Se si vuol fare lotta politica bisogna capire la realtà al di là delle apparenze, delle dichiarazioni, dei luoghi comuni ripetuti fino allo sfinimento.
E imparare presto ad “unire i punti” tra i vari eventi, o comportamenti, per trarne delle conclusioni attendibili, evitando come la peste le trappole della “dietrologia” (quella malattia mentale che rende così simili i vaneggiamenti di un “no vax” e di un appassionato ai “misteri sul caso Moro”).
Potremmo prendere le mosse dall’evidente “cambio di marcia” imposto alle forze di polizia nella gestione dell’ordine pubblico – lo sfratto violentissimo di Bologna, le cariche a Napoli, Roma e Torino, ecc. – ma resteremmo invischiati in una serie di argomentazioni sicuramente giuste, ma che rischiano di essere parziali.
Preferiamo quindi concentrare l’attenzione sull’attacco al liceo Bramante occupato a Roma, così come al Da Vinci di Genova e all’Einstein di Torino.
Qui l’accaduto è chiaro, quasi da manuale di storia contemporanea. Gli studenti occupano molto pacificamente la loro scuola per condurre una serie di attività culturali e niente affatto ludiche – situazione in Palestina, “D.L sicurezza”, transfemminismo ed educazione sessuo-affettiva, ecc. – che altrimenti sarebbe rimaste dipendenti da interessi individuali dispersi, esposti ai luoghi comuni e ai fake.
Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre un gruppo di giovani mascherati ed armati di mazze sfonda l’ingresso della scuola, distrugge suppellettili e porte, traccia svastiche sui muri mentre grida cori fascisti e inneggiano al “duce”.
La notte successiva (al Bramante di Roma) si ripresentano, ma non riescono ad entrare nuovamente. Lanciano sassi e bottiglie, qualcuno scavalca la recinzione, provano a sfondare un’altra porta (opportunamente barricata dall’interno, visto il precedente) e insistono inutilmente fino alle 5 di mattina.
Non c’è molto da interpretare. Ma non sfuggono alcuni dettagli grossi come una casa.
In occasione di tutti questi attacchi la polizia – chiamata per telefono da alcuni studenti – ci ha messo in genere ore ad arrivare. Il che è sicuramente inusuale, per fatti del genere.
Una volta sul posto, come da prassi, ha effettuato i rilievi per stabilire la successione degli eventi, sentire i testimoni, ecc.
In tutti questi casi le prime note degli investigatori parlano di “indagini in tutte le direzioni”, minimizzando l’aspetto politico (gli aggressori erano sempre e chiaramente fascisti).
Peggio va il giorno successivo quando in occasione dell’assalto al Leonardo Da Vinci occupato a Genova, in una nota della questura genovese si parla di “maranza”: “Sentiti i primi testimoni, alcuni hanno descritto gli autori del blitz come ragazzi giovanissimi, 15-17 anni, descrivendoli come ‘maranza’. Al momento, per tanto, qualsiasi qualificazione dell’azione è da ritenersi prematura”.
Ci sarebbe da chiedere chi siano questi testimoni che erano per strada in piena notte e che risulterebbero più attendibili degli stessi aggrediti, ma lasciamo perdere. Concentriamoci invece sulla vaga identificazione degli aggressori come “maranza”.
Vengono chiamati così i giovani immigrati di seconda generazione – a tutti gli effetti cittadini italiani – che vivono in genere nelle periferie e costituiscono una fetta dei cosiddetti “neet” (giovani che non vanno più a scuola, non hanno un lavoro, non sono impegnati in corsi di preparazione).
Ossia quelli che i fascisti (doc o in declinazione leghista-salvinian-vannacciana) criminalizzano per il solo fatto di essere in vita. Ai “maranza”, sarà un caso, era stata anche attribuita la responsabilità degli scontri alla stazione di Milano, in realtà innescati da cariche della polizia decisamente immotivate.
Al dunque, insomma, si invocano i “maranza” come “antagonisti antifascisti e pro-pal” e contemporaneamente come “simil-fascisti” (cori e simboli tracciati sui muri sono inequivocabili) che aggrediscono – contemporaneamente e con la stessa dinamica – scuole occupate a Roma, Genova e Torino.
Cavolo! Avevamo un’organizzazione nazionale (almeno quattro delle principali città italiane) in grado di condurre una “campagna” articolata contemporaneamente “contro la polizia” e “contro gli studenti che occupano”... e non ce ne eravamo accorti...
Un’organizzazione, peraltro, fatta di ragazzi che difficilmente hanno interesse a metter su qualcosa di più grande di un gruppo di quartiere, o al massimo una banda a cortissima gittata.
E allora proviamo a unire i puntini.
1) Ci sono molte scuole occupate e gli studenti sono una percentuale rilevante delle persone scese in piazza nell’ultimo mese raccogliendo le chiamate di USB, Potere al Popolo, associazioni varie, altri sindacati di base e infine anche della CGIL.
2) La polizia non interviene quando si verificano assalti alle scuole occupate e quando pure si attiva finisce per... indagare gli studenti aggrediti (come accaduto a Torino). Senza poi dimenticare quanto accaduto al liceo Caravillani di Roma poche settimane fa, nel quale gli aggressori erano identificati e identificabili sul momento (gruppi di squadristi maggiorenni e sionisti).
3) Le indagini prendono “tutte le direzioni” il che è una garanzia di tempi lunghi e nessuna conclusione operativa. E nel frattempo si alimentano “false piste” anche quando c’è la firma esplicita su certe azioni...
Sarà un’impressione solo nostra, confortata magari da alcuni decenni di attività politica in cui di queste cose ne sono successe a migliaia... ma, unendo i puntini, sembra proprio che ci sia effettivamente un’“organizzazione nazionale” che ha come obiettivo far arretrare e poi smobilitare un movimento che nessuno avevano intuito essere così grande. E giovanile.
Quell’organizzazione nazionale, a voler essere maligni ma seri, somiglia come una goccia d’acqua al governo.
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