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23/10/2025

Coroner – La teoria del tutto

Ciao Tommy, e benvenuto su metalitalia.com. Cosa provi nel rilasciare di nuovo interviste per un nuovo album dei Coroner a trent’anni di distanza dalla pubblicazione degli ultimi brani inediti?

Provo un mix di sensazioni, a riguardo: da un lato, è molto bello, e mi sento estremamente carico e motivato, ma dall’altro lato sono anche un po’ nervoso. Al momento abbiamo fatto uscire due singoli: le reazioni dei fan sono andate oltre ogni nostra più rosea aspettativa, e questo ci rende davvero molto felici.

A livello stilistico, l’album suona un po’ come un compendio della vostra intera carriera, in particolar modo del periodo “Grin/Mental Vortex”, sebbene filtrato attraverso un approccio musicale contemporaneo. È una cosa che avevate pianificato, o il tutto si è sviluppato in modo naturale durante le sessioni di composizione?

Prima di iniziare il processo di scrittura ho passato molto tempo pensando al modo in cui questo nuovo album avrebbe dovuto suonare. sarebbe dovuto essere più vicino a “Grin”, uno degli album più amati da una certa parte dei nostri fan, o sarebbe dovuto essere più vicino al sound dei primi tre album, che un’altra parte del nostro pubblico reputa i migliori della nostra discografia?

Alla fine sono giunto alla conclusione che tutto questo rimuginare non aveva alcun senso: oggi sono una persona completamente diversa da quella che scrisse quegli album, non mi sarebbe stato possibile, e non sarei stato credibile, se avessi cercato di replicarli. Quel tempo è passato, quindi mi sono semplicemente messo a scrivere liberamente, valutando i risultati. È stato un processo molto naturale. Ovviamente, ci sono delle similitudini evidenti con i nostri vecchi dischi, perché alla fine dei conti mi sono sempre occupato io della stesura dei riff, e quindi il mio modo di scrivere si è semplicemente evoluto parallelamente al mio gusto, in modo coerente.

In “Dissonance Theory” sono presenti delle idee che avevate messo da parte durante i lunghi anni di inattività, o si tratta di materiale composto interamente dopo la reunion del 2010?

Tutte le composizioni di “Dissonance Theory” sono nate dopo la reunion. In passato, quando facevamo uscire un album all’anno, arrivavamo sempre in studio senza avere tutte le canzoni pronte: ce ne mancavano sempre un paio e, una volta finito l’album, non ci restavano idee incompiute da utilizzare nel disco successivo.

È sempre stato così; probabilmente sono un po’ pigro, e ho bisogno di essere un po’ sotto pressione per diventare produttivo al 100%.

Nonostante le loro strutture complesse, i brani trasmettono un feeling ‘live’ decisamente marcato. Quanto sono stati importanti i concerti tenuti negli ultimi quindici anni per lo sviluppo della direzione musicale dell’album?

Anche secondo me le nuove canzoni hanno una buona indole e un buon potenziale ‘live’. ovviamente, dovremo provarle per bene in sala prove, prima. Ci piace molto suonare dal vivo, e io mi diverto in particolar modo con le parti thrash più veloci. Penso che questo nuovo album punti molto di più sull’impatto emotivo e sulle atmosfere, rispetto al passato, ma mentre componevo sentivo spesso la voglia di inserire qualche parte più veloce, qua e là: in questo senso, direi che la dimensione live ha avuto un suo peso nel modo in cui le canzoni si sono sviluppate in fase di scrittura. Credo comunque che nell’album ci siano spunti per tutti i gusti.

Qual è stata la scintilla che ha riacceso il desiderio di scrivere nuova musica a nome ‘Coroner’, dopo che era stato ripetutamente dichiarato, nei primi anni della reunion, che questo non rientrava nei piani della band? È stato difficile trovare di nuovo la giusta chimica per scrivere brani insieme?

