Si è concluso da poche ore il tanto atteso confronto tra il presidente USA Donald Trump e quello cinese Xi Jinping. Il tycoon parla di un accordo in arrivo, ed effettivamente qualche apertura si è vista da ambo le parti (a partire dai dazi e dalle terre rare). Ma non si tratta della composizione dei conflitti, quanto piuttosto di “stabilizzare la rivalità” tra le due maggiori potenze mondiali, come ha suggerito la Rand Corporation.
Ma andiamo con ordine. Il faccia a faccia è durato poco meno di due ore, e non si è concluso con una dichiarazione congiunta finale. Date le condizioni con cui si è arrivati a questo incontro non sembra una sconfitta: previsto da tempo a margine del vertice dell’Asia-Pacific Economic Community (APEC), Trump sembrava vicino a farlo saltare con il rilancio della guerra commerciale promosso nelle ultime settimane.
Ma al solito, abbiamo visto in azione i capisaldi della politica TACO (Trump always chicken out, ovvero ‘Trump si tira sempre indietro’), formula diffusa sui media oltreoceano che fa infuriare The Donald, perché – e diremmo noi, stavolta giustamente – è chiara la logica delle sue dichiarazioni poi spesso ritrattate o ammorbidite: minacciare per poi ottenere un accordo più vantaggioso. Forse è sul carattere intimidatorio di una tale prassi che dovrebbero concentrarsi i giornalisti, ma tant’è...
I contenuti: “su una scala da 1 a 10, l’incontro con Xi è stato 12”, dice Trump. Il presidente USA parla di dettagli ancora da limare, ma un accordo complessivo sarebbe in arrivo. Intanto, Trump ha annunciato la riduzione dei dazi sulle merci cinesi dal 57% al 47%, abbassando dal 20% al 10% la tariffa che aveva imposto sui prodotti di Pechino in virtù del supposto ruolo nel traffico di fentanyl.
In cambio, la Cina si impegna a collaborare contro i flussi di questo stupefacente, a tornare ad acquistare grandi quantità di soia stelle-e-strisce, e anche a sospendere per un anno le restrizioni all’esportazione di terre rare, con un’intesa rinnovabile poi annualmente. Un lasso di tempo molto breve, ma di questi tempi rappresenta una boccata d’aria per la complessità dello scenario geopolitico.
Questa stabilizzazione dei rapporti era stata auspicata dalla Rand Corporation, uno dei think tank principali degli States, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’elaborare indirizzi di politica estera per decenni. Nel 2016 ipotizzava vari scenari di guerra con la Cina, entro una decina d’anni, mentre oggi parla di come rendere una lotta senza regole per l’egemonia una competizione su binari prevedibili.
Traducendo dal sito della Rand, leggiamo in un recentissimo rapporto che per limitare i pericoli, pur in un contesto di intensa competizione, è possibile “individuare meccanismi limitati di stabilizzazione in diverse aree problematiche specifiche”, e in particolare gli analisi “offrono raccomandazioni specifiche sia per la stabilizzazione generale della rivalità sia per tre aree problematiche: Taiwan, il Mar Cinese Meridionale e la competizione in ambito scientifico e tecnologico”.
Le terre rare sono un elemento centrale dell’ultimo punto, ma Washington non sembra seguire in tutto e per tutto le indicazioni della Rand. Ad esempio, l’annuncio fatto da Trump tramite il social Truth del rilancio dei test nucleari non si allinea troppo bene con “l’accettazione reciproca della deterrenza nucleare strategica”.
Ma l’aver lasciato da parte, nel confronto a Busan, temi scottanti come Taiwan allontana un confronto militare più o meno diretto. Anduril ha stretto importanti accordi per l’industria bellica con Taipei, ad esempio, ma il rapporto con Washington si è spostato da una difesa senza condizioni a una difesa da pagare profumatamente. Magari anche con il trasferimento, almeno parziale, delle filiere dei chip sul suolo statunitense.
Soprattutto, la Rand ha scritto di “ripristinare diverse linee di comunicazione affidabili tra alti funzionari” e di “migliorare le pratiche di gestione delle crisi, i collegamenti e gli accordi tra le due parti”. L’incontro appena svoltasi va evidentemente in questa direzione: c’era una pletora di figure di spicco di entrambe le amministrazioni accanto ai due presidente.
Xi Jinping ha avallato questo abbassamento dei toni, e la possibilità di intese specifiche su dossier di interesse comune. “La Cina e gli Stati Uniti – ha detto all’inizio dell’incontro – possono assumersi congiuntamente le loro responsabilità di grandi potenze e lavorare insieme alla realizzazione di progetti più ambiziosi e concreti, per il bene dei nostri due paesi e del mondo intero”.
Trump ha già annunciato che si recherà in Cina il prossimo aprile, mentre Xi Jinping farà lo stesso negli Stati Uniti poco dopo, e sembra ci sarà un canale diretto per la negoziazione sulle questioni commerciali. Non un ‘telefono rosso’ come durante la Guerra Fredda, ma è chiaro che questo incontro è stato fatto perché i risultati che ne sono venuti fuori durassero. TACO permettendo.
Un ultimo paio di appunti vanno fatti. Washington e Pechino non sono gli unici attori in gioco. Trump ha annunciato anche nuovi accordi con la Corea del Sud, mentre un paio di giorni fa Cina e ASEAN hanno finalizzato un nuovo accordo commerciale al 47esimo summit dell’organizzazione del Sud-Est asiatico, tenutosi in Malesia. Intanto, l’Indonesia ha emesso per la prima volta obbligazioni sovrane prevalentemente in yuan.
Quello che abbiamo di fronte è un mondo che va cambiando profondamente, e il multipolarismo è un’evidente realtà. Le opportunità di alternative vanno colte anche alle nostre latitudini.
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