di Luca Cangianti
Angela Pesce, Sulle scale della scuola, BookTribu, 2022, pp. 170, € 19,00 stampa, € 4,95 ebook.
In quanto dispositivo di socializzazione secondaria, la scuola è
preposta alla riproduzione della società contemporanea con le sue
caratteristiche e le sue gerarchie. Nel romanzo Sulle scale della scuola di Angela Pesce, questa affermazione prende vita e si popola di decine di storie, di sofferenza, di rabbia e di desiderio.
La voce narrante è quella di un’insegnante di sostegno che porta il nome
dell’autrice. A 26 anni entra in una scuola media della bassa
bolognese, immersa nella nebbia d’inverno e tormentata dalle zanzare
d’estate. Prende la corriera all’alba, con passeggeri sempre identici
che leggono free press, e si scontra con una burocrazia
scolastica per la quale le vite degli studenti (e degli insegnanti
precari) sono pezzi di carta in un faldone.
Asia è una ragazza in affido con i genitori a Modena; Chong è un
ragazzo cinese che dorme dietro una tenda, in un capannone dove i suoi
connazionali lavorano giorno e notte; Alina è figlia di una “zingara” e
colpevole di aver portato i pidocchi a scuola; Maria suscita i peggiori
commenti bigotti e sessisti per essersi presentata all’esame orale con
un abbigliamento giudicato vistoso; Pietro, per parlare e farsi capire,
sembra che debba tradurre i suoi pensieri “non si sa in che modo e da
quale lingua”.
Poi ci sono i genitori dei ragazzi “problematici”. Alcuni rifiutano il
disagio dei propri figli (“Matteo non è mica down o sulla sedia a
rotelle, e allora a cosa serve la prof di appoggio?”), altri hanno
interiorizzato la violenza classista e sono terrorizzati di far
trasparire la “fatica economica” (“No, ma io in autobus non lo mando.
Noi non lo usiamo”).
Tutti fuggono da questi ragazzi che chiedono un adulto di cui potersi
fidare. Fuggono alcuni insegnanti che non vedono l’ora di andare a
lavorare in un liceo o all’università. Fuggono molti dirigenti per i
quali “la prova migliore del buon funzionamento della loro scuola è che
certi ragazzi non ci si trovino affatto a proprio agio, non sappiano
trovare spazio, costruire relazioni, fare amicizia, crescere.”
Angela parla a voce bassa, non mette note, spesso si sente “inesperta, incompetente, impreparata” e proprio grazie a questo suo disequilibrio entra in empatia con il dolore e il bisogno di fiducia dei suoi studenti. La prosa di Sulle scale della scuola rispecchia quest’umiltà. È una scrittura fluida, avvolgente, intima. Ma attenzione, perché questa delicatezza è un argine che contiene a stento una rabbia smisurata contro chi tranquillamente riproduce sulle carni e le anime dei ragazzi il marchio dell’esclusione sociale.
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