Quando abbiamo annunciato la reunion, i piani erano quelli di fare alcuni show divertendoci a suonare i vecchi pezzi. In particolar modo, Marky (Edelmann, batterista originario della band, ndr) non aveva nessuna intenzione di mettersi a lavorare su nuovi brani. Inizialmente si sarebbe dovuto trattare di pochi show, o brevi tour. Dopo un paio di anni, Marky a manifestato la volontà di smettere, ma noi ci stavamo divertendo troppo, volevamo andare avanti. A quel punto, anche grazie alla nuova energia portata nella band dall’ingresso in formazione di Diego (Rapacchietti, attuale batterista del gruppo, ndr), abbiamo nuovamente valutato la possibilità di scrivere materiale per un nuovo album. Abbiamo firmato il contratto con la casa discografica fra il 2014 e il 2015, con l’intenzione di averlo pronto per il 2017 o 2018, ma le cose sono andate diversamente, e ci è voluto molto più tempo.

Il processo di composizione è cambiato, rispetto al passato, oppure il vostro modo di lavorare è rimasto più o meno lo stesso? Puoi spiegarci come funzionano le cose, sotto questo aspetto, in casa Coroner?

Il processo di scrittura è rimasto più o meno invariato, rispetto al passato. anche allora, iniziavo a raccogliere i riff e le idee di base e cercavo di dargli una struttura aiutandomi con un vecchio computer atari (una tecnologia nuova, per i tempi).

Ora, grazie a Pro Tools, posso registrare i riff e programmare parti di batteria in modo molto più semplice. Ai tempi avevo una drum machine molto complicata da programmare, soprattutto per quanto riguardava i pattern ritmici più complessi. La cosa che è cambiata di più, rispetto al passato, è quindi la facilità con la quale posso dare forma alle mie idee prima di presentarle agli altri, grazie ai nuovi sviluppi tecnologici.

Ci sono voluti quindici anni per poter stringere fra le mani un nuovo album dei Coroner, dopo la reunion del 2010.
In questo tempo, ti sei mai sentito schiacciato dal peso di un passato che ha proiettato la band nel novero delle formazioni più innovative di tutti i tempi, o si è trattato semplicemente di aspettare che le stelle si riallineassero nel modo giusto, per fare le cose nel miglior modo possibile?
Quanto è gravoso portare sulle spalle il nome ‘Coroner’, con tutte le aspettative che ne derivano?


Alla fine, come dicevo, ci sono voluti meno di quindici anni per avere il disco pronto. abbiamo iniziato a scrivere i nuovi pezzi attorno al 2015, ma poi le cose sono andate un po’ per le lunghe, a causa di vari impegni, nonché di alcuni avvenimenti che hanno rallentato molto le cose, come la morte di mio padre e di quello di Ron, o il mio divorzio.

Poi ci si è messo di mezzo anche il Covid-19, e va anche considerato il peso della mia professione di produttore: lavorare tutto il giorno con la musica rende difficile essere particolarmente carichi e creativi, quando alla sera si chiude lo studio e si va casa. Lo studio sta andando molto bene, e questo mi ha lasciato davvero poco tempo libero per potermi concentrare sul nuovo Coroner.

Oltretutto, non riesco proprio a scrivere nuova musica nel mio studio, perché ovunque mi giri vedo del lavoro da fare. L’unico modo in cui riesco a farlo è quando me ne vado da solo, in montagna. dopodiché, Diego mi raggiunge e lavoriamo sui dettagli e sugli arrangiamenti di batteria, ma posso farlo al massimo per cinque o sei giorni, perché poi devo tornare allo studio, dove c’ è una nuova band che mi aspetta.

Per di più, oltre al fatto che tendo a trovare spesso motivi per procrastinare, sono anche una persona che si annoia facilmente, quando scrive, oltre ad essere molto esigente: su trenta riff, forse uno finisce per essere utilizzato effettivamente in una canzone. Come se non bastasse, a tutto questo va aggiunta anche la mia maniacalità ossessiva per quanto riguarda i suoni, una volta iniziato il processo di registrazione; questo è forse il nostro primo album del quale sono soddisfatto al 100%, da questo punto di vista.

Quindi direi che la pressione, anche quella per il peso delle aspettative derivanti dal nostro passato e del nostro nome, fa parte del mio modus operandi; ma concorrono anche tante altre cose.

