Verso la metà di agosto, quando si è
saputo che due cittadini tedeschi, Thomas Kram e Christa Frohlich,
erano stati iscritti sul registro degli indagati per la strage di
Bologna del 1980, alcuni vecchi depistatori si sono ubriacati a suon
di champagne e, fra un bicchiere e l’altro, non hanno potuto far altro
che scambiare lucciole per lanterne.
Dopo un lungo periodo di raccolta di informazioni sui due tedeschi in relazione alla pista palestinese,la Procuradi Bologna doveva iscriverli nel registro degli indagati come condizione preliminare per poter decidere, cosa che avverrà in futuro, se riscrivere o meno la vicenda del più grave crimine politico compiuto durante la Prima Repubblica.
Dopo un lungo periodo di raccolta di informazioni sui due tedeschi in relazione alla pista palestinese,la Procuradi Bologna doveva iscriverli nel registro degli indagati come condizione preliminare per poter decidere, cosa che avverrà in futuro, se riscrivere o meno la vicenda del più grave crimine politico compiuto durante la Prima Repubblica.
Per
questo motivo, a differenza di quanto ritiene Andrea Colombo sul
settimanale “Gli Altri” del 2 settembre, non è affatto vero che
“l’indagine su Thomas Kram e Christa Frohlich” renderebbe “più fragile
la sentenza contro i Nar”. Se furono deboli le prove d’accusa contro i
neofascisti dei Nar (e indiscutibili, preziosissime e fondamentali le
prove contro i ben più pericolosi e criminali depistatori di Stato
interni al Sismi), quelle contro i due tedeschi sono del tutto
inesistenti.
L’iscrizione di questi ultimi sul registro degli indagati non significa di per sé che la Procura di Bologna possieda qualcosa in più rispetto alle ipotesi fatte in questi anni sulla pista palestinese e di “sufficiente per avviare ufficialmente l’indagine”. Lo stesso Andrea Colombo sa benissimo che la pista palestinese “non è solida come hanno cercato di spacciarla i commissari di centrodestra della Mitrokhin”. Auspica, di conseguenza, che le indagini abbiano “qualcosina in più”, ad esempio a proposito di un incontro che sarebbe avvenuto nell’ottobre 1980, a Budapest, fra Carlos e i due tedeschi, ma così facendo si rivela più maldestro di quei commissari. Quella eventuale riunione non rende affatto “più corposa” la pista palestinese rispetto ad una strage di Bologna avvenuta… due mesi prima!
L’iscrizione di questi ultimi sul registro degli indagati non significa di per sé che la Procura di Bologna possieda qualcosa in più rispetto alle ipotesi fatte in questi anni sulla pista palestinese e di “sufficiente per avviare ufficialmente l’indagine”. Lo stesso Andrea Colombo sa benissimo che la pista palestinese “non è solida come hanno cercato di spacciarla i commissari di centrodestra della Mitrokhin”. Auspica, di conseguenza, che le indagini abbiano “qualcosina in più”, ad esempio a proposito di un incontro che sarebbe avvenuto nell’ottobre 1980, a Budapest, fra Carlos e i due tedeschi, ma così facendo si rivela più maldestro di quei commissari. Quella eventuale riunione non rende affatto “più corposa” la pista palestinese rispetto ad una strage di Bologna avvenuta… due mesi prima!
Colombo non è nuovo a queste confusioni sui tempi.
Alcuni anni fa scrisse un libro in cui ipotizzava che la strage del 2 agosto 1980 sarebbe stata organizzata per far uscire subito di galera il palestinese Saleh, arrestato a Ortona nel 1979 mentre stava trasportando un missile. Colombo pensava che Saleh fosse uscito di prigione poco tempo dopo l’eccidio. Adesso, sapendo che quella sua ipotesi era del tutto falsa, cambia versione. Secondo il suo attuale approccio, la strage del 2 agosto 1980 sarebbe stata organizzata da un gruppo collegato al Fplp diretto dal dottor George Habbash e avallata da quest’ultimo allo scopo di vendicare l’arresto di Saleh. Ma pure questo movente non regge.
