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24/10/2025

Da una parte l’annessione della Cisgiordania, dall’altra la divisione di Gaza

La ‘tregua’ di Trump (quattro giorni fa erano 97 i palestinesi uccisi dall’IDF dal suo inizio: una concezione tutta sionista di “tregua”) non solo ha mostrato tutto il carattere coloniale delle soluzioni pensate per la questione palestinese, in cui gli unici interessi considerati sono quelli di Tel Aviv. Ormai comincia a mostrare anche il fatto di essere un preludio all’espansione israeliana.

Infatti, anche se non sembrano andare d’accordo, i processi che stanno portando Israele a estendere la propria sovranità o il controllo di fatto su ulteriori aree che spetterebbero allo stato palestinese vanno a braccetto sia in Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza. E ciò avviene col patrocinio dell’imperialismo occidentale, nonostante il diniego trumpiano all’annessione della West Bank.

Una giornata simbolo di quel che raccontiamo è stata sicuramente mercoledì 22 ottobre. Mentre il vicepresidente statunitense, J. D. Vance, era in visita a Gerusalemme insieme all’inviato speciale Steve Witkoff e al genero del tycoon, Jared Kushner, il parlamento israeliano ha fatto passare in prima lettura due progetti di legge riguardanti l’espansione della sovranità sugli insediamenti in Cisgiordania.

Il primo disegno di legge prevede di estenderla a tutte quante le colonie nella West Bank occupata, ed è stato approvato per un solo voto, 25 favorevoli e 24 contrari. A rompere le righe con l’indicazione del partito di Netanyahu, il Likud, è stato Yuli Edelstein. “La sovranità israeliana in ogni parte della nostra patria – ha dichiarato il parlamentare – è all’ordine del giorno”.

Per l’attuale primo ministro un voto del genere è stato foriero di imbarazzo, soprattutto mentre i vertici stelle-e-strisce erano a Gerusalemme. Da Washington, infatti, ribadiscono la propria contrarietà all’annessione della Cisgiordania. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha ripetuto che le misure discusse dalla Knesset e la violenza dei coloni mettono a repentaglio la tregua, oltre ad essere quasi “un’offesa personale” (come se la sua presenza fosse inutile o solo ingombrante).

Va certamente sottolineato come sia lo stesso Rubio (che ieri si è recato in Israele) a evidenziare l’evidente connessione tra il futuro della Cisgiordania e quello di Gaza, anche se media e politici occidentali si sono prodigati per porre in risalto il “pericolo Hamas” e per nascondere l’apartheid giornaliera nella West Bank.

Bisogna poi inoltre ricordare che la contrarietà da parte degli USA alle mire di Tel Aviv su questa area deriva unicamente dal fatto che ciò rappresenta una linea rossa per i governi limitrofi, mentre l’amministrazione Trump sta cercando in tutti i modi di riaffermarsi come ago della bilancia della regione, e di estendere la normalizzazione degli Accordi di Abramo ad altri paesi arabi.

È quello che in pratica ha detto Trump, in un’intervista telefonica concessa lo scorso 15 ottobre al Time, e di cui la rivista ha pubblicato ieri la trascrizione. The Donald si è addirittura spinto a dire che, se Israele proseguirà sulla strada dell’annessione, perderà il supporto degli USA. Tel Aviv ne è l’agente nella regione, ma è utile finché permette la continuazione della diplomazia di normalizzazione, a partire dall’Arabia Saudita, non se “si mette in proprio” con iniziative che ne pregiudicano l’egemonia.

Il presidente statunitense vorrebbe arrivare a integrare di nuovo, e in breve tempo, Riyad negli Accordi di Abramo, dopo lo smottamento causato dal bombardamento israeliano del Qatar e poi dall’alleanza atomica tra Riyad e Islamabad. Ma se ciò dovesse significare il riconoscimento di uno stato di Palestina, ha detto Smotrich che i sauditi possono continuare “a cavalcare cammelli nel deserto”... salvo poi scusarsi per l’uscita apertamente razzista.

La riottosità interna della maggioranza è evidente, e Netanyahu continua a barcamenarsi tra le varie pressioni. Appena arrivato Vance, il primo ministro ci ha tenuto a ribadire che Israele non è un protettorato statunitense, e i rappresentanti dei settori più esplicitamente genocidari del paese (compresa la sedicente “opposizione” ex laburista) ne hanno approfittato per metterlo in chiaro con un voto. Netanyahu ha riaffermato che non c’è modo che permetta alla legge per l’annessione della Cisgiordania di arrivare alla necessaria terza lettura.