Come si diceva prima, nonostante “Dissonance Theory” suoni pienamente in stile Coroner, l’ascolto mette in evidenza incontestabili tratti di contemporaneità, a partire dalla produzione. In che modo il tuo lavoro come produttore ha influenzato lo sviluppo dell’attuale sound della band?

La cosa che mi ha influenzato di più è stato il modo in cui la tecnologia è cambiata nel corso degli anni, rendendo tutto più facile e con un miglior risultato finale. Per quanto mi riguarda, preferisco il sound moderno perché, quando è ben fatto, ha una resa decisamente migliore rispetto a quello dei vecchi tempi.

Quello che voglio fare è utilizzare le nuove tecnologie, ma con un approccio ‘old-school’: oggi molte band fanno una o due take e poi passano le ore a editare il risultato; noi preferiamo fare take finché non sentiamo di avere catturato davvero quello che avevamo in mente, riducendo l’ editing al minimo.

Come produttore, cosa ne pensi dell’attuale standardizzazione delle produzioni in ambito metal?

Non amo la standardizzazione che le produzioni metal hanno raggiunto negli ultimi anni, suonano un po’ tutte uguali. Penso che il problema principale siano i budget limitati con cui le band si trovano a dover convivere, dovuti alle scarse entrate relative alle vendite, cui si aggiunge la scarsa rendita delle piattaforme streaming come Spotify.

Molti cercano di fare le cose per conto loro, per risparmiare, ma alla fine finiscono per usare tutti le stesse cose, facendo somigliare molto le produzioni l’una all’altra. Io qui ho un grande studio, con un sacco di apparecchiature analogiche, tanti microfoni diversi; tutte cose cui questi artisti spesso non hanno accesso. Non conoscono la professione, e finiscono per usare tutti i medesimi preset, gli stessi plug-in, e così tutto suona uguale, noioso, di plastica. Io cerco di tenermi più alla larga possibile da questo modo di lavorare, sia con i Coroner che con le band che vengono nel mio studio.

Si tratta di un problema cui non sfuggono nemmeno le grandi produzioni, ma in quel caso io penso che, per certi versi, il problema sia proprio il pubblico: le label sono invogliate a dare un elevato standard di pulizia e perfezione al sound delle loro pubblicazioni per il timore che proporre qualcosa di diverso, più particolare, possa non essere ben accolto dalla massa degli ascoltatori, diventando più difficile da vendere. Questa evoluzione (o involuzione) delle produzioni non mi piace: mi mancano l’originalità, il carattere e l’unicità del sound delle varie band. In passato, potevi riconoscere un artista da una singola nota: ti bastava un secondo di un brano dei Black Sabbath per dire “Oh, questi sono i Black Sabbath”. Questo ormai non succede più, ed è un vero peccato.

Un largo stuolo di fan considera i Coroner come un baluardo del genio applicato alla musica metal; nel corso degli anni, ci sono state delle band in cui hai riscontrato lo stesso spirito pionieristico, lo stesso desiderio di espandere i confini musicali del genere?
Ad esempio, in un brano come “Transparent Eye” si possono cogliere degli spunti non lontani dai Meshuggah, mentre in “Symmetry” si possono cogliere sentori non lontani da certi Nevermore. Apprezzi il modo in cui queste due band hanno sviluppato la loro visione musicale? Trovi dei parallelismi col percorso dei Coroner, in queste o in altre band?


Certo. Penso che queste due band siano eccezionali. Amo ascoltare i Meshuggah quando mi alleno, la loro intensità mi aiuta molto (ride, ndr). Un’altra band che mi piace molto e che potremmo inserire nella medesima categoria, anche se con uno stile diverso, sono gli Opeth; sono dei grandi musicisti, oltre che nostri ottimi amici. Ritengo siano una band con un sound unico e personale, anche dopo il cambio di stile che li ha portati vicini a vibrazioni 70’s. Non tutti hanno apprezzato quella svolta, ma io penso che quelle atmosfere calzino a pennello col loro sound.

I testi dell’album sembrano legati da un filo comune: possiamo definire “Dissonance Theory” come un concept album?

