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11/11/2022

Guerra in Ucraina. Si è aperta la trattativa?

Lo scenario che si va delineando per una soluzione alla guerra in Ucraina è intellegibile dalle parole di un diplomatico italiano di lungo corso: “Il ritiro russo da Kherson è una svolta nella guerra ma lo scenario militare non cambia radicalmente... è il momento buono per avviare il negoziato, però a certe condizioni”.

L’ambasciatore Stefano Stefanini è stato rappresentante dell’Italia presso la Nato ed ex consigliere diplomatico del Quirinale; insomma uno perfettamente in grado di cogliere certi segnali.

Ma che il ritiro russo da Kherson oltre la sponda del fiume Dnipro fosse per un verso inspiegabile e dall’altro spiegabilissimo, era già emerso in tutta evidenza in queste ore.

Le ripetute indiscrezioni sulla riapertura del dialogo tra Stati Uniti e Russia, pubblicate dalle principali testate statunitensi, hanno trovato riscontro nelle mosse del Cremlino. Una serie di appuntamenti internazionali (dal G20 in Indonesia alle riunioni bilaterali sul trattato Start) offriranno una cornice pubblica a colloqui già avviati in modo molto riservato.

A questo punto assisteremo probabilmente ad una ridda di dichiarazioni tese a disegnare la grammatica delle sconfitte e delle vittorie, una cortina fumogena che sarà necessario diradare sulla base di condizioni oggettive determinate dalla situazione sul campo, ma soprattutto dalle vulnerabilità emerse in tutto lo scenario internazionale.

La Russia ha visto le sue aspettative ridimensionarsi. L’attacco all’Ucraina ha prodotto la creazione della Novorossja con l’annessione delle repubbliche indipendenti del Donbass e di una area cuscinetto intorno alla Crimea, ma non ha prodotto i cambiamenti di leadership in Ucraina né ha sventato stabilmente il pericolo dell’espansione della Nato ai propri confini. Al contrario.

Inoltre le leadership occidentali hanno verificato – o scoperto – che in Russia esiste qualcuno “più cattivo” di Putin ed un eventuale sostituzione di potere non sarebbe affatto uno scenario migliore dell’attuale.

Gli Stati Uniti si sono peraltro confermati l’anatra zoppa individuata ormai da molti. L’impegno militare contro la Russia in Europa e contemporaneamente la competizione globale con la Cina rappresentano esattamente l’incubo e la debolezza della declinante egemonia globale statunitense, denunciata a suo tempo dai neoconservatori nel Pnac (Progetto per un Nuovo Secolo Americano, ndr).

Il dissanguamento economico e militare a sostegno di Kiev è altamente impopolare nell’America profonda e rurale che si contrappone a quella metropolitana. È la geografia della feroce polarizzazione politica confermata dalle elezioni di medio termine e che fa parlare ormai di potenziale “guerra civile” all’interno.

Non solo. Il vecchio “cortile di casa” degli Stati Uniti – l’America Latina – ha mandato letteralmente a quel paese il vecchio padrone, surclassando con le relazioni economiche con la Cina quelle con l’ingombrante vicino del nord. Segnali analoghi sono leggibili anche in Africa e Medio Oriente.

L’Unione Europea ha rinunciato in poche settimane alle ambizioni, coltivate per anni, di diventare soggetto strategico della competizione globale.

Di fronte all’innalzamento delle tensioni in Europa, la Ue si è immediatamente riallineata nella Nato – dichiarata cerebralmente morta da Macròn solo un anno fa – rinunciando a qualsiasi iniziativa autonoma sul piano politico e diplomatico. Spera di poter contrattare un diverso peso politico dentro l’Alleanza Atlantica nei confronti degli Usa, ma sarà sulla base delle comuni debolezze e non su quello della forza.

L’eccesso di zelo nelle sanzioni contro la Russia si è rivelato un boomerang per l’Europa e un regalo agli Stati Uniti. Una contraddizione fin troppo visibile, che l’opinione pubblica europea coglie e manifesta attraverso una contrarietà al coinvolgimento in una guerra di cui vede tutti gli svantaggi.

Le leadership e i mass media europei hanno provato a nascondere e compensare questa contraddizione con un furore bellicista degno di miglior causa. Agitare il piano dei princìpi avendo in pancia scheletri come quelli realizzati nel Kosovo (o, andando più indietro, l’annessione dell’Alto Adige nel caso italiano) ha reso ridicolo l’arruolamento in guerra dei paesi europei.

Infine l’Ucraina ha verificato amaramente che puoi resistere militarmente sul terreno, ma alle spalle ti ritrovi con un paese distrutto. I bombardamenti russi sulle infrastrutture – diventati regola d’ingaggio in quest’ultima parte del conflitto – hanno messo drammaticamente in evidenza le vulnerabilità ucraine in una guerra asimmetrica che la Nato ha provato a rovesciare riempiendo Kiev di armamenti e consenso politico.

Ma proprio questa scelta ha evocato un mostro nel cuore dell’Europa. Uno stato militarizzato, guidato da fondamentalisti e in preda ad un delirio di onnipotenza quando invece occorreva dar prova di realismo.

Un’esperienza negativa già fatta con Bin Laden, i talebani, e gli altri “freedom fighters” afgani supportati militarmente contro l’Unione Sovietica. Ossia una forza armata reazionaria che, una volta scaricata dagli Usa perché non più “interessante”, comunque resta in campo e pretende di raggiungere obiettivi propri. Ovviamente reazionari e con metodi “pesanti”.

L’atteggiamento oltranzista del gruppo di potere intorno a Zelenski contro i negoziati alla fine è diventato un problema. E adesso l’Occidente deve farlo capire alla sua testa di legno nel conflitto con la Russia, ma soprattutto ai suoi “alleati-controllori” dei battaglioni neonazisti (Azov e non solo).

Le perdite o le riconquiste di territori non possono prescindere dai popoli che li abitano. Si può scegliere la strada dell’oppressione o “comprarseli”, come avvenuto in Alto Adige. Ma sono due politiche molto differenti, che creano conseguenze fondamentalmente opposte.

Questa guerra è durata fin troppo. Le sue ripercussioni si sono rivelate dolorose per la Russia ma insopportabili per l’Ucraina e la coesione del blocco euroatlantico.

La recessione economica che attanaglia le economie capitaliste occidentali e, al contrario, la crescita esponenziale dell’ambizione dei paesi emergenti a sganciarsi dagli ingombranti vincoli dell’Occidente (dalla moneta alle ingerenze sui modelli politici), stanno accelerando il ridisegno della mappa economica e geopolitica del mondo.

Anche obtorto collo, occorre mettere fine alla guerra in Europa. Nonostante l’Ucraina.

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