È presto per dire “ormai è
fatta”, ma le premesse sono state poste tutte. La sortita newyorkese del
“Professore” ha tolto il velo di incertezza che circondava la prossima
legislatura:
il “governo tecnico”
proseguirà anche dopo le elezioni, qualsiasi sia il loro risultato,
perché così voglio, pretendono e impongono “i mercati”, Wall Street, la
Casa Bianca, la Germania e l'Europa.
«Non penso ci sarà una seconda occasione, ma se dovesse servire io ci sarò».
La
decodifica diventa quasi inutile, ma per quel poco che serve va fatta.
La crisi è lunga (l'ha detto lui stesso all'Assemblea dell'Onu), non ci
sono soluzioni alle viste, la barca italiana è tra le più fragili nel
mare in tempesta; i partiti “locali” esprimono una classe politica
inadeguata e rissosa, non hanno ancora ben compreso il mutamento di
realtà che la crisi economica sta producendo. Ma bisogna rispettare le
scadenze formali della democrazia, anche se è chiaro quanto questa sia
per “il potere” ormai un impiccio, più che uno strumento di costruzione
del consenso. Ad aprile ci saranno perciò le elezioni politiche (anzi:
un election day per rinnovare anche alcuni consigli regionali già
in crisi o che lo saranno presto, il Comune di Roma che diventa “area
metropolitana” cancellando la Provincia, ecc), anche se ancora non si sa
con quale legge andremo alle urne.
La
sortita del Professore risolve anche questo problema: ci andremo con
una legge elettorale proporzionale (con o senza premio di maggioranza
per il primo partito), perché in tal modo è assolutamente certo che non
ci sarà alcuna maggioranza politica sufficientemente coesa e stabile.
Quindi si creeranno quelle “circostanze particolari” per cui sarà
indispensabile “richiamare in servizio permanente effettivo”
(l'espressione militare è stata pronunciata da Pierferdy Casini, ed è
tutta un programma) Monti ed almeno una parte della sua squadra di
governo.
Monti ha scelto con cura il luogo della sua esternazione. Ha parlato al Council on foreign relations di
New York, una sorta di istituzione non formalizzata che ha tra i suoi
direttori ex segretari di Stato come Madeleine Albright e Colin Powell.
Insomma, uno di quei centri – al pari del Bilderberg o la Trilateral –
che hanno da qualche decennio sostituito i “salotti buoni” e i “circoli
del golf” nazionali, come luogo di formazione delle principali scelte
politiche; perlomeno di quelle “condivise”. Tra coloro che gli
rivolgevano la domanda “resti o no?”, per capirci, c'è gente come David
M. Rubinstein, cofondatore del gruppo Carlyle, “che gestisce oltre 150
miliardi di dollari in almeno tre continenti” e ha vantato tra i suoi
dirigenti George Bush padre, Frank Carlucci, John Major, nonché – in
Italia - Chicco Testa, Letizia Moratti e Marco De Benedetti (mica il proprietario di Repubblica, solo il figlio). Soldi da spostare a seconda della risposta.
In
questo tempio del capitale multinazionale Monti ha messo sul piatto la
sua “disponibilità fornendo una spiegazione assolutamente
tecnico-finanziaria, inconfutabile: “dato che mi trovo in un contesto in
cui quotidianamente tutti nei mercati manifestano preoccupazione e
incertezze su cosa succederà dopo le elezioni, offro solo elementi di
rassicurazione oggettiva”. Sono insomma io il garante dell'affidabilità
dell'Italia come fedele esecutore di quanto altrove viene deciso. Detto
altrimenti: resta, Rubinstein, ti faremo guadagnare...
Naturalmente
questo distrugge la credibilità delle elezioni di aprile. E diventa un
problema serio per i partiti che devono “motivare” l'elettorato. Che
senso ha andare a votare se si sa già che andremo avanti con Monti
qualsiasi partito scegliamo? L'unico senso possibile sarebbe tra un voto
allo schieramento pro-Monti e uno a quelli contrari. Una sorta di
bipolarismo “forzoso” che prosegue il ventennio berlusconiano alle
nostre spalle senza però più il pathos dell'antiberlusconismo d'accatto.
Per
il Pd è una notizia mortale, che lo ha immediatamente spaccato al suo
interno. I democristiani come Fioroni i e Letta gongolano nel sapersi
blindati anche in futuro; Bersani starà cominciando a pensare alla
pensione, e persino Renzi intuisce di esser stato “rottamato” prima
ancora di partire col camper.
Diventa
un problema anche per il “partito di repubblica”, costretto ormai ad
arrampicarsi sugli specchi: “Obama e Wall Street tifano Monti, è lui il
vero anti-Berlusconi"; o anche “La Casa Bianca confida nel premier
italiano per proseguire il dialogo con la Germania. I timori degli Stati
Uniti: Silvio può tornare?". Silvio? Come ricorda giustamente Monti,
“mi ha scoperto lui, nel '94. nominandomi commissario europeo”. Ma quale
“ vero anti-Berlusconi”...
Ma
è un problema anche per l'opposizione sociale, che deve dare
immediatamente segni di vita (prima e dopo il No Monti Day” del 27
ottobre). Segni di vita sul piano politico, perché “lottare” nelle singole situazioni non basta. Si dovrebbe puntare a vincere, qualche volta...
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