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21/10/2025

Si allontana il “vertice di Budapest”

Risolvere una guerra è certamente difficile. Provare a farlo senza soluzioni concrete e con grandi divisioni in uno dei due fronti è praticamente impossibile.

Nel caso dell’Ucraina sta diventando evidente che Trump non è in grado, almeno per il momento, di trattare seriamente con la Russia le questioni “esistenziali” che hanno fatto da innesco per la guerra. Si tratta dello stop definitivo all’espansione a est della Nato, la neutralizzazione e smilitarizzazione dell’Ucraina, un accordo strategico sulle relazioni russo-occidentali che le metta in sicurezza sul lungo periodo.

Tutte cose dette e ridette, ancor prima dell’invasione russa, ma tenute in nessun conto da Biden e il suo circolo di suprematisti “umanitari” (quelli che stendono una verniciata di “valori” sulla consueta aggressività imperiale). Poi cancellate del tutto quando Boris Johnson si mise di traverso alla trattativa di Istanbul (2022), promettendo l’impossibile e l’improbabile.

Il “presidente della sconfitta Usa”, Donald Trump era il frontman di quell’America che ha capito che questa guerra era ormai persa, ma sembra non aver ancora a disposizione le leve giuste per mettervi fine: aprire un confronto vero sulle “questioni di sicurezza” che la Russia ha posto. Un problema che va ben al di là di qualche chilometro di territorio in più o in meno, per quanto possano sembrare rilevanti ad entrambe le parti.

Così si è andati avanti tra grandi annunci pubblicitari e zero avanzamenti nella discussione vera. Con in più gli “alleati europei” ancora fermi alla visione bideniana che vede come unica soluzione una “sconfitta di Putin” che ormai sa di barzelletta.

Ora però i giochi si complicano.

Sembrava che tutto fosse pronto per un nuovo vertice Trump-Putin, a Budapest, tanto che i due ministri degli esteri – Marco Rubio e Sergej Lavrov – avrebbero dovuto vedersi oggi per concordare un ordine del giorno per quell’incontro.

Tutto rinviato, senza spiegazioni. Dando così indirettamente ragione agli scettici che non vedevano ancora delineato un canovaccio serio di trattativa.

Il “cessate il fuoco preventivo” – unica proposta avanzata da “The Donald” – era del resto stato bruciato dai “volenterosi” europei che anticipavano di volerlo utilizzare per mandare proprie truppe in Ucraina. E nessuno ferma i combattimenti in cui sta vincendo per permettere agli avversari di rafforzarsi... 

Il resto – cessione di territori ucraini in corrispondenza della linea del fronte – non risolve le preoccupazioni russe e probabilmente farebbe crollare la giunta di Kiev, oltre che il morale delle truppe ucraine, già decisamente basso.

Per di più l’ex comico, appena uscito a mani vuote dall’ennesima visita a Washington, è corso a chiedere aiuto ai paesi europei per ottenere qualcosa che possa mantenere abbastanza alta la capacità operativa del suo esercito. Ma senza i sognati “game changer” – i Tomahawk, stavolta, che Trump non ha concesso e che gli europei non hanno – il resto si riduce alla solita ferraglia, qualche missile a medio raggio in più e un po’ di sistemi elettronici. Ma anche questa roba, ormai, comincia a scarseggiare nei magazzini degli eserciti continentali... 

Giovedì, comunque, Zelenskij sarà a Bruxelles e gli verranno promessi più fondi, più armi e misure per colpire l’economia russa con nuove sanzioni. Come se nessuno sapesse – tra i diretti interessati – che anche la UE ha praticamente dimezzato gli aiuti, che l’economia russa va piuttosto bene e che le sanzioni, al contrario, hanno fatto piegare le gambe all’Europa, costringendola a cercare alternative costose al gas russo decisamente più a buon mercato.

Secondo le indiscrezioni lasciate filtrare ai media, i leader europei mirano a concordare un pacchetto di sostegno tripartito per dare a Zelenskij la posizione più forte possibile nei negoziati su qualsiasi potenziale tregua. Ovvero per contrastare la già deficitaria “strategia” trumpiana.

La vicenda ucraina pare così bloccata tra una (statunitense) velleità di pace poco strutturata ed una (europea) volontà di guerra senza le risorse per diventare effettiva. Inevitabile che perciò vada avanti, peggiorando di giorno in giorno la posizione con cui Kiev – in una data al momento non immaginabile – si presenterà davvero al tavolo delle trattative.

Quanto alla Russia, si moltiplicano le “voci” secondo cui, in patria, Putin sarebbe criticato come “eccessivamente moderato” nella conduzione della guerra. E non mancano gli analisti internazionali di alto livello – per esempio Gilbert Doctorow – pronti a spiegare la differenza reale tra “operazione militare speciale” e “guerra” nella dottrina militare russa.

È la differenza che passa tra il combattere con “una mano legata dietro la schiena”, come da quasi quattro anni a questa parte, o far male sul serio. Sia agli ucraini, sia agli scervellati che pensano di poter condurre una guerra “a mezzo di terzi” senza, prima o poi, pagare un prezzo alto.

Non c’è ancora un “ordine del giorno” su cui concordare un incontro, figuriamoci un processo di pace reale...

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