una riflessione su questo fenomeno.
Il primo aspetto da considerare è che, da tempo, almeno dall’inizio degli anni ’90, nelle società occidentali il nesso tra conflittualità ed efficacia è venuto progressivamente meno. Quello che negli anni ’70 si chiamava, nel linguaggio militante, “il dividendo delle lotte” è ridotto ai minimi termini mentre la conflittualità, piuttosto che uno strumento di emancipazione, assomiglia sempre più all’espressione di profondi livelli di anomia sociale, di sfiducia collettiva verso ogni genere di aggregato costituito dalle istituzioni alle residue forme della politica. La teoria della conflittualità sociale più matura, espressa sempre durante gli anni ’70, vedeva un nesso evolutivo – sinteticamente chiamato lotte/ristrutturazione/lotte – che permetteva, una volta seguite le dinamiche di ristrutturazione produttiva, d’individuare le nuove dinamiche di conflitto in una società in continua mutazione. Oggi le dinamiche di conflittualità – che emergono da ristrutturazioni produttive, mutazioni tecnologiche ed evoluzioni sociali – oltre a produrre pochi “dividendi” si presentano in forma anomica, disorientate e prive di reale potenza mentre prevalgono la spoliticizzazione o ideologie così culturalmente povere da somigliarli. Le cause sono profonde – da quelle demografiche, assolutamente ignorate specie in materia di degradazione del legame politico, alle caratteristiche della nuova divisione del lavoro (che riducono la politica a simulacro) al fatto che l’attuale società della conoscenza è gerarchica e lascia, a fondamento del proprio potere, la base della società senza un sapere reale da spendere in una attività complessa e permanente come la politica.
Se andiamo quindi a leggere un fenomeno evidentissimo come lo scarto, emerso nei sondaggi di opinione, tra basso consenso all’appoggio italiano alla guerra in Ucraina e il conformismo politico del governo, rispetto alle scelte della Nato e degli Usa, questi fattori pesano: una società non più immediatamente conflittuale, o non ancora in grado di elaborare forme nuove ed efficaci di conflitto, spoliticizzata si esprime con un distacco rispetto alla guerra, rilevato dai sondaggi e non da una reale voce autonoma, che non si traduce in pressione e mobilitazione efficaci. Del resto – se guardiamo a un periodo piuttosto lungo dalla prima guerra del golfo fino a oggi – le mobilitazioni pacifiste servono più come complesso rituale collettivo di passaggio all’esperienza della guerra che come strumento di efficace pressione politica. Anche stavolta, infatti, all’effervescenza, per quanto di diverso segno, della mobilitazione iniziale in tutto il continente dopo l’inizio della guerra ha fatto seguito un silenzioso, per quanto doloroso, adattamento alla logica bellica del conflitto russo-ucraino.
Non siamo di fronte a un fenomeno di consenso passivo, come chiamava Gramsci nei Quaderni questo genere di eventi commentando Mirskij, lo storico della letteratura russa. Siamo piuttosto di fronte a una manifestazione di alterità che non trova, e al momento neanche conosce, sbocchi politici. Cosa può cambiare questo scenario? Sicuramente il fatto che questa guerra non ha scadenza ed è troppo vicina, come impatto sulla società italiana in termini materiali ed economici ma anche di devastazione culturale, da essere ignorata in questa caratteristica. Il conflitto russo-ucraino, se continua con i suoi effetti materiali nella nostra società, è destinato a sollecitare, anche profondamente, le forme di anomia e di sfiducia istituzionale quindi a mettere in crisi i processi omeostatici attuali. Processi fatti di adattamento ed equilibrio tra società e istituzioni composto, paradossalmente, da una spoliticizzazione che non mette in discussione l’ordine esistente. Del resto i cartelli elettorali eredi dei partiti di massa non sono in condizioni di debolezza tanto differenti dalla società, oggi adattata a pura opinione pubblica: non esprimono un profilo di governo, in un precario equilibrio con un presidenza del consiglio che deve sopravvivere sia di consenso interno ma anche entro una governance globale in fibrillazione, e tantomeno una prospettiva storica riconoscibile. Si tratta di cartelli elettorali che, da una parte, sono espressione di una rappresentanza d’interessi di corto respiro mentre, dall’altra, sono il riflesso di una società spoliticizzata il cui riflesso anomico e polimorfo è anche un fenomeno da sfruttare elettoralmente con proposte politiche mordi e fuggi. Complessivamente, la riduzione della sfera politica a fenomeno periferico della società, è avvenuta anche se in termini diversi da quanto prefigurato dalla letteratura sociologiche dei decenni passati visto che, invece di ordine e benessere, abbiamo caos e impoverimento.
Quello che non ci si deve attendere, in una situazione russo-ucraina di questo tipo, con dinamiche di sterilizzazione dei conflitti profonde e datate, è il lampo che, dal nulla, rovescia l’ordine costituito. Quello che, invece, ci si può attendere è qualcosa che somiglia alla sovrapposizione di grandi e piccole scosse, stimolate dagli effetti materiali della guerra russo-ucraina, che magari non esprimono un linguaggio compiuto ma un processo di debilitazione permanente dell’ordine istituzionale del nostro paese. Cosa voglia dire fare politica entro uno scenario simile, che tocca tutto il nostro continente, è presto detto: prevale chi è in grado di coltivare processi di comunicazione, e quindi di connessione, egemoni in questo genere di multiverso sociale anomico e polimorfo; si fa ascoltare chi ha parole d’ordine nette, non gergali ma nemmeno dal generico richiamo; ha una prospettiva, oltre la contingenza, chi riesce a incidere, e invertire, le dinamiche di diseguaglianza di una società nella quale il gap economico, ma anche tecnologico e conoscitivo, si è fatto fortissimo.
Schmitt, che all’epoca di Terra e mare esprimeva una antropologia politica negativa di fondo, come abbiamo visto, parlava di un nuovo ordine giuridico-politico che si fa spazio proprio quando la sua lingua sembra incomprensibile. In realtà è una nuova complessità, piuttosto che un nuovo ordine, quella che emergere. Un fenomeno che non ha molto a che fare con l’ordine quanto con la compenetrazione di ordine e caos che caratterizza ogni complessità quindi ogni realtà. Se la guerra in Ucraina continua, visti i prevedibili riflessi sul nostro paese, il suo essere senza visibile scadenza avrà un impatto sulle evoluzioni della nostra complessità sociale. Vedremo se tutto questo cambierà le dinamiche di spoliticizzazione diffuse del nostro paese oppure se interverranno fatti nuovi.
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