Alcuni anni fa scrisse un libro in cui ipotizzava che la strage del 2 agosto 1980 sarebbe stata organizzata per far uscire subito di galera il palestinese Saleh, arrestato a Ortona nel 1979 mentre stava trasportando un missile. Colombo pensava che Saleh fosse uscito di prigione poco tempo dopo l’eccidio. Adesso, sapendo che quella sua ipotesi era del tutto falsa, cambia versione. Secondo il suo attuale approccio, la strage del 2 agosto 1980 sarebbe stata organizzata da un gruppo collegato al Fplp diretto dal dottor George Habbash e avallata da quest’ultimo allo scopo di vendicare l’arresto di Saleh. Ma pure questo movente non regge.
Il
piduista e faccendiere del Sismi Francesco Pazienza, condannato con
sentenza definita per depistaggi sulla strage di Bologna, in una
intervista pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 30 gennaio 2009
dichiarò che durante la campagna presidenziale statunitense del 1980
aveva contribuito alla vittoria di Reagan (insediatosi alla Casa Bianca
il 20 gennaio 1981) perché diede ai reaganiani l’informazione secondo
cui il fratello del presidente in carica Jimmy Carter aveva dei buoni
rapporti con George Habbash.
In
altre parole, traducendo il significato implicito delle parole di
Pazienza, nell’agosto del 1980 George Habbash non era per nulla
interessato a far compiere o ad avallare degli attentati in Italia
perché, oltre ai tradizionali rapporti diplomatici con il nostro
paese, aveva delle buone relazioni tattiche con gli Usa di Carter.
Su questo punto non insiste neppure il deputato di Fli Enzo Raisi, cioè l’ex commissario di centrodestra della Mitrokhin che alcuni anni or sono depositò alla Procura di Bologna i documenti che stanno all’origine dell’attuale iscrizione dei due tedeschi sul registro degli indagati.
Su questo punto non insiste neppure il deputato di Fli Enzo Raisi, cioè l’ex commissario di centrodestra della Mitrokhin che alcuni anni or sono depositò alla Procura di Bologna i documenti che stanno all’origine dell’attuale iscrizione dei due tedeschi sul registro degli indagati.
Raisi ritiene che per
dimostrare la validità della pista palestinese bisognerebbe puntare
solo ed esclusivamente sull’ipotesi dello “scoppio accidentale”: “loro
stavano trasportando l’esplosivo, come facevano sempre, che scoppiò
per caso” (intervista a Raisi del 20 agosto pubblicata su “Il Resto
del Carlino”). L’unica spiegazione rimasta alla pista palestinese
sarebbe quindi quella relativa allo scoppio accidentale. Questa
ipotesi, d’altra parte, risulta antitetica rispetto ad ogni minima
valutazione di carattere tecnico-scientifico. Vediamo perché.
La
strage di Bologna del 2 agosto 1980 fu causata dalla deflagrazione di
una valigia piena di circa 20 chilogrammi di “Compound B”, un esplosivo
di fabbricazione militare, per altro in dotazione ad istituzioni
come la NATO, che non scoppia da solo o per un “incidente”.
Il “Compound B” ha bisogno di un innesco per poter scoppiare, cioè di un qualche tipo di marchingegno meccanico o elettronico per la detonazione, e di qualcuno che lo abbia inserito preventivamente. Infine, tanto per dimostrare la totale infondatezza della pista palestinese rispetto alla strage di Bologna, è necessario ricordare che nella storia della Prima Repubblica l’uso criminale del “Compound B” ha sempre avuto una precisa matrice politica reazionaria.
Il “Compound B” ha bisogno di un innesco per poter scoppiare, cioè di un qualche tipo di marchingegno meccanico o elettronico per la detonazione, e di qualcuno che lo abbia inserito preventivamente. Infine, tanto per dimostrare la totale infondatezza della pista palestinese rispetto alla strage di Bologna, è necessario ricordare che nella storia della Prima Repubblica l’uso criminale del “Compound B” ha sempre avuto una precisa matrice politica reazionaria.
Come
si è saputo alla fine del 1995 grazie ad una perizia ordinata dalla
Procura di Pavia, il “Compound B” fu l’esplosivo che, collegato in
precedenza ad un congegno meccanico da alcuni esperti dei servizi
segreti militari italiani, il 27 ottobre 1962 uccise il dirigente
dell’Eni Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista
William Mc Hale.
In sintesi: l’arma,
il movente e la matrice politica della strage di Bologna non hanno
letteralmente nulla a che fare con i palestinesi.
di Sandro Padula, ex militante delle Brigate Rosse e attualmente in regime di semilibertà
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