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30/10/2025

L’Istat conferma: le retribuzioni reali in 4 anni hanno perso quasi il 10%

La questione dei salari da fame (e in generale del lavoro sottopagato) che attanaglia l’Italia non accenna a migliorare. E non potrebbe essere altrimenti con le politiche governative apertamente antipopolari. Anche se Giorgia Meloni continua a fregiarsi dei risultati del suo esecutivo, al solito sparando dati senza analizzarli, come quelli sulla disoccupazione.

Su questo giornale abbiamo più volte sottolineato come, ad esempio, oggi lavorare non tolga dal rischio povertà. Ed è facile capire perché, nonostante la propaganda governativa, quando si legge il rapporto periodico sui “Contratti collettivi e retribuzioni contrattuali” dell’Istat, pubblicato ieri per il trimestre luglio-settembre.

“Le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 restano al di sotto dell’8,8% ai livelli di gennaio 2021”, scrive l’istituto di statistica. I salari hanno perso quasi un decimo del loro potere d’acquisto negli ultimi quattro anni, segnati dall’inflazione galoppante e dalla mancanza di conseguenti adeguamenti salariali.

Già l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, qualche giorno fa, aveva messo in guardia sul fatto che, nel secondo trimestre dell’anno in corso, la dinamica delle retribuzioni salariali era andata rallentando. Ora l’Istat afferma che anche nel trimestre appena passato “la crescita tendenziale delle retribuzioni ha rallentato”, pur mantenendosi al di sopra del tasso di inflazione.

È evidente che ciò non basta per recuperare l’aumento dei prezzi a cui abbiamo assistito dopo le politiche fallimentari fatte di sanzioni e guerra commerciale, implementate sempre più pesantemente dopo l’intervento russo in Ucraina. Le scelte deflattive della BCE hanno aiutato solo le banche a fare extraprofitti, mentre il mantenimento di salari bassi è stato salutato con compiacimento da Francoforte.

La retribuzione oraria media è cresciuta del 3,3% nel periodo gennaio-settembre 2025, rispetto allo stesso lasso di tempo del 2024, con incrementi differenziati nei diversi settori. “L’indebolimento della dinamica salariale – scrive l’Istat – è sintesi di un marcato rallentamento nel settore industriale, di una sostanziale stabilità nei servizi privati e di una lieve accelerazione nel comparto pubblico, a seguito dell’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale”.

A settembre 2025, i contratti nazionali ancora in attesa di rinnovo sono 29, coinvolgendo “circa 5,6 milioni di dipendenti, il 43,1% del totale”. Inoltre, “il tempo medio di attesa di rinnovo per i lavoratori con contratto scaduto, tra settembre 2024 e settembre 2025, è passato da 18,3 a 27,9 mesi; per il totale dei dipendenti da 9,6 a 12,0 mesi”.

Ciò mostra sia il fatto che tanti adeguamenti – seppur insufficienti – mancano ad arrivare, peggiorando la condizione dei lavoratori, sia che è sempre più difficile trovare una composizione delle contraddizioni tra capitale e lavoro, nonostante i sindacati complici che firmano la qualunque. E mostra anche come solo un salario minimo per legge possa rappresentare una ‘rete di salvataggio’ per chi vive della propria fatica.

Questa, come altre rivendicazioni, dovranno necessariamente animare le mobilitazioni contro la prossima legge di bilancio, fatta solo di tagli e spese militari, che già sono state chiamate, a partire dallo sciopero generale indetto da USB per il 28 novembre.

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