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30/10/2025

Massacro a Rio, il nuovo standard

Oltre 20 anni fa un film – Tropa de elite – aveva messo sotto gli occhi del mondo la realtà della “guerra al narcotraffico” a Rio de Janeiro. Un miscuglio inestricabile di emarginazione, violenza (bipartisan), corruzione, scorciatoie autoritarie, memorie golpiste.

Oggi vediamo video che non sono frutto di recitazione, ma di regia sicuramente sì.

2.500 poliziotti pesantemente armati hanno fatto irruzione nelle baraccopoli di Rio per un’operazione antidroga senza precedenti durante la quale si calcola che siano stati sparati 200 proiettili al minuto. Il bilancio è per ora di almeno 132 morti. Si tratta certamente del più sanguinoso raid della polizia contro le gang della droga nella storia della città brasiliana.

I residenti in lutto hanno deposto decine di cadaveri per strada, perché il mondo vedesse. Una donna ascoltata dalla tv Afp ha riassunto il tutto in modo lapidario: “Lo Stato è intervenuto per massacrare, non è stata un’operazione di polizia. Sono intervenuti direttamente per uccidere, per togliere vite”.

L’operazione è stata in effetti di stampo strettamente militare, utilizzando anche 32 mezzi blindati e 12 veicoli da demolizione per distruggere le barricate, ufficialmente contro il Comando Vermelho, o Comando Rosso (naturalmente il colore, in questo caso, non segnala alcun contenuto politico) nel Complesso Penha, uno dei due quartieri operai densamente popolati nella parte settentrionale di Rio, e nel Complexo do Alemao, vicino all’aeroporto internazionale.

La responsabilità dell’operazione, stante la struttura federale del Brasile, è per intero del governatore dello Stato di Rio, Claudio Castro, un fedelissimo di Bolsonaro, con un passato in carcere per corruzione e peculato, che sembra aver colto l’occasione della flotta statunitense schierata davanti al Venezuela per segnalarsi a Trump come plausibile sostituto dell’ex presidente ormai agli arresti per tentato golpe. Del resto, già otto mesi fa aveva spedito un rapporto all’amministrazione Trump per sollecitare la classificazione del Comando Vermelho come “organizzazione terrorista”, ventilando una presunta espansione delle sue attività in Nord America.

E per trascinare anche il presidente Lula in una trincea che non è la sua. Il governatore Cláudio Castro, infatti, si è difeso denunciando di «essere stato lasciato solo» a combattere il crimine organizzato e di essersi visto respingere la richiesta di utilizzo di mezzi blindati da parte dell’esercito.

Le modalità dell’azione sono state non solo particolarmente violente, ma registrate dagli operatori della stessa polizia, per nulla preoccupati – anzi: orgogliosi – di farsi vedere come killer spietati al pari dei più disorganizzati gangster delle favelas. Bombe lanciate con i droni, corpi smembrati a colpi di machete, cadaveri di giustiziati con un colpo alla nuca.

Il leader del Comando Vermelho, Edgar Alves Andrade, noto come Doca, è comunque riuscito a fuggire, protetto da una settantina di uomini, il che suggerisce che quell’intreccio criminalità/corruzione di poliziotti non sia per nulla stato sciolto.

L’Alto commissariato ONU per i diritti umani si è detto «inorridito» per quanto accaduto: «Questa operazione mortale rivela fino a che punto le operazioni di polizia in comunità emarginate del Brasile tendano a produrre conseguenze letali estreme. Ricordiamo alle autorità i loro obblighi in materia di rispetto dei diritti umani e chiediamo indagini rapide ed efficaci».

Al di là delle molte considerazioni che si possono fare, ci sembra evidente che il genocidio a Gaza abbia fissato un nuovo standard di presunta “tollerabilità” sagomato sull’appartenenza delle vittime. Se sono membri fedeli dell’Occidente imperialista, anche solo uno schiaffo dato loro merita una risposta “sproporzionata”. Al contrario, qualsiasi strage, di qualunque dimensione e comunque realizzata, nei confronti degli untermenschen dichiarati “nemico” è pienamente “rispettabile”.

Rio, come Gaza, non è un incidente della storia. È l’orizzonte verso cui stiamo venendo trascinati a forza.

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