Qualche mese fa, all'epoca di una delle convention alla Leopolda di Firenze, abbiamo tracciato un profilo di analisi delle strategie di marketing politico di Matteo Renzi.
Rileggendolo vi si possono trovare i tratti principali dei
comportamenti renziani. Che appaiono stabilizzati, definiti e
quindi possibile oggetto di approfondimento. Ma c'è una cosa che Renzi e
il suo staff hanno sottovalutato. Ovvero cosa significa, nella società
dello spettacolo, reiterare lo stesso tipo di personaggio. Stiamo
parlando dell'eterno ritorno del giovane che vuole rottamare, oramai
configurabile come un Peter Pan delle primarie di qualsiasi livello.
Una regola fondamentale della società dello spettacolo, tanto più in
politica, ricorda che la reiterazione dello stesso personaggio produce un
accumulo di satira e di ironia diffusa. Non a caso le grandi dittature
hanno prodotto grandi vignette. La reiterazione dello stesso
personaggio, delle stesse posture, porta all'ingessatura della persona
che si propone scatenando profondi moti sotterranei, e non, di riso e di
ironia. Siccome Renzi non è un dittatore, in quel ruolo farebbe anche
più ridere, e deve prendere voti, l'effetto ridicolo creato dalla
continua riproposizione della medesima immagine di sé potrebbe davvero
essergli nocivo.
Silvio Berlusconi, il maestro di bottega di Renzi,
conosceva queste regole. Infatti, per ovviare all'effetto ridicolo (e
ne ha prodotto tanto), cambiava continuamente modalità di
rappresentazione del proprio personaggio. Abbiamo infatti avuto il
presidente-imprenditore, il presidente del Milan, persino il presidente
operaio. Renzi, invece, non riesce a liberarsi, da qualche anno, della
filastrocca rottamazione-merito-innovazione che oltretutto fa molto
nostalgia anni '80-'90. Per uno che ostenta l'ambizione di diventare
presidente del consiglio, il primo vero Tony Blair di Rignano
sull'Arno, è sicuramente un punto di debolezza. Infatti Renzi,
prigioniero non di una politica ma di un personaggio, salta da una
primaria all'altra riproponendo, in differenti contesti lo stesso tipo
di spettacolo. Non è riuscito a stare politicamente fermo su un ruolo
istituzionale, una stagione di governo. Non a caso, quindi, anche
le figure con le quali si accompagna ripetono lo stesso jingle da
sempre. Ad esempio l'economista Zingales, che non si rende conto di
apparire in tv come la caricatura dell'economista liberista "tagli e
rigore", e il sempreverde Ichino per il quale il salario è equo e
conforme a costituzione solo quando coincide con la mancia.
Renzi si
è così ormai avvitato nell'imitazione, non si sa quanto involontaria,
di Carcarlo Pravettoni, l'imprenditore milanese sintesi del colmo del
berlusconismo, della retorica grottesca del merito, impersonato da
Paolo Hendel nelle trasmissioni di satira di diversi anni fa. Una delle
presentazioni iniziali delle puntate di Pravettoni recitava: "l'unico
manager pagato dalla concorrenza perché resti dov'è".
Il Renzi
più giovane deve aver visto troppo quelle trasmissioni. Deve aver fatto
come quei giovani aspiranti broker che guardavano Gordon Gekko, nel
primo Wall Street, dimenticandosi che quella di Oliver Stone era una
rappresentazione critica non la celebrazione del pescecane di borsa. In
effetti si pagherebbe volentieri per lasciare Renzi dove è, in una
candidatura alle primarie infinita quanto le soap opera giapponesi. Fa
ridere, è grossolano e improbabile, attira una audience cinica come
infedele e instabile (pronta a disarcionarlo al primo problema) e
potrebbe distruggersi da solo con il ridicolo che attira.
Purtroppo, in un paese in seria decomposizione sociale e politica anche
personaggi di questo calibro vengono presi sul serio. Persino un
Pravettoni al potere può sembrare un programma politico all'altezza dei
tempi. Curiosamente, vista anche la parabola politica di Berlusconi e
Grillo, il futuro elettorale di questo paese sembra essere scritto nel
passato della televisione. Non durerà ma può durare abbastanza per
paralizzare un paese.
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