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03/02/2013

L'università continuerà tranquillamente a crollare

La cronaca fornisce sempre ottimi argomenti alle campagne elettorali. Sempre commentati in tempo reale e su più piattaforme. Il crollo di iscrizioni all'università italiana non ha trovato, nei principali commenti, uno spazio degno di nota. In compenso abbondano le disquisizioni sul patrimonio delle memoria di Giovanni Falcone, gli esilaranti richiami identitari del genere "non siamo mammolette", il politicismo urlato del tipo "fai vincere le destre". Dobbiamo qui dire la verità: in area progressista nè si vedono gli interessi materiali sull'università nè si capisce l'ovvio. Stiamo parlando del fatto che un sistema universitario in salute è strategico nella ricostruzione del paese. Qualcosa che, oltretutto in una società ad alta complessità di conoscenze, non dovrebbe essere nemmeno messo in discussione.
Ad essere pragmatici fino all'estremo ci sarebbe anche da indicare lo stretto rapporto esistente tra declino economico dell'Italia, nell'ultimo decennio, e sgretolamento del sistema universitario. Ma nel centrosinistra l'università non porta gli interessi, e le cordate di potere, che garantiscono il sistema bancario e quello immobiliare. Il peso del sapere pubblico, e i correlati interessi, si è svalutato e nel centrosinistra si è agito di conseguenza. Senza chiedersi troppo se convenisse agire diversamente. Tanto che la responsabile educazione del Pd viene dal marketing che non è esattamente una disciplina magica in grado di risolvere problemi strutturali. Il centrosinistra ha così interiorizzato, e capitalizzato in termini di interessi materiali, la divisione in due del sistema universitario (pochi poli di eccellenza e il resto al martirio). Quanto alle forze politiche, diciamo, più progressiste ci sarebbe da capire che l'università non è solo un problema, già grave, di assorbimento del precariato.
Non è possibile alcun modello economico alternativo, visto che il liberismo ha fallito, senza immense iniezioni di sapere nella società. Ma sarà per un'altra volta, terminate le infinite polemiche su Giovanni Falcone, le aperture tattiche al centrosinistra in qualche regione o al senato. Un'altra volta che rischia di non arrivare mai, questo lo sappiamo benissimo, perchè occuparsi della strategicità dell'università pubblica non è rilasciare qualche frammento di frase all'Ansa o fare una convention in un teatro.
Nel frattempo continua lo stupidario su "ma a cosa serve la laurea", che dal bar è passato nei convegni come una sorta di intuizione sistemica. La profonda portata entropica, economica e sociale, della crisi del sapere pubblico in Italia non è stata capita 30 anni fa, quando era conclamata, e non si capisce perchè debba essere capita oggi. Quando i protagonisti sono coloro che hanno cominciato a fare carriera (politica, professionale) abbracciando tutte le convinzioni sbagliate dell'epoca.

redazione 2 febbraio 2013

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