Dopo la conferma dell’ergastolo a Gilberto Cavallini di quasi un anno fa, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha confermato l’ergastolo di primo grado anche a Paolo Bellini per i fatti del 2 agosto 1980, quando una bomba distrusse la sala d’attesa della stazione di Bologna causando 85 morti e oltre 200 feriti.
La peggiore strage del periodo della strategia della tensione arriva dunque, dopo oltre quarant’anni, ad una verità giudiziaria ormai appurata e incontrovertibile, nonostante decenni di depistaggi e insabbiamenti: la mano della strage fu senza alcun dubbio fascista, ma ad armarla non fu il supposto “spontaneismo” dei NAR, ma i soldi della P2 sottratti al Banco Ambrosiano e la volontà politica dei vertici dei servizi segreti.
Infatti se le condanne di Cavallini e Bellini in quanto esecutori materiali danno la cifra di come non solo i NAR, ma tutta la galassia dell’eversione fascista fosse in qualche modo coinvolta o consapevole di ciò che accadde, non meno importante è aver finalmente dato volti e nomi agli ispiratori politici, ai mandanti, ai finanziatori e agli organizzatori della strage, pur se non più processabili in quanto ormai tutti deceduti ma questo, si sa, è nel pieno stile della giustizia borghese del nostro Paese.
In particolare sono stati ritenuti in via definitiva responsabili di questi capi d’imputazione Licio Gelli e l’ex capo dell’ufficio affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, insieme all’imprenditore Umberto Ortolani e all’allora direttore del quotidiano Il Borghese Mario Tedeschi il quale, inoltre, col suo giornale organizzava (spesso in accordo con D’Amato stesso) campagne di depistaggio o diffamazione, a seconda delle necessità del momento; tutti risultarono poi iscritti alla P2.
Questa sentenza è dunque l’ennesima conferma di come sia esistita una parte della società italiana (ben al di là di qualche “trama” o “servizio deviato”) fatta di alti funzionari dello stato ma anche di politici, imprenditori e giornalisti spesso passati indenni nei loro ruoli dal fascismo alla democrazia, che per tutta la Prima Repubblica ha lavorato per la destabilizzazione dell’impianto costituzionale e per imporre una svolta autoritaria ed impedire qualsiasi cambiamento in senso progressivo della società italiana fino ad auspicare “l’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse” (dalla sentenza di condanna a Cavallini).
Diventa per noi dunque essenziale rilanciare, come ogni anno, la più forte e viva partecipazione al corteo che commemora la strage del 2 agosto, per una memoria che rimanga viva e militante al di là delle sentenze dei tribunali e di verità giudiziarie che sappiamo per certe da anni.
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