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02/01/2023

[Contributo al dibattito] - La verità sulla guerra russo-ucraina

In un mondo ideale, quando scoppia una guerra come quella oggi in atto fra Russia e Ucraina, che minaccia di avere gravi conseguenze non solo per le popolazioni coinvolte ma per l'intero pianeta, la prima preoccupazione di chi è in grado – per cultura e competenze – di analizzare le cause reali del conflitto, dovrebbe essere quella di trasmettere le proprie conoscenze al largo pubblico dei non addetti, non solo per aiutarlo a farsi un'opinione corretta su quanto sta accadendo, ma anche per stimolarne l'impegno a fare il possibile, se non per porre fine alla strage, almeno per limitare i danni. Purtroppo non viviamo in un mondo ideale, bensì nell'Italia attuale, cioè in un Paese inglobato in due blocchi economici, politici e militari, l'Unione Europea e la Nato, asserviti agli interessi di una superpotenza come gli Stati Uniti che, oltre a essere la prima responsabile della guerra, è anche determinata a fare sì che essa si prolunghi il più a lungo possibile, nella speranza di rallentare il proprio declino, danneggiando non solo una delle nazioni belligeranti, quella Russia che assieme alla Cina è la sua maggiore controparte geopolitica, ma anche gli "alleati" europei, i quali, dovendo pagare un prezzo elevato ove il conflitto si prolungasse, vedrebbero ridursi la propria capacità competitiva nell'ambito del blocco occidentale. Non stupisce quindi che le classi intellettuali sopra evocate – giornalisti, accademici, esperti di storia, politica ed economia, ecc. – invece di svolgere un ruolo di informazione obiettiva sui fatti e di analisi scientifica delle loro cause, siano impegnati in una forsennata campagna propagandistica contro una delle parti belligeranti, presentandola come l'unica responsabile della guerra, se non come l'incarnazione del male assoluto.

In questa situazione, ogni tentativo di offrire una visione il più possibile completa e obiettiva degli eventi storici che stiamo vivendo, va premiato diffondendone la conoscenza fra tutti coloro che, consapevoli dell'infame campagna di disinformazione cui siamo sottoposti, sono in cerca di argomenti per contrastarla. Questo post è dedicato a quello che, a mio avviso, è il più consistente dei tentativi in questione, almeno di quelli di cui sia finora venuto a conoscenza. Il suo autore è lo storico e studioso di politica internazionale Marco Pondrelli e il lavoro cui mi riferisco è Ucraina tra Russia e Nato (Anteo Edizioni). Il libro si articola in quattro capitoli dedicati, nell'ordine, alla storia di Russia e Ucraina e dei loro rapporti dall'alto medioevo ai giorni nostri, al cambio di regime che Stati Uniti e Nato hanno fomentato nel 2014 in Ucraina e alle sue conseguenze fino all'intervento russo, a una ricostruzione delle complesse e contraddittorie correnti storiche che hanno portato all'attuale situazione della Russia post sovietica, agli interessi degli altri attori internazionali – Stati Uniti, Europa e Cina in primis – indirettamente coinvolti nel conflitto. Nell'esporne le argomentazioni mi atterrò allo stesso ordine.

Pondrelli ricostruisce i primi passi della nazione russa partendo dal VI secolo della nostra era, epoca in cui gli slavi orientali si insediano nell'attuale Ucraina, regione anticamente abitata da popolazioni che greci e romani chiamavano Cimmeri. I discendenti degli slavi orientali daranno vita alla Rus, che avrà come capitale Kiev, fondata nell'anno 882, città che solo ai primi del 1000 si emanciperà da Bisanzio diventando sede metropolita. Sembrerebbe dunque che, almeno inizialmente, Russia e Ucraina siano stati una cosa sola, tuttavia Pondrelli ci spiega come già allora le cose fossero più complesse: mentre l'Ucraina occidentale e la Bielorussia subivano l'influenza dell'Europa cattolica, quelle orientali erano legate a Bisanzio (quindi alla chiesa ortodossa) ed esposte agli influssi dell'impero mongolo. Questa differenza, annota Pondrelli, è all'origine della visione geopolitica dell'Intermarium, un asse immaginario tracciato fra Baltico e Mar Nero e concepito come baluardo contro la barbarie asiatica (tesi rilanciata dalle potenze occidentali dopo la rivoluzione del 1917). 