Allo stesso tempo, però, il secondo disegno di legge approvato ha un raggio più limitato: riguarda l’annessione dell’insediamento di Maale Adumim, a est di Gerusalemme. Questo, al contrario del primo, è stato approvato con 32 voti favorevoli e solo 9 contrari. C’è una più chiara tendenza maggioritaria a proseguire nel “rosicchiamento” della Cisgiordania, pezzetto dopo pezzetto.

In una dichiarazione, l’ufficio di Netanyahu ha indicato le proposte di legge come una “provocazione politica” dell’opposizione, dando rassicurazione che “senza il sostegno del Likud, è improbabile che queste proposte di legge vengano approvate”. Andando a osservare più nel dettaglio i provvedimenti proposti, la questione si fa più intricata.

Per quanto sia vero che le due proposte provengono dalle file dell’opposizione, le fazioni vicine al ministro della Sicurezza nazionale Ben-Gvir e al ministro delle Finanze Smotrich hanno dato l’assenso. E Netanyahu non si può permettere di entrare in crisi col governo proprio ora che sta evitando il processo a suo carico. Una vicenda che ci ricorda come quasi tutto l’arco parlamentare sostiene in realtà l’occupazione.

L’obiettivo potrebbe essere proprio quello di cedere su una mossa eclatante e definitiva su tutta la regione per continuare allo stesso modo degli ultimi anni, con meno riflettori puntati addosso. Ciò dipenderà, ovviamente, dalla disponibilità delle frange più estreme del governo di Tel Aviv, e in particolare da Smotrich e Ben Gvir, in quanto diretti rappresentanti del mondo dei coloni.

Infatti, c’è poi anche il complesso affaire Barghuthi. Sempre al Time, Trump ha detto che sta valutando di chiederne la scarcerazione a Israele. La figura del leader palestinese è considerata l’unica in grado di unire il suo popolo, tra Gaza e West Bank: quello che servirebbe a Trump per guidare un effettivo processo di transizione della governance di queste aree, mettendo alle strette Hamas, come sta cercando di fare anche con altre sue mosse.

Ma questo ovviamente non sta bene ad Israele – l’intero arco parlamentare, meno i due comunisti – che semplicemente nega, e non da oggi, che possa esistere uno Stato palestinese e perfino l’esistenza stessa di quel popolo.

Nel frattempo, infatti, le indicazioni rilasciate da Vance e Kushner nella propria conferenza stampa a Gerusalemme sembrano delineare una prospettiva di espansione dell’occupazione sionista anche per Gaza. Il Wall Street Journal, infatti, ha parlato del fatto che Washington e Tel Aviv stanno valutando se far partire la ricostruzione della Striscia solo nella zona di controllo israeliana, fino al disarmo di Hamas.

Vance avrebbe infatti affermato che ci sono due aree a Gaza, separate dalla “linea gialla” che divide Gaza ancora sotto occupazione e quella no. La prima sarebbe relativamente sicura, la seconda incredibilmente pericolosa. L’obiettivo dovrebbe essere quello di espandere quest’ultima geograficamente.

Fino ad allora, ha detto Kushner, i fondi per la ricostruzione affluiranno solo nella zona sicura (ovvero quella sotto controllo israeliano), e solo il disarmo di Hamas potrebbe, in sostanza, sbloccare la situazione. Le parole dei vertici statunitensi sono un evidente ricatto imposto ai palestinesi e il tentativo di trovare una soluzione alla “questione Hamas” rimandando le legittime richieste intorno al futuro governo della Striscia.

I mediatori arabi della tregua si sono opposti a questa soluzione. A loro opinione – a ragione – ciò è il preludio a un’occupazione a lungo termine di oltre il 50% della Striscia, e del resto l’IDF sta già piazzando barriere di cemento lungo la “linea gialla”. A queste condizioni, si sono detti contrari a partecipare al dispiegamento di forze internazionali.

Israele vuole evidentemente frammentare la continuità di Gaza, come ha già fatto con le colonie in Cisgiordania, e vuole anche costruire una sorta di zona cuscinetto dentro la Striscia per evitare che si possa ripetere un caso di ‘esondazione’ delle forze della resistenza dentro i territori israeliani. E ciò significa ancora una volta, se ce ne fosse ancora bisogno, come sia il sionismo a voler mettere la pietra tombale su ogni ipotesi di Stato palestinese, azzerando così ogni ipotesi di “due Stati”.

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