Mentre i media di regime cercano di costruire una finta conflittualità tra “partiti” che ancora sostengono lo stesso governo – Draghi e la sua “agenda” – il mondo va incontro a problemi che ridicolizzano le “promesse” di questo o quel lestofante della politica nazionale.
Il primo di questi problemi è la crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni occidentali alla Russia, che si stanno rivelando più un suicidio che un’arma di offesa.
Il prezzo del gas sul “mercato spot” è salito fino a 250 dollari per megawattora. All’inizio del 2021, un anno e mezzo fa, era tranquillamente fermo a 25 dollari. Le conseguenze sui prezzi al consumo – le bollette di luce e gas – si faranno sentire pesantemente già in settembre, cancellando gli sterili marchingegni inventati dal governo Draghi per contenere i rincari (qualcuno sa che fine ha fatto l’ideona del “price cap europeo”?).
Non è secondario ricordare che il meccanismo di calcolo autorizzato per i gestori aggancia appunto il prezzo considerato “giusto” per la bolletta a quello del mercato spot (oggetto di speculazioni feroci, in tempo di instabilità geopolitica e delle forniture), anche se i contratti di acquisto sono sempre fatti sui tempi lunghi o lunghissimi (e dunque ai prezzi inferiori vigenti al momento dell’ordinativo).
Sono questi gli “extraprofitti” che persino Draghi ha ritenuto ad un certo punto necessario sovratassare per contenere tariffe che rischiavano di far esplodere rivolte (dimostrando, involontariamente, che si può intervenire sulle “dinamiche del mercato”, se c’è necessità e volontà politica).
Ma anche facendo per un attimo astrazione dalle questioni di “giustizia sociale”, la crisi energetica è un problema sistemico. Ossia mette in discussione il normale funzionamento di tutto il sistema di vita e produzione occidentale.
Un prezzo del gas decuplicato stravolge tutte le attese degli operatori economici e spinge in cielo l’inflazione, perché solo l’energia – oltre al lavoro umano – entra nella formazione del prezzo di qualsiasi merce. Dunque ogni aumento di prezzo dell’energia si traduce in un aumento di qualsiasi altro prezzo.
Ma i 250 dollari toccati ieri non sono neanche il massimo possibile. Le (ironiche) previsioni di Gazprom parlano di rincari pari ad un altro 60% per questo inverno, toccando i 370 dollari al megawattora.
Tutti i paesi europei stanno cercando di immagazzinare più gas possibile, preparando anche piani di razionamento, proprio mentre le forniture russe diminuiscono sia per colpa delle sanzioni sia per scelta di ritorsione da parte di Mosca (esemplare il caso della turbina tedesca in riparazione in Canada che ancora non è tornata disponibile per Gazprom, che giustifica così altre riduzioni di export).
Ma aiuta a capire la gravità della situazione anche la notizia per cui la Gran Bretagna, dopo anni, ha ripreso a comprare GNL dall’Australia! Un articolo di Bloomberg – autorevole agenzia di informazione statunitense – ne parla come un “segnale di disperazione”, anche perché il consumo energetico del trasporto dagli antipodi equivale, grosso modo, al carico della nave.
Altre notizie concorrono a chiarire che l’economia occidentale, e soprattutto quella europea, non è in grado di reggere a lungo una situazione del genere. Si moltiplicano gli “escamotage” legali per aggirare le sanzioni e operare direttamente in Russia.
JP Morgan e Bank of America, ad esempio, tornano a negoziare i titoli di stato della Federazione russa. Ufficialmente con l’autorizzazione dell’amministrazione Biden, in quanto si tratterebbe soltanto di intermediare la vendita di titoli che sono rimasti “intrappolati” dalle sanzioni nelle casse di investitori internazionali, anche statunitensi.
Ma anche l’Italia, da parte sua, ha quadruplicato gli acquisti di petrolio russo a sole tre settimane dall’inizio dell’embargo deciso da Nato e Unione Europea.
C’è da ricordare, infatti, che in pratica nessun paese esterno al “patto euroatlantico” ha rispettato le sanzioni decise unilateralmente (l’unico soggetto legittimato resta l’Onu, dove ovviamente la Russia ha il potere di veto e il sostegno più o meno esplicito del resto del mondo).
Al dunque resta il fatto che il peso più grande della crisi energetica si scaricherà sull’Europa. Se non si interviene per cambiare radicalmente l’approccio verso la guerra in corso, facendo di tutto per fermarla, invece di continuare ad inviare armi che poi finiscono chissà dove.
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