Annotato che quella narrazione è frutto di una manipolazione ideologica (l'Orda d'Oro mongola era tutt'altro che barbarica, visto che si fondava su strutture statali ibridate con quelle del Celeste Impero cinese, più avanzate di quelle occidentali), Pondrelli passa a descrivere l'evoluzione della parte orientale, l'area "grande russa" centrata sul principato di Novgorod, regione che nel XIII secolo dovette lottare su due fronti: i mongoli a Est, gli Svedesi e i cavalieri teutonici a Ovest (un famoso film di Eisenstein celebra la vittoria del principe Aleksander Nevksy su questi ultimi). Dal XIV secolo Mosca rimpiazza Novgorod nel ruolo di capitale dei grandi russi e sconfigge i mongoli. Nel XVII secolo una insurrezione cosacca (celebrata da Gogol nel racconto Taras Bulba) caccia i polacchi (Pondrelli osserva in merito che la Polonia non è stata solo oppressa dalla Russia ma, prima che polacchi e lituani venissero cacciati, ha svolto a sua volta il ruolo di oppressore). Infine, dopo la dissoluzione della nazione polacca, l'attuale Ucraina verrà spartita dagli imperi austriaco e russo fino alla Prima Guerra mondiale e alla rivoluzione del 1917, perpetuando l'opposizione fra le regioni occidentali e orientali. 

Prima di passare all'attualità, Pondrelli ripercorre le tappe dell'integrazione dell'Ucraina nell'URSS ricordando come, benché Lenin fosse un convinto assertore del principio di autodeterminazione dei popoli, a decidere del destino della regione sia stata di fatto la guerra civile fra l'esercito rosso e le formazioni bianche sostenute dalle potenze occidentali. La tesi del presunto genocidio del popolo ucraino perpetrato dai sovietici si basa tuttavia su fatti relativi a un periodo successivo, risale cioè alla carestia dei primi anni Trenta che, secondo la propaganda occidentale, sarebbe stata utilizzata da Stalin per sterminare sia i kulaki (i contadini ricchi) che gli ucraini in quanto entrambi si opponevano alla collettivizzazione forzata (i proprietari macellavano il bestiame e nascondevano il grano invece di consegnarlo alle cooperative agricole statali). Pur non nascondendo gli errori commessi dal regime (1), Pondrelli contesta sia il merito (il sequestro forzato di bestiame e derrate alimentari fu una mossa obbligata per impedire che la carestia mietesse molte più vittime; inoltre è insensato attribuire al regime una "programmazione" della carestia, così come si sono attribuite all'intenzionalità di Mao le vittime della carestia successiva al fallimento del Grande Balzo in avanti) sia le dimensioni del cosiddetto Holodomor (genocidio): a moltiplicare a dismisura il numero dei morti furono prima la propaganda nazista, poi la campagna anticomunista orchestrata da Reagan, basata sulle tesi di storici che, come Conquest, attingevano a fonti giornalistiche inattendibili (come i racconti di un certo Thomas Walker che spacciò per dati di fatto raccolti in mesi di permanenza in Unione Sovietica osservazioni relative a un viaggio di appena 13 giorni).

Pondrelli smonta poi l'operazione di "santificazione" di Bandera come padre della patria ucraina, frutto di uno smaccato tentativo di revisionismo storico, in base al quale Bandera sarebbe stato il leader di formazioni nazionaliste ucraine che, nel corso della Seconda Guerra mondiale, si sarebbero battute sia contro i sovietici sia contro i nazisti, laddove esistono ampie e inoppugnabili prove che tali formazioni furono strettamente legate all'esercito nazista occupante e ne condivisero i crimini di guerra, fra l'altro partecipando attivamente allo sterminio di centinaia di migliaia di ebrei ucraini. La bufala di Bandera eroe nazionale impegnato su due fronti si basa sul fatto che Hitler ne ordinò a un certo punto l'arresto ma ciò, spiega Pondrelli, non fu dovuto a controversie ideologiche, bensì al fatto che Bandera rivendicava una Ucraina indipendente (pur senza metterne in discussione l'alleanza con il Reich nazista!) come del resto dimostra il fatto che egli venne liberato nel '44 onde permettergli di combattere contro i sovietici a fianco dei nazisti.

