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22/10/2025

I dazi mettono a rischio 16,5 miliardi di export, ma Urso continua a mentire

Martedì 21 ottobre il Centro Studi di Confindustria (CSC) ha diffuso notizie allarmanti rispetto alle prospettive delle esportazioni italiane. Infatti, scrivono da via dell’Astronomia, “i dazi statunitensi e la svalutazione del dollaro rispetto all’euro (+12,7% da inizio anno) determinano un possibile crollo delle esportazioni italiane negli USA pari al –16,5%”.

Sul medio-lungo periodo, insomma, le tariffe imposte dall’amministrazione Trump, ‘amica’ del governo Meloni, potrebbero far ridurre le esportazioni totali del 2,7%. L’effetto maggiore si avrebbe, inoltre, in settori come autoveicoli, ma anche alimentari, bevande, calzature, pelli e altre attività manifatturiere che sono considerate il cuore del made in Italy.

Se si allunga lo sguardo a tutte le catene di produzione europee, l’impatto potrebbe arrivare al -3,8% dell’export manifatturiero, con un conseguente -1,8% della produzione. Una batosta difficile da reggere per l’Italia, come ci ricorda il fatto che il risparmio precauzionale rimane forte nel Belpaese, limitando anche i consumi.

Ma è una batosta anche per il modello export-oriented della UE, che da anni arranca nella crisi. È proprio Confindustria a ricordarci che gli acquisti statunitensi dalla UE si sono ridotti dell’8,7% annuo in giugno-luglio. Per quanto riguarda poi le esportazioni italiane di beni verso gli USA, esse ad agosto sono già crollate del 21,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, dopo la corsa che avevano fatto appena prima dell’implementazione delle tariffe.

Rimane tra l’altro sospesa la questione dei dazi aggiuntivi che potrebbero essere posti sulla pasta da gennaio 2026, in seguito all’indagine antidumping del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Essi andrebbero a colpire un mercato da quasi 700 milioni di euro. Gli scenari, dunque, potrebbero essere ancora più foschi.

Intanto, secondo il CSC, “le produzioni europee di alta qualità, disegnate per soddisfare le esigenze dei clienti, sono più difficili da sostituire. Ciò rende una parte delle esportazioni italiane ed europee relativamente più resilienti ai dazi nel breve periodo. Tuttavia, un processo di sostituzione si avvierà nel tempo, se i dazi si confermeranno persistenti e se la capacità produttiva USA (o dei paesi USMCA – USA, Messico, Canada, ndr –) diventerà adeguata a soddisfare la domanda”.

Poiché Washington pretende anche che Bruxelles rinegozi i suoi rapporti commerciali con altri attori globali, Cina in primis, appare chiaro che si delinea uno scenario in cui l’unico sbocco che i prodotti del Vecchio Continente potranno avere sarà quello del mercato interno. Reso però asfittico da bassi salari e compressione della spesa pubblica. L’incancrenirsi della crisi è perciò assicurato.

Fa perciò strano sentire il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ribadire soddisfatto gli ottimi risultati del governo Meloni in tema export, in un’intervista al Quotidiano Nazionale. Al di là del fatto che la sua affermazione, secondo la quale nel 2024 l’Italia sarebbe diventata il quinto paese al mondo per esportazioni, superando la Corea del Sud, non è comprovata dai dati OCSE, il totale di quanto venduto all’estero lo scorso anno era già comunque leggermente inferiore al totale del 2023.

Poiché le bugie hanno ‘le gambe corte’, e i fatti hanno ‘la testa dura’, è il caso che si renda conto del reale quadro in cui si muove l’Italia.

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