È uscito il secondo episodio di
«Humanitarian War», famosa fiction washingtoniana sulla Libia. Ecco il
trailer: aiutati i libici a liberarsi dal feroce dittatore, i buoni,
guidati dall’eroico Chris, continuano ad aiutarli con uguale
disinteresse; ma i cattivi – i terroristi ancora annidati nel paese –
uccidono Chris che «rischiava la vita per aiutare il popolo libico a
costruire le fondamenta di una nuova e libera nazione» (Hillary
Clinton) e, «fatto particolarmente tragico, lo uccidono a Bengasi,
città che aveva aiutato a salvare» (Barack Obama); il Presidente invia
una «forza di sicurezza» in Libia, ma sono gli abitanti di Bengasi,
scesi spontaneamente in piazza con cartelli inneggianti a Chris, a
cacciare i cattivi dalle loro tane. In attesa del terzo episodio, uno
sguardo alla realtà.
Chris
Stevens, ambasciatore in Libia dallo scorso maggio, era stato
rappresentante speciale Usa presso il Cnt di Bengasi durante la guerra:
ossia il regista dell’operazione segreta con cui erano state reclutate,
finanziate e armate contro il governo di Tripoli anche milizie
islamiche fino a poco prima bollate come terroriste. Novello
apprendista stregone, Chris Stevens è stato travolto dalle forze da lui
stesso create quando, abbattuto il governo di Tripoli, in veste di
ambasciatore Usa ha diretto l’operazione per neutralizzare le milizie
ritenute da Washington non affidabili e integrare nelle forze
governative quelle affidabili.
Operazione estremamente complessa: ci sono in Libia almeno 100mila combattenti armati, appartenenti a svariate formazioni, comprese alcune gheddafiane. Tripoli controlla oggi solo una parte minore del territorio. È iniziata la disgregazione dello stato unitario, fomentata da interessi di parte. La Cirenaica – dove si trovano i due terzi del petrolio libico – si è autoproclamata di fatto indipendente, e lo vuol essere anche il Fezzan, dove sono altri grossi giacimenti, mentre alla Tripolitania resterebbero solo quelli davanti alle coste della capitale.
La balcanizzazione della Libia rientra nei piani di Washington, se non riesce a controllare lo stato unitario. Ciò che preme agli Usa e alle potenze europee è controllare il petrolio libico: oltre 47 miliardi di barili di riserve accertate, le maggiori dell’Africa. Importante per loro è disporre anche del territorio libico per lo spiegamento avanzato di forze militari.
La forza di rapido spiegamento dei marines, inviata da Obama in Libia con il supporto dei droni di Sigonella, ufficialmente come risposta all’uccisione dell’ambasciatore, non è né la prima né l’ultima. Il Pentagono aveva già inviato forze speciali e contractor a presidiare le maggiori piattaforme petrolifere, e ora si prepara a un’azione «antiterrorista». Sono da tempo sbarcate le compagnie petrolifere che, con accordi ufficiali e sottobanco (grazie alla diffusa corruzione), ottengono contratti molto più vantaggiosi dei precedenti. Si prepara allo stesso tempo la privatizzazione dell’industria energetica libica. Partecipa alla spartizione del bottino anche il Qatar che, dopo aver contribuito alla guerra di Libia con forze speciali infiltrate e forniture militari, spendendo oltre 2 miliardi di dollari, ha ottenuto il 49% (ma di fatto il controllo) della Banca libica per il commercio e lo sviluppo. Un buon investimento, quello della guerra.
Operazione estremamente complessa: ci sono in Libia almeno 100mila combattenti armati, appartenenti a svariate formazioni, comprese alcune gheddafiane. Tripoli controlla oggi solo una parte minore del territorio. È iniziata la disgregazione dello stato unitario, fomentata da interessi di parte. La Cirenaica – dove si trovano i due terzi del petrolio libico – si è autoproclamata di fatto indipendente, e lo vuol essere anche il Fezzan, dove sono altri grossi giacimenti, mentre alla Tripolitania resterebbero solo quelli davanti alle coste della capitale.
La balcanizzazione della Libia rientra nei piani di Washington, se non riesce a controllare lo stato unitario. Ciò che preme agli Usa e alle potenze europee è controllare il petrolio libico: oltre 47 miliardi di barili di riserve accertate, le maggiori dell’Africa. Importante per loro è disporre anche del territorio libico per lo spiegamento avanzato di forze militari.
La forza di rapido spiegamento dei marines, inviata da Obama in Libia con il supporto dei droni di Sigonella, ufficialmente come risposta all’uccisione dell’ambasciatore, non è né la prima né l’ultima. Il Pentagono aveva già inviato forze speciali e contractor a presidiare le maggiori piattaforme petrolifere, e ora si prepara a un’azione «antiterrorista». Sono da tempo sbarcate le compagnie petrolifere che, con accordi ufficiali e sottobanco (grazie alla diffusa corruzione), ottengono contratti molto più vantaggiosi dei precedenti. Si prepara allo stesso tempo la privatizzazione dell’industria energetica libica. Partecipa alla spartizione del bottino anche il Qatar che, dopo aver contribuito alla guerra di Libia con forze speciali infiltrate e forniture militari, spendendo oltre 2 miliardi di dollari, ha ottenuto il 49% (ma di fatto il controllo) della Banca libica per il commercio e lo sviluppo. Un buon investimento, quello della guerra.
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