“È un tempio, la natura, dove le a volte le parole escono confuse da viventi pilastri” (Baudelaire, I fiori del male)
Dobbiamo
alle avanguardie artistiche proliferate a cavallo tra otto e novecento
il fatto che un qualsiasi declino possa essere pensato con stile. Anche
perché, non di rado, si è pensato come l’accelerazione, di ciò che era
visto come declino, portasse in prossimità dei processi di
rigenerazione. Osservando la vicenda