Sorpresa: il piano Fabbrica Italia della Fiat torna ad essere un progetto,
solo che non è più possibile farvi riferimento perché dal suo lancio
nell’aprile 2010 ad oggi ”le cose sono profondamente cambiate”. Lo
dichiara la Fiat in una nota a fronte delle richieste di chiarimento dei
sindacati dei giorni scorsi relativamente alle intenzioni del Lingotto:
due anni fa, infatti, la casa torinese aveva annunciato il progetto che
avrebbe dovuto essere accompagnato da investimenti per 20 miliardi di
euro.
“Il nostro piano per l’Italia rappresenta anche una grande opportunità per creare posti di lavoro in Italia”, aveva dichiarato il gruppo guidato da Sergio Marchionne
il 21 aprile 2010 in occasione della presentazione del piano
industriale del gruppo al 2014, precisando che l’obiettivo era “di
produrre entro il 2014, in Italia, oltre un milione di veicoli
destinati all’esportazione, di cui circa 300.000 destinati al mercato
statunitense. La percentuale di esportazioni crescerà quindi dal 44% nel
2009 al 65% nel 2014. Il livello degli investimenti che si vuole
destinare all’Italia sul periodo di piano è enorme, pari ai due terzi di
quelli di tutti i business del Gruppo Fiat a livello mondiale”.
Un anno e mezzo dopo, però, era stato lo stesso amministratore delegato della Fiat, Marchionne, a smentire tutto categoricamente. “Fabbrica Italia non era altro che una dichiarazione d’intenti,
a dimostrazione dell’impegno verso il Paese. Sfortunatamente continua
ad essere intenzionalmente mal compresa”, dichiara infatti agli
industriali torinesi il 25 ottobre 2011 aggiungendo che
è “impossibile precisare gli investimenti sito per sito” e che
l’obiettivo è “mantenere, nei limiti del possibile, i posti di lavoro in
Italia”.
Cambio di rotta che stupì perfino la Consob. Tanto che
nel giro di due giorni il Lingotto venne costretto a dei chiarimenti
ufficiali. “Il progetto Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico
che Fiat intende seguire ed ha il significato e lo scopo di esprimere
l’impegno di Fiat a risolvere le problematiche che interessano i suoi
siti industriali italiani e contribuire allo sviluppo delle potenzialità
industriali del Paese”, recita una nota del Lingotto datata 27 ottobre
2011 in risposta a una richiesta della vigilanza dei mercati finanziari,
precisando che “condizioni imprescindibili per il raggiungimento di
tale risultato, il concorso di tutte le componenti sociali, sindacati ed
istituzioni, nell’assicurare la governabilità dei siti produttivi e
l’attuazione degli accordi che garantiscono adeguata flessibilità
operativa”.
Non senza tradire un certo disappunto, poi, Torino
aggiungeva che “alla luce dei possibili fraintendimenti, equivoci ed
irrealistiche attese di dettaglio collegate al progetto Fabbrica Italia,
Fiat, si asterrà, con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a
Fabbrica Italia, fermi restando gli impegni già assunti
ed il suo generale intento strategico di contribuire alla soluzione dei
problemi industriali dell’Italia ed al suo futuro sviluppo”.
Neanche un anno ed ecco che ora si torna allo status di progetto, benché “impossibile”. Anche perché, sottolinea Fiat parafrasando un intervento del premier Mario Monti
della scorsa primavera a Cernobbio, “la Fiat con la Chrysler è oggi una
multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha
il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e
in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere
e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa
libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere
il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e
dell’Europa”. E viene rimandato a ottobre ogni dettaglio sull’entità del
ridimensionamento. Con buona pace degli operai del gruppo - non più tardi di ieri è stata annunciata una nuova settimana di cig a Mirafiori - e dei sindacati.
“Con questa dichiarazione si straccia l’ultimo velo di ipocrisia
di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i
lavoratori nella cassa integrazione e nell’incertezza”, commenta Giorgio Airaudo,
responsabile Auto della Fiom. “Anche a Pomigliano metà dei lavoratori
non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando
dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati
arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che
hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità
irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i
lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat”.
”Se dalla nota
della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non
esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio”, aggiunge il
segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che
partecipa a un dibattito alla festa dei metalmeccanici torinesi della
Cgil a proposito del comunicato della Fiat. Ancor più serio se si
considera che nel bilancio degli ultimi due anni non c’è solo il mancato
decollo del piano Fabbrica Italia. C’è anche il caso di Termini Imerese. L’impianto siciliano della Fiat inattivo da quasi un anno, mentre gli operai sono in cassa integrazione.
Anzi, 450 sono nel limbo tra cassa integrazione ed esodo e avrebbero dovuto essere coperti dal decreto sugli esodati. Lo
stop alla conversione del provvedimento, che complessivamente riguarda
55mila lavoratori, impedirebbe però al Lingotto di richiedere un
ulteriore anno di cig per i restanti dipendenti dello stabilimento, col
conseguente licenziamento collettivo a partire dal primo gennaio di
tutti i lavoratori e a catena anche delle tute blu dell’indotto, in
totale 2.200 persone.
Il segretario della Fiom palermitana, Roberto Mastrosimone,
punta il dito contro il Pdl. “Sebbene in commissione Lavoro alla Camera
il via libera alla conversione del decreto avesse ottenuto l’unanimità –
dice – al momento di calendarizzare il provvedimento per l’aula il Pdl
si è opposto sostenendo che manca il via libera della commissione
Bilancio alla copertura finanziaria. Se il decreto non sarà convertito
entro il 6 ottobre si blocca tutto, migliaia di lavoratori perderanno
tutto”. La Fiom, poi, sollecita il governo ad accelerare i tempi sulla
vertenza. “Aspettavamo una convocazione al ministero dello Sviluppo per
il 15 settembre, ma al momento tutto tace”.
Fonte
Della serie "e poi ti svegli sudato".
Vorrei sentirle ora le galline starnazzanti pro FIAT (Cicchitto, Gasparri, Chiamparino, Bonanni, Fassino, Renzi, ecc. ecc. ecc.) che tuonavano contro chi denunciava il ricatto occupazionale perpetrato da un Marchionne palesemente prossimo a levare l'ancora dall'Italia (pure qui sopra l'avevo scritto).
Ormai siamo agli sgoccioli, scommettiamo che nel giro di qualche anno FIAT finirà per contare meno del 2 di picche nel settore industriale italiano?
Mi auguro che la dipartita di FIAT dall'Italia sia foriera almeno di un fatto positivo: il levarci dai coglioni tutta la schifosa dinastia Elkann.
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