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24/10/2025

Bombe ucraine per gli “alleati” europei

Non butta per niente bene. E le ultime notizie intorno alla guerra in Ucraina appaiono tutte segnali di radicalizzazione ed escalation del conflitto, quasi solo per decisione dei vertici dell’Unione Europea.

C’è da segnalare che sul campo di battaglia le cose volgono chiaramente al peggio per l’esercito di Kiev, che ha addirittura annunciato il parziale ritiro da alcune postazioni strategiche difese fin qui strenuamente (Pokrovsk, Mirnograd, ecc.), mentre il ritmo dell’avanzata russa è cresciuto fino a oltre 36 km quadrati al giorno.

Gli analisti militari fanno notare che dopo questa linea difensiva non c’è praticamente nulla per decine di chilometri, solo campi e ben poche strade. Il morale delle truppe non è altissimo, i pochi reparti ucraini più efficienti vengono continuamente spostati per tamponare le situazioni più critiche ed il reclutamento è diventato una caccia all’uomo nelle città, che sempre più spesso provoca reazioni spontanee avverse dei cittadini.

Una situazione così critica che persino Zelenskij ha cominciato a dire che il congelamento dell’attuale linea del fronte sarebbe “un buon compromesso” per siglare intanto un cessate il fuoco (l’unica proposta reale fin qui arrivata da Trump), smentendosi però subito dopo con la richiesta di “aumentare la pressione su Mosca”.

Che fin qui si è tradotta nel 19° pacchetto di sanzioni europee e nell’annuncio, da parte di Trump, di sanzioni specifiche per Lukoil e Rosneft, due delle principali società petrolifere russe.

Pochi – tra i guerrafondai europei – hanno notato che l’annuncio Usa, arrivato dopo l’annullamento del previsto incontro con Putin a Budapest, ha fatto risalire il prezzo del greggio al di sopra dei 60 dollari al barile. Che è il livello sotto il quale l’estrazione tramite fracking diventa anti-economica. E gli Stati Uniti ormai sono ridotti ad estrarlo solo in questo modo, avendo di fatto esaurito i giacimenti più “facili”.

Insomma: si tratta più di un’autodifesa economica Usa che non di una vera offensiva verso la capacità commerciale russa, che nel frattempo vede crescere le forniture per grandi consumatori di energia (Cina e India su tutti), annullando così senza sforzo le suicide sanzioni europee (che danneggiano quasi soltanto l’economia UE).

Ma le cose, dicevamo, volgono al peggio proprio in Europa. Nelle stesse ore in cui il Consiglio europeo raggiungeva l’accordo per varare il “19% pacchetto” (evidentemente gli altri diciotto non sono serviti allo scopo dichiarato) e il divieto completo di comprare gas russo, alcuni attentati hanno preso di mira due raffinerie di petrolio sia in Ungheria che in Romania.

In Ungheria è stata colpita la raffineria MOL di Százhalombatta, che a quanto pare riceve petrolio russo, mentre in Romania è toccato allla Petrotel-Lukoil, una consociata locale della società madre russa.

Contemporaneamente la Polonia ha approvato una legge che dichiara “non punibili” gli attentati compiuti verso i beni di un “paese invasore”, giustificando così come pienamente legittima la distruzione del gasdotto Nord Stream 2. Il problema è ora convincere la magistratura tedesca, che ha individuato nei servizi ucraini gli autori del sabotaggio che ha lasciato la Germania senza le forniture di gas a basso costo che avevano sostenuto a lungo la sua produzione industriale.

Anche qui gli analisti militari hanno tirato rapidamente le conseguenze: i due attentati sul territorio dell’Unione Europea sono stati compiuti probabilmente dai servizi ucraini con il benestare della stessa UE. Un modo piuttosto sbrigativo, insomma, di colpire i renitenti agli ordini (l’Ungheria del fascista Orbàn) e i furbetti che in pubblico approvano le sanzioni ma in privato continuano a comprare idrocarburi da Mosca (la Romania).

Ciò configura un preoccupante salto di qualità nelle relazioni interne alla UE che va ben oltre il vecchio disegno di cancellare il diritto di veto individuale e così prendere decisioni vincolanti per tutti i membri “a maggioranza”.

Che le cose stiano così è praticamente ammesso dal ministro degli esteri di Varsavia, Radoslaw Sikorski, che con la consueta iattanza ha di fatto rivendicato l’attacco alla raffineria ungherese. Poco prima aveva infatti augurato al comandante delle Forze dei Sistemi Senza Pilota (USF) dell’Ucraina Robert Brovdi (“Magyar”) di distruggere l’oleodotto Druzhba, che porta il greggio russo inUngheria.

Ha espresso tale desiderio in una disputa virtuale con il suo omologo ungherese, Peter Szijjarto, sfottendolo apertamente: “spero che il vostro coraggioso compatriota, il maggiore Magyar, riesca finalmente a mettere fuori uso l’oleodotto che alimenta la macchina da guerra di Putin e che voi otteniate il vostro petrolio attraverso la Croazia”. Detto fatto...

La reazione ungherese non si è fatta attendere, concludendo che “tra nazioni alleate” (nella Nato, peraltro, oltre che nella UE) questo modo di fare porterebbe ad “azzerare le relazioni”. Quella russa si è limitata alla notazione ironica di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri, che ha soprannominato il quasi-collega polacco “Osama Bin Sikorski”.

È di fatto iniziata quella “guerra ibrida”, condotta con mezzi apertamente terroristici, che avevamo ipotizzato come reazione dei guerrafondai europei contro l’ipotesi di un accordo fra Trump e Putin raggiunto senza che al tavolo ci fossero né Kiev, né la UE.

Resta in primo piano comunque la domanda principale: spingere per la prosecuzione della guerra, e l’escalation, con quali obbiettivi? Battere la Russia facendo combattere gli ucraini si è rivelata un’illusione.

La guerra ha usurato certamente Mosca e fatto fare grandi affari al complesso militare-industriale occidentale, al di qua e al di là dell’Atlantico. Ma il “successo” non c’è e non è alle viste. La Russia resta molto coesa, socialmente, e soprattutto ha un arsenale nucleare sufficiente a distruggere parecchie volte il pianeta, così come gli Usa.

Dunque perché insistere così ottusamente? Tutte le guerre iniziano per un errato calcolo dei rapporti di forza, sopravvalutando le proprie capacità rispetto a quelle dell’avversario. Ma in questo caso – parliamo della sola UE, visto che gli Usa si vanno sganciando apertamente – il vantaggio europeo è solo sul piano economico.

Anche volendo contare gli effetti del “piano di riarmo” – ammesso e non concesso che possa essere davvero un “piano europeo” e non una somma di “piani nazionali” in concorrenza tra loro – si parla di anni per provare a raggiungere una parità sul terreno delle armi convenzionali. Mentre resterebbe affidata alla neghittosa America la copertura nucleare.

Più che un errore di calcolo, insomma, sembra cecità di fronte all’evidenza. E se si cominciano già a scambiare bombe e droni tra servizi interni all’Unione Europea, la situazione appare – come dire... – di assai difficile soluzione.

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