In questi giorni oggetto di discussione sui giornali e nella piazza social è la protesta dello studente e della studentessa, che si sono rifiutati di sostenere la prova orale all’esame di maturità. Credo che quello che l’azione dei due e le varie reazioni, arrivate come sempre dalle parti più disparate e tutte visibili grazie ai social, diano un quadro chiaro della fase storica, italiana e globalizzata, che stiamo vivendo.
Cosa dice il ministro?
Cominciamo dal ministro Valditara, che ha proposto una nuova norma per il prossimo anno, che impedirà la promozione a chi farà scena muta all’orale, in segno di protesta. La norma non si attua però per chi tace solo perché impreparato.
Alle commissioni l’ardua sentenza...
Ecco inoltre uno stralcio da una sua intervista al Corriere della sera, che chiarisce ancora meglio la sua posizione.
«Con questa norma voglio dare un forte messaggio in linea con la Costituzione. C’è un problema importante nella società italiana ed è il rapporto con la regola. Troppo spesso non è chiaro che la regola si rispetta, così come si rispettano le persone: all’esame ci sono commissari che dedicano il proprio tempo ad una funzione sancita dalla nostra Costituzione. Non si prendono in giro gli insegnanti, si rispetta il loro lavoro, si rispettano i compagni che hanno creduto in quel momento e si sono impegnati, che hanno provato ansia, stress, coltivato speranze, hanno dedicato mesi per prepararsi all’appuntamento. Devo rispettare il loro impegno, non posso farla franca se decido di fare scena muta».
Ecco cosa si evince:
1. non c’è un minimo ascolto del disagio che c’è dietro un gesto di protesta;
2. la repressione è celata da un’illusione di civiltà, come “esportare la democrazia”;
3. si tira in ballo la Costituzione, a proprio comodo, e sempre capovolgendone il senso;
4. si parla di rispetto delle regole, ma se si analizza cosa è successo negli ultimi anni a livello politico e finanziario, cosa si vede, se non un continuo stravolgimento delle regole di vita comunitaria, con conseguente disinvestimento nel welfare, per il profitto e il benessere dei pochi?
5. si parla di rispetto degli insegnanti italiani, quando sono i meno pagati d’Europa, i più vessati, ancora di più dopo l’aziendalizzazione della scuola; i più denigrati socialmente, in un paese in cui da anni non si investe nella cultura, nell’educazione e nella ricerca; sempre più soggetti a burnout per le condizioni, che lui e i suoi compari da destra e da “sinistra” hanno contribuito a creare.
E gli altri?
Non sono mancate le reazioni da parte di altri politici, influencer, divulgatori in voga, intellettuali del momento e delle persone comuni, che si schieravano, a seconda dei casi, coi ragazzi o col ministro, spesso sostenendo le argomentazioni con storie personali passate, o con un “io avrei detto, fatto ecc.”.
Generazioni su generazioni
Mi preme invece approfondire, prima di passare ai ragazzi, un passaggio che ho letto qui e là, quando si parlava di questa generazione di giovani che si riscatterà e gliela farà vedere a tutti...
Quando sento parlare di “giovani”, mi torna subito in mente Ecce bombo, quando Moretti e compagni scimmiottano il giornalista che vuole sentire cosa ne pensano i giovani: “Vito sa fare molto bene il giovane”.
Come se esistesse una categoria “giovani”, in cui mettere tutti dentro.
Lo stesso vale quando si parla di generazioni. Oggi ormai con boomer, millennial, gen z ecc. è un continuo stereotipare. Certo, gli adolescenti ora hanno influenze esterne che sono diverse, riferimenti diversi. Basti pensare alla famiglia, all’uso massivo delle tecnologie e alle conseguenze sociali e psicologiche, alla questione di genere, ma anche, e forse soprattutto, a come sono cambiati i paradigmi politici, in assenza di alternative al capitalismo, ben teorizzate e perseguite in e da strutture coordinate, di varia natura.
C’è poi chi, come Jonathan Haidt definisce generazione ansiosa, quella nata dopo il 1995, la cui infanzia e adolescenza sono state riconfigurate a livello socio-psico-emo-evolutivo, alterandone i meccanismi di apprendimento e crescita, per l’introduzione sul mercato degli primi smartphone e dei social.
Nel suo libro, con dati alla mano e in modo incontrovertibile, mostra che le ospedalizzazioni (quindi non c’entra qui la percezione dovuta ad una maggiore psico-educazione rispetto a prima) per problemi di salute mentale, che comprendono casi di autolesionismo, tentativi suicidari, disturbi alimentari, attacchi di panico, ansia e altro, sono aumentate in media del 70% dal 2007 al 2018, per i teeneger di età compresa dagli 11 ai 16 anni. Haidt mette a confronto i dati statunitensi con quelli di altri paesi, sia anglofoni che non, ed ha conferma delle sue tesi.
Esistono quindi dei tratti comuni, dovuti al tempo e allo spazio che si abita, ma alla stessa generazione appartengono il figlio del politico, del capo d’azienda o del banchiere che avrà la strada spianata e seguirà le orme del padre sfruttatore, il figlio di un operaio, impiegato (che oggi è lo stesso) o simili, che cercherà di mantenersi a galla e di sforzarsi per conquistare ciò che non gli viene regalato, il figlio di un criminale, molto probabilmente farà la stessa fine del genitore e chi finisce in carcere, molto spesso per danni al patrimonio o droga (basta vedere le statistiche e lo stato delle carceri italiane) avrà come compagna di vita la recidiva.
