Abu Mazen ha “gettato tutto all’aria”. Perché “John Kerry ha avuto
una pazienza fenomenale nel tentare di raggiungere un accordo”. E i
palestinesi “la pagheranno”. Rabbia, lamenti e minacce hanno affollato
questa mattina la stampa israeliana, dopo la risposta data ieri dal
presidente dell’Autorità palestinese alla proposta israelo-statunitense
di estendere i negoziati fino al 2015: no. Non solo: Abu Mazen ha
annunciato di aver già avviato l’iter per la richiesta di ammissione
della Palestina a 15 tra agenzie Onu e trattati internazionali, per
provare a trascinare Tel Aviv davanti a un tribunale per i crimini di
guerra finora compiuti.
Abu Mazen esce dunque dall’angolo nel quale si era visto spingere
ultimamente da Washington e Tel Aviv, che lo avevano ricattato giocando
la carta dei detenuti politici palestinesi ancora da liberare: se non
avesse accettato di estendere gli infruttuosi colloqui per almeno altri
nove mesi, l’ultima tranche di detenuti sarebbe rimasta dov’era. Ma se avesse detto sì, allora forse i 26 sarebbero
stati accompagnati da altri 400 prigionieri “storici” delle carceri
israeliane e, al limite, Tel Aviv avrebbe “congelato temporaneamente” le
costruzioni nelle terre palestinesi occupate: ma non quelle a
Gerusalemme est e nemmeno quelle negli insediamenti più isolati. Come ha potuto Abu Mazen lasciarsi sfuggire una così generosa offerta?
Da parte palestinese, le motivazioni sono chiare: l’accordo
sul rilascio – una delle precondizioni per il ripristino dei negoziati
lo scorso luglio assieme al congelamento, da parte palestinese, delle
richieste di adesione a organizzazioni internazionali – è stato violato,
e quindi ci si riserva il diritto di procedere con l’iter di adesione
alle agenzie Onu. “Questa non è una mossa contro l’America – ha
dichiarato ieri il presidente palestinese – né contro alcun altro
partito: è un nostro diritto, e noi abbiamo accettato di sospenderlo per
nove mesi”.
Israele a tratti sembra perdersi nello shock della notizia: “E’
questo – ha dichiarato un funzionario israeliano che preferisce restare
anonimo all’AFP – il partner di Israele? E’ questo un partner per la
pace? Adesso tutto è cambiato. C’è ancora un accordo? Non lo sappiamo”.
La stampa israeliana, invece, spazia dall’angoscia per il possibile
smarcamento americano dai colloqui alla placida accettazione della morte
del negoziato. Di tutt’altro sapore è invece la reazione dei dirigenti
politici israeliani. Il ministro del Turismo Uri Landau, ad esempio, ha
informato il mondo dell’imminente rappresaglia israeliana alla decisione
palestinese: “Una delle possibili misure – ha dichiarato oggi
Landau – sarà che si applichi la sovranità su aree che saranno
chiaramente parte di Israele in ogni futura soluzione”. La Valle del
Giordano, i blocchi di colonie a ridosso della barriera di separazione:
tutti territori che Israele, complice il sostegno degli Stati Uniti,
stava cercando di ottenere “per vie legali” offrendo in cambio qualche
porzione di terra arida e incolta nel deserto del Negev o del fatidico
“triangolo arabo” della Galilea che non gli è mai andato giù.
E piange, ora, Washington, che aveva speso “tempo ed energie per la
riuscita del negoziato”, come recita l’apertura di oggi del quotidiano
israeliano Haaretz. Il segretario di Stato americano John Kerry
si è detto determinato a premere per estendere il negoziato ma, secondo
alcune fonti della Casa Bianca citate dal New York Times, pare sia “arrivato al limite dei suoi sforzi per risolvere la questione”. Eppure
com’è possibile dimenticare che Kerry, l’eroe sconfitto del giorno, è
riuscito a barattare con Israele solo il possibile rilascio di una
ex-spia che nel 2015 sarebbe uscita comunque di prigione? A
ogni nuova unità abitativa annunciata negli ultimi nove mesi, Kerry non
ha mai alzato la voce. Come non si è mai espresso sulla preoccupante
escalation di violenze nei territori occupati da parte dell’esercito
israeliano. Il tutto, nel bel mezzo dei colloqui, tra le denunce delle
organizzazioni internazionali, le timide prese di posizione dell’Unione
Europea contro la colonizzazione dei Territori palestinesi e l’ombra del
boicottaggio internazionale che si stende da mesi su Israele. Ma, alla
fine, è stato Abu Mazen che ha gettato tutto all’aria.
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