La dissoluzione dell'URSS nel '91 e la conseguente autonomizzazione dell'Ucraina (con la incorporazione di territori come la Crimea e le regioni del Donbass abitate da popolazioni di chiara identità russa) residua quindi un Paese in cui, a seguito di tutte le traversie storiche appena descritte, convivono lingue, tradizioni, culture e religioni diverse per cui si pone il problema della scelta di un collante che ne definisca l'identità nazionale. Questo collante, sostiene Pondrelli, è divenuto in tempi rapidi una sorta di russofobia che ha preso il posto dell'anticomunismo. La contrapposizione ideologica non aveva infatti più ragione di essere, visto che l'evoluzione dei due Paesi nell'era post sovietica aveva imboccato strade simili, caratterizzate dall'ascesa degli oligarchi che si erano appropriati delle ricchezze sottratte al controllo statale (la differenza, annota Pondrelli, consiste nel fatto che, diversamente da quanto successo in Russia, gli oligarchi ucraini sono riusciti a svolgere un ruolo direttamente politico: vedi il caso di un personaggio come la Tymoshenko). Restava, potente, il fattore della contrapposizione nazionalista, alimentato dalle mire occidentali che, come era apparso chiaro fin dal vertice di Budapest del 2008, prevedevano di integrare l'Ucraina nella Nato (del resto in quell'anno l'accordo di non espansione della Nato a Est dopo la riunificazione tedesca era già stato violato da tempo). La Russia è riuscita a scongiurare l'inevitabile per alcuni anni, stipulando una serie di compromessi, l'ultimo dei quali ha visto come protagonista il presidente ucraino Yanukovych, finché l'Occidente ha deciso di rompere gli indugi promuovendo il golpe del 2014, egemonizzato da formazioni estremiste di destra che si sono macchiate di crimini come il massacro di Odessa. A partire da quel momento, gli eventi si succedono rapidamente al ritmo di tessere di domino in caduta: dal referendum per il ricongiungimento con la Russia in Crimea, alla nascita delle repubbliche popolari nella regione russofona del Donbass, al fallimento degli accordi di Minsk, finché l'intensificarsi della guerra civile e l'annuncio di un possibile, imminente ingresso dell'Ucraina nella Nato provocano l'inevitabile intervento russo.

Tuttavia non è solo l'Ucraina a essere divisa fra un'anima occidentale (oggi prevalente) e un'anima orientale. Questa tensione, ricorda Pondrelli, è stata una costante storica anche per la Russia, come testimonia il simbolo dell'impero zarista, l'aquila a due teste che guardano una a oriente l'altra a occidente, direzioni vissute di volta in volta come promesse di espansione e minacce di invasione. Di qui il perpetuarsi della lotta fra la corrente occidentalista e quella slavofila proseguita anche nell'esperienza sovietica. Assediata dalle potenze occidentali la Russia dei Soviet, argomenta Pondrelli, ha dovuto scegliere fra due vie: fare i conti con il peso della tradizione nazionale (una via che la Cina socialista ha imboccato con sempre più decisione a partire dalle riforme degli anni Settanta), oppure agire da "straniero in patria" in attesa della rivoluzione mondiale (2). Si potrebbe dire (con molta approssimazione, in quanto le due opzioni si sono sempre ibridate a vicenda) che due figure come Stalin e Trotsky incarnano simbolicamente queste due alternative. L'ala occidentalista, nella sua forma estrema, è stata egemonica negli anni della privatizzazione selvaggia, quando la politica economica era ispirata da "esperti" come Anatolij Cubajs che, ispirandosi alle teorie di von Hayek e Friedman, predicavano la shock therapy, cioè la transizione immediata al libero mercato secondo i canoni del Washington consensus senza passare da fasi intermedie. Questa scelta si è dimostrata catastrofica non solo sul piano economico (il PIL è calato del 19%; il tenore di vita del 49%; la produzione industriale del 46%; gli investimenti del 25%; mentre il debito pubblico e la povertà sono aumentati, rispettivamente, dell'11% e del 40%), ma ancor più su quello geopolitico che ha visto la Russia sempre più marginalizzata rispetto alle altre grandi potenze ed esposta al rischio di una vera e propria balcanizzazione sul tipo di quella jugoslava (3).