Figlio o figlia ovviamente e di qualsiasi genere vogliate. Al plurale era troppo lungo.
Certo, stiamo facendo un discorso di classe, e vivaddio!
E forse è questo che si può applicare alle varie generazioni che si sono succedute, in modo ancora più chiaro negli ultimi due secoli. Tra i casi summenzionati per sommi capi, vanno inserite le partite iva, i piccoli artigiani e tanti altri casi, ma soprattutto va aggiunto che in ogni individuo risiedono risorse ed aspirazioni imprevedibili, che possono tirarlo anche fuori, contro, al di sopra della classe, famiglia, generazione, comunità e stato, a cui è appartenuto, quando ha cominciato a muoversi nel mondo.
Eccoci ai nostri ragazzi
Anche con loro partiamo dai virgolettati.
Maddalena dice: “Ho provato a spiegare che nella mia scuola la preparazione è stata ottima, ma è mancata totalmente l’attenzione alle persone”.
Mentre Gianmaria: “I voti da alcuni alunni vengono vissuti malissimo. In classe c’è molta competizione. Ho cominciato a rifletterci vedendo le reazioni di alcuni compagni: come vivevano la cosa, senza capire che cosa significasse davvero un voto”.
E anche qui proseguiremo per punti:
1. si lamenta un’assenza di relazione umana, e si richiede l’attenzione da parte dell’adulto, in questo caso il docente. Seguendo la tesi di Haidt, è possibile che, venendogli a mancare il gioco e le relazioni, così come si sono susseguite per decenni, l’adolescente sia spinto da una maggiore fragilità e disgregazione a chiedere al docente, magari di compensare l’assenza della famiglia e della comunità, per validare la sua identità?
2. nelle generazioni più raccontate e riconosciute, cioè quelle dell’ultimo secolo, visto che prima era a stento riconosciuta l’infanzia tra le fasi evolutive, figuriamoci l’adolescenza, pre e post, si ritrova sempre un’opposizione contro gli adulti di turno.
Il massimo si raggiunge col motto degli anni ’60 “Don’t trust anyone over 30”.
È possibile che ora il contrasto si muova solo sulla superficie (musica, abbigliamento, costume...), quando poi una scarsa identità e una fragilità, spingono comunque a chiedere all’adulto una conferma di sé, anche nell’età in cui la relazioni tra pari è quella più importante ed appagante?
In più, molto spesso, sono gli stessi adulti a cui si ricorre ad aver perso la propria identità, perché sono venuti meno i rigidi riferimenti di un tempo e in una realtà più complessa come la nostra, l’unica possibilità è quella dell’individuazione, ossia ritrovare e ricostruire in sé ciò che si cerca nel vacuo e cangiante caleidoscopio del capitalismo. Integrare le varie parti, tra cui anche quella della rivendicazione politica.
3. Gianmaria ci dà la possibilità di riflettere su due punti molto importanti.
Da un lato c’è l’incapacità da parte di alcuni di gestire un voto negativo, perché lo si vive come connotativo dell’intera persona e quindi screditante in toto.
Si sente di non valere più niente, di non essere niente oltre il 4.
Qui ritorna il discorso sulla fragilità identitaria e sulla dipendenza dal giudizio dell’altro. Anche questa come dinamica adolescenziale apparterrebbe per lo più ai pari.
Dall’altro svela in modo chiaro l’ingranaggio capitalistico: la competizione!
Qui sarebbe meglio dire: le conseguenze e i frutti della stessa. I voti sono equiparati al salario, ed ha ragione Gianmaria, parlando per i suoi compagni quando dice che, chi non si sente all’altezza, non ce la fa ad andare avanti, perché la società fa lo stesso con i propri padri, madri, zii, zie, fratelli e sorelle.
Ogni mezzo diventa utile e lecito per raggiungere lo scopo.
E lo scopo è: visibilità, consenso, riconoscimento, ricchezza e potere.
Ecco, c’è una semplice e potente frase, che è in totale opposizione a questo modo di stare al mondo: “Da ciascuno secondo le sue possibilità e a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Figli di questo mondo
In un altro momento storico questi ragazzi avrebbero lanciato sampietrini e molotov, o impugnato P38, e sarebbero stati ascoltati, non ridicolizzati, sostenuti da un ideale e da un gruppo strutturato di pari.
Oggi, in balia di una sovraesposizione massiva verso e dal proprio mondo, che è planetario, immediato ed eterno, come non lo è mai stato; vittime della commercializzazione di ogni ambito dell’esistenza; senza una prospettiva ideale per cui lottare, forse soprattutto in gruppo, con cui dare anche senso alla propria esistenza individuale; immersi in una fluidità identitaria su tutti i livelli, che senza un timone e una rotta non fa che sprofondare, quelli che chiamate “giovani”, ma io direi i più sensibili, intuitivi, intelligenti, empatici, etici e combattivi ci stanno tendendo la mano, che un tempo era chiusa in un pugno o per stringere un’arma, per farci capire, semmai ce ne fosse ancora bisogno, ma tant’è, che così non si può andare avanti.
E in assenza di ideali e di una prassi annessa, questo è il modo più coraggioso e onesto di fare la propria parte verso un bene comune.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento