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18/09/2024

L'“asse del male” da Taiwan a Israele e Ungheria

La parte tecnologica dell’offensiva terroristica di Israele contro Hezbollah in Libano è, con il passare delle ore, relativamente chiara e semplice.

Il New York Times, citando funzionari americani e di altri paesi, riferisce che Israele ha nascosto materiale esplosivo all’interno di un lotto di cercapersone ordinati qualche mese fa da Hezbollah ad una società di Taiwan, la Gold Apollo.

Secondo il quotidiano newyorkese, gli esplosivi sono stati piazzati accanto alla batteria di ogni cercapersone ed è stato inserito un detonatore per determinare le esplosioni a distanza. I dispositivi sono stati fatti esplodere simultaneamente con un sms.

Il capo dell’azienda taiwanese, Hsu Chin-kuang, ha smentito che i cercapersone siano stati prodotti dalla Gold Apollo. Come si usa dire in questi casi, “non poteva far altro”, il terrore del fallimento si è immediatamente spalancato davanti ai dirigenti di Gold Apollo (chi mai comprerà più qualcosa da loro?), che hanno dopo qualche ora diramato una nota in cui scaricano ogni responsabilità sul partner ungherese Bac Consulting KFT.

I cercapersone AR-924 utilizzati dai militanti di Hezbollah sarebbero stati prodotti da Bac Consulting KFT, azienda con sede nella capitale ungherese. “Secondo l’accordo di cooperazione, autorizziamo Bac a utilizzare il nostro marchio per la vendita di prodotti in regioni designate, ma la progettazione e la produzione dei prodotti sono di esclusiva responsabilità di Bac”, ha precisato Gold Apollo.

In pratica, il Mossad è venuto in qualche modo a sapere dell’ordinativo inviato alla Gold Apollo o alla Bac Consulting, ha contattato i vertici dell’azienda per verificare la possibilità di inserire una carica di esplosivo all’interno dei “teledrin” (come venivano chiamati una volta) e – una volta ricevuto l’ok e fissato il prezzo – ha fornito il “componente letale” da montare.

L’intera partita è stata “taroccata” direttamente nella catena di montaggio, sicuramente automatizzata. I dispositivi in questione, infatti, sono troppi (diverse migliaia) e troppo piccoli per essere stati modificati in un secondo momento.

Anche lo spazio necessario per ospitare la carica esplosiva deve aver richiesto una modifica del disegno ingegneristico originale, e in qualche modo i tecnici a diretto contatto con i vari componenti devono essere stati invitati alla cautela nel maneggiare le microbombe, per evitare incidenti.

Tutte operazioni che sembrano però impossibili per l’aziendina ungherese – la cui titolare risulta Cristiana Barsony-Arcidiacono, al momento irrintracciabile – che ha sede in una banale villetta ad uso abitativo in un sobborgo di Budapest.

Evidentemente si è trattato soltanto di una “copertura” utilizzata per schermare chi materialmente ha ricevuto l’ordine e provveduto a costruire i dispositivi pronti ad esplodere. Il che, obiettivamente, riporta la responsabilità a Taiwan o a una fabbrica israeliana.

Poi la spedizione, l’arrivo in Libano, la distribuzione a dirigenti e militanti di Hezbollah e infine l’esplosione comandata con un messaggio inviato a tutti i cercapersone di quella partita.

È chiaro che la reputazione internazionale di Taiwan e/o dell’Ungheria (il paese governato da fascisti che si è offerto di ospitare le partite di calcio casalinghe di Israele) esce devastata da questa vicenda. Una delle regole basilari del “mercato” è che si consegna al “cliente” quel che aveva ordinato, non certo un ordigno costruito per eliminare tutti i suoi “dipendenti”.

Se accetti invece di fare un’altra cosa obbedendo a un secondo “cliente”, nemico del primo, tu sei fuori di testa e anche dal mercato. Nessuno – anche molto diverso da Hezbollah (un partito politico che fa parte della coalizione che governa il Libano) o altre organizzazioni simili – si fiderà mai più di te. E neanche del paese in cui sei “basato”.

Di fatto, insomma, questo episodio di “guerra sporca” spinge obiettivamente verso una separazione totale dei mercati e dei possibili fornitori.

C’è da sottolineare anche come abbia funzionato, pure in questo caso, la propaganda di guerra occidentale. Nelle prime ore dopo l’attacco diverse agenzie stampa, imbeccate dai soliti “analisti” a libro paga, avevano indicato l’Iran come luogo di produzione di quei cercapersone.

Il che, se fosse stato vero, apriva gigantesche riserve sulla capacità di Tehran di proteggere le proprie filiere produttive, sia tecnologiche che militari, e di porsi dunque come patron affidabile dell’“asse della resistenza”.

Non che l’Iran sia proprio “impenetrabile” – molti importanti scienziati, generali dei Guardiani della rivoluzione, lo stesso ex capo politico di Hamas, Haniyeh, ecc. – sono stati uccisi sul suo territorio in operazioni ordite dal Mossad. Ma certamente, se addirittura una intera partita di migliaia di dispositivi destinati ad aumentare la “sicurezza” interna di Hezbollah fosse stata così facilmente modificata in una sua fabbrica, la sua credibilità sarebbe stata ridotta al minimo.

Diffondere questa falsa notizia, insomma, fa parte della “guerra psicologica” che da sempre presenta Israele (e l’Occidente) come onnipotente e imbattibile. Quindi meglio sottomettersi, un po’ come al “cavaliere nero” di Gigi Proietti...

La questione che riguarda invece tutto il mondo è se sia possibile continuare a tollerare che un paese si ritenga legittimato a uccidere chiunque gli si opponga, con qualsiasi mezzo e a proprio insindacabile giudizio.

Questo, infatti, non è più uno Stato – tanto meno “democratico” – ma un’organizzazione di killer professionisti. Pericolosissimi, oltretutto, perché invasati convinti di agire “con dio dalla nostra parte”, dotati di uno “statuto speciale” che li colloca al di sopra del resto dell’umanità.

E dunque contro tutti.

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