È questo contesto che ha favorito l'ascesa di Putin, il quale ha isolato l'ala occidentalista radicale, ha consentito agli oligarchi di conservare le ricchezze di cui si erano appropriati in cambio alla rinuncia a svolgere un ruolo politico (4), infine ha ripreso il controllo dei confini per garantire gli interessi e la sicurezza del Paese (la guerra contro i terroristi islamici in Cecenia e gli interventi militari in Georgia e in Siria rientrano in questa strategia). Questa nuova assertività preoccupa l'0ccidente ma soprattutto gli Stati Uniti, che vedono risorgere un poderoso ostacolo alle loro mire di espansione a Est. Di qui l'ossessivo ripetersi di campagne propagandistiche che rappresentano il presidente russo come "il nuovo Hitler", ignorando il fatto che in Russia esiste un Parlamento eletto a suffragio universale e che il regime gode di ampio sostegno popolare, e dando rilievo a un'opposizione di destra del tutto marginale, laddove l'unica opposizione che veramente conti nel Paese è quella di un partito comunista profondamente rinnovato che non guarda al passato bensì all'esperienza cinese. Ed è alla Cina che Putin è a sua volta indotto a guardare come al proprio unico alleato, a mano a mano che l'aggressività occidentale cresce fino a tentare di inglobare l'Ucraina nella Nato, piazzando i propri missili nucleari a pochi minuti di volo da Mosca. Le cause della guerra contro l'Ucraina sono insomma simili a quelle che avevano quasi scatenato la Terza Guerra mondiale quando l'URSS aveva inviato i propri missili a Cuba. Del resto, osserva Pondrelli, il fatto che la Russia impegni solo una minima parte delle sue risorse militari, dimostra che il suo obiettivo strategico non è invadere l'Ucraina, bensì riprendere il controllo sulle regioni di lingua ed etnia russa e costringere l'Ucraina a rinunciare all'ingresso nella Nato. 

Quanto al ruolo – o meglio all'assenza di qualsiasi ruolo autonomo – dell'UE, Pondrelli ricorda come a preoccupare gli Usa e a indurli a provocare il conflitto sia stato, ancor più delle rinnovate ambizioni russe, il timore del saldarsi di un asse russo tedesco che sembrava configurarsi nei primi anni del nuovo millennio: un asse Russia-Germania (e quindi Europa, visto il ruolo egemonico di Berlino nella Ue) e la sua possibile proiezione verso la Cina, impegnata a costruire la Nuova Via della Seta, rappresenterebbe infatti un compattamento del continente eurasiatico che taglierebbe fuori gli Stati Uniti. Ecco perché, conclude Pondrelli, la guerra ucraina è anche e soprattutto una guerra contro l'Europa, per staccarla dalla Russia e indebolirla economicamente, un progetto che gli Stati Uniti stanno mettendo in atto con l'appoggio dell'Inghilterra e dei Paesi dell'Est Europa. 

Note

(1) Sulle conseguenze dell'abbandono della NEP decisa da Lenin (che anticipava di mezzo secolo le riforme cinesi dell'era post maoista) da parte di Stalin, e della conseguente decisione di imboccare la strada della collettivizzazione forzata cfr. quanto scrive Rita di Leo in L’esperimento profano, Futura, Roma 2011.

(2) In un certo senso, la sinizzazione del marxismo messa in atto dal PCC, che mixa i principi marxisti con elementi della tradizione culturale cinese, può essere considerata un esempio riuscito della prima via (cioè fare i conti con la tradizione nazionale), laddove l'adattamento della teoria marxista alle concrete condizioni storiche della Russia da parte di Stalin non è stato abbastanza radicale, nella misura in cui è rimasto legato ad alcuni dogmi che hanno condizionato lo sviluppo del Paese (vedi nota precedente). Al tempo stesso la via di Trotsky – che negava la possibilità stessa di costruire il socialismo in un solo Paese – era ancora più dogmatica e avrebbe quasi certamente condotto alla dissoluzione dell'URSS già nel periodo dell'interguerra.

(3) Ne Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere (Laterza, Roma-Bari 2017) e in altri testi Domenico Losurdo mette giustamente in luce come la balcanizzazione e successiva colonizzazione della Russia sia un antico sogno occidentale del quale l'invasione da parte del Terzo Reich hitleriano rappresentò il più tragico tentativo di mettere in atto. 

(4) Anche da questo punto di vista sembra che Putin si inspiri alla lezione cinese, nella misura in cui il socialismo in stile cinese si fonda appunto sulla libertà accordata a certi imprenditori di accumulare ricchezze senza consentire loro di convertire il potere economico in potere politico. La differenza è che in Cina la proprietà pubblica e il controllo dei settori strategici dell'economia da parte dello Stato-partito restano ampiamente maggioritari mentre in Russia sono stati smantellati.

Fonte

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