Sono
del tutto fuori bersaglio i titoli con i quali i nostri media hanno
presentato agli italiani la crisi che ha coinvolto le ambasciate
americane e occidentali nei paesi musulmani. Attori diversi hanno
animato le diverse piazze e non sempre ispirati dalla stessa agenda, ma
sempre con un seguito popolare molto esiguo. Nella maggior parte dei
paesi si è trattato di manifestazioni frequentate da qualche centinaio
di persone, quelle più affollate ne hanno radunate qualche migliaio. Il
che smentisce l’idea di una rivolta generale del mondo arabo e
musulmano, qualcuno ha cavalcato la faccenda del film, ma le masse arabe
e musulmane sono rimaste per lo più indifferenti, quando non
addirittura seccate per la veemenza di certe dimostrazioni.
Ogni
manifestazione ha avuto una storia a sé e quella dell’attacco al
consolato di Bengasi è stata l’unica occasione nella quale uomini armati
hanno sparato contro gli americani. In Bahrein si sono visti in strada i
sunniti pro-monarchia e gli sciiti che chiedono le riforme, ai quali
per una vota è stata rubata la scena, anche se i governativi non hanno
mancato di attaccare la loro manifestazione e d’ignorare quella contro
il film blasfemo.
In
Giordania e Marocco pochi manifestanti hanno sfilato tenuti a prudente
distanza dalle ambasciate, molti meno di quanti anche in queste
settimane hanno manifestato contro le monarchie. Anche in Indonesia, il
paese musulmano più popoloso al mondo, non si è andato oltre le
centinaia, così in Pakistan, Afghanistan, Siria e Iran, dove le proteste
avevano il chiaro imprimatur del governo. Più robusta la presenza in
strada in Iraq, dove si è colta l’occasione per chiedere agli americani
di sloggiare definitivamente.
I
paesi nei quali le proteste sono state più animate non hanno comunque
offerto scorci di tragedia paragonabili a quanto accaduto in Libia. In
Egitto, dove le proteste erano cominciate per prime, il venerdì è
trascorso in quello che ormai è un rituale confronto tra polizia e
manifestanti, ci sono infatti parecchi egiziani che quando c’è da
affrontare la polizia si presentano comunque e ieri erano in piazza
anche se i Fratelli Musulmani avevano fatto sapere di avere già dato e
non c”erano politici di nome a sostenere la protesta.
Diverso
ancora in Yemen, un paese che da maggio ha subito 110 bombardamenti
americani, che hanno ucciso per lo più civili innocenti, oggi è a
cavallo di un cambiamento di regime che ha come tutor USA ed Arabia
Saudita e che fino a oggi si è rivelato una truffa agli occhi di quanti
pensavano di liberarsi di Saleh, che si è dimesso, ma comanda ancora e
male come prima. 200.000 persone avevano manifestato in settimana
chiedendo la realizzazione delle riforme previste, poche migliaia ieri
hanno provato a sfondare gli uffici dell’ambasciata americana. per dare
un idea della postura americana in Yemen, basta sapere che nel giro di
poche ore Washington ha spedito 100 marines a guardia del suo compound
senza alcuna obiezione da parte del governo. Lo stesso è accaduto in
Libia, dove libici e governo si sono mostrati molto solidali con gli
americani, che in Yemen godono invece di diversa considerazione. Sarà
per questo che il bilancio dell’attacco è stato particolarmente pesante
dal punto di vista dei veicoli dell’ambasciata distrutti, ben 61, a
testimoniare una presenza massiccia d’americani, non tutti
diplomaticamente impegnati nel paese. È appena il caso di ricordare che i
cittadini dello Yemen sono i più armati al mondo, che spesso si spara
alle manifestazioni e sulle manifestazioni, ma che ieri non è successo
nulla del genere.
In
Sudan invece le proteste sono partite dall’ambasciata britannica e dal
quella tedesca, inizialmente date per “attaccate” anche se poi s’è
scoperto che quella britanniche non ha subito attacchi, mentre in quella
tedesca (deserta) sono state appiccate le fiamme a una macchina e a
bidoni della spazzatura nel parcheggio interno e non
all’edificio(nell’immagine). La manifestazione è poi proseguita verso
l’ambasciata americana e si è conclusa con due vittime, investite dalla
polizia in un incidente stradale. L’assenza di vittime in tutte queste
occasioni dimostra l’assenza di manifestazioni di violenza reali, le
proteste sono rimaste per lo più nell’ambito del vandalismo e
governabili dalle forze dell’ordine, che si sono comportate in maniera
sensibilmente diversa a seconda dei paesi, anche in Sudan ad esempio le
manifestazioni hanno goduto dell’evidente favore del regime.
Diverso
ancora il caso della Tunisia, dove le proteste sono state condannate
del partito islamico al governo e animate dagli estremisti, che
l’assalto all’ambasciata l’hanno tentato più seriamente, ma anche qui si
sono fermati alla distruzione delle autovetture dei diplomatici. Degno
di nota l’incendio di una scuola americana, evidentemente meno custodita
dell’ambasciata, ma nemmeno a Tunisi si sono viste folle oceaniche e
nemmeno a Tunisi i marines di guardia all’edificio hanno dovuto sparare
sui manifestanti, che evidentemente hanno saputo auto-disciplinarsi in
una maniera che ha soddisfatto i soldati che dai tetti tenevano le armi
puntate sulla folla. In questo caso la manifestazione ha avuto quindi
accenti anti-governativi.
Tanto
rumore per nulla quindi, se non fosse che l’uccisione dei quattro
americani in Libia ha aperto le gabbie e i vomitatori d’odio si sono
precipitati, visibilmente eccitati, a scolpire titoli assurdi contro i
libici “ingrati” e contro l’Islam barbarico che vuole limitare la
libertà d’espressione e distruggere i valori più sacri dell’Occidente.
La solita partita tra fanatici, insomma, il calcio d’inizio è stato dato
da alcuni folli truffatori cristiani che han provato a tirare in mezzo
anche gli ebrei, poi la palla è stata raccolta dagli estremisti islamici
e infine la partita si è allargata alla schiera di quei commentatori
che per anni hanno cavalcato l’islamofobia e incitato a bombardare i
paesi musulmani. Che poi a ben vedere sono gli stessi che hanno
sostenuto la guerra in Iraq, minimizzato le torture e promosso leggi
assurde per rendere l’Occidente “più sicuro”, quando allo scopo sarebbe
bastato che proprio loro tacessero.
Chi
ha fatto quei titoli non è per niente diverso dai truffatori antisemiti
che hanno prodotto il film o dai furbi che hanno cavalcato il film con
il pretesto dell’offesa al profeta. per scatenare proteste o violenze
utili in prospettiva locale. Lo scontro di civiltà esiste, ma per
fortuna in giornate come quelle di ieri, al di là della cortina fumogena
prodotta dai media, si scopre che i nostri guerrafondai e i loro
fanatici sono un’esigua minoranza. Basterebbe la consapevolezza di
questo dato per avere ben chiaro quali siano i problemi e chi siano gli
estremisti da condannare e da isolare, che lancino le loro fatwe da
YouTube o dal Corriere della Sera, siano essi musulmani, ebrei o
cristiani.
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