“Dissonance Theory” non è un concept album in senso stretto, nel senso che non narra una storia con un suo inizio, uno sviluppo e una fine, però tutti i testi ruotano attorno al concetto di ‘dissociazione cognitiva’, cioè il conflitto che si scatena nella mente di un individuo quando alcuni aspetti della sua vita sono in contrasto fra di loro, come ad esempio qualcuno che fuma anche se sa che non è salutare, e quindi si crea una sua giustificazione, o verità, per conciliare le due cose. Il tema di fondo dell’album è che ci sono diverse verità per ogni cosa, a seconda del punto di vista; non esiste una verità che valga per tutti.

Il primo brano, “Consequence”, ad esempio, parla dell’intelligenza artificiale; una tecnologia che può essere di grande aiuto sotto vari aspetti, come scrivere email, sbrigare pratiche o altre incombenze, ma che può essere, al contempo, anche molto pericolosa. la gente potrebbe perdere il proprio lavoro a causa sua, e altre implicazioni potrebbero prefigurare scenari addirittura apocalittici.

Io non credo che succederà, ma sono molto preoccupato per gli effetti che questa tecnologia potrebbe avere sul modo in cui la gente troverà le sue informazioni, in futuro. Come faremo a sapere se chi ci sta dando le suddette informazioni è una persona reale o se si tratta semplicemente di un dispositivo programmato per diffondere fake news? Penso sia davvero pericoloso.

Dal punto di vista della creatività e dell’arte, ne stiamo già constatando gli effetti nefasti: si vedono già artwork realizzati dall’intelligenza artificiale, band che producono video e photobook generati artificialmente, addirittura album interamente generati dall’IA; a volte le suddette band nemmeno esistono. È assurdo.

In un album di tale livello è davvero difficile scegliere le canzoni più rappresentative, anche se è impossibile non includere “Consequence”, “Sacrificial Lamb” e “Transparent Eye” nel novero degli episodi più entusiasmanti. C'è qualche brano di “Dissonance Theory” al quale ti senti particolarmente legato, o del quale sei particolarmente soddisfatto, e perchè?

Sono davvero soddisfatto di tutti i brani presenti nell’album. Io tendo a considerare ogni nostro lavoro come una singola opera d’arte, quindi per me è davvero difficile rispondere a questa domanda. È come chiedere a un padre di scegliere fra i suoi figli: sono tutti miei bambini, e io li amo tutti allo stesso modo (ride, ndr).

Potrei citare il primo singolo, “Renewal”, per il semplice fatto che è stato forse il brano dalla gestazione più complessa: ho scritto il riff di apertura di questo pezzo nel 2015, durante una vacanza. L’ho fatto sentire a Diego e abbiamo convenuto che non fosse male, ma che non fosse ancora abbastanza ‘forte’ da diventare un nuovo pezzo dei Coroner; così l’ho lasciato in sospeso fino a quando, ormai prossimi alla conclusione delle registrazioni del disco, abbiamo pensato che l’album fosse un po’ corto, e che sarebbe stato bello inserire ancora una canzone.

Allora mi sono ricordato di quell’idea, l’ho rispolverata, ci ho aggiunto una nuova strofa, un nuovo pre-chorus, un nuovo ritornello e tutta la parte centrale, tutto in poche ore. “Renewal”, per me, è quindi la canzone più fresca di tutte, oltre che l’ultima ad essere stata registrata. La amo molto, tant’è che ha finito per essere il primo singolo dell’album.

Negli ultimi quindici anni avete calcato piuttosto spesso i palchi italiani: avete già pianificato di tornare presto nel nostro paese per promuovere “Dissonance Theory”?

Abbiamo profuso molte energie in questo album, e vogliamo portare questi pezzi live il più possibile. Abbiamo una nuova agenzia di booking per l’Europa e una per gli USA e per il resto del mondo; stanno lavorando molto duro per fissare i nuovi show, e torneremo senza dubbio presto nel vostro paese. Amo l’Italia: ho trascorso le mie vacanze estive in Sicilia l’anno scorso, e tutti noi amiamo tutto, della vostra terra, a partire dal cibo. Diego ha anche una casa, da voi. Vive un po’ in Svizzera, e un po’ in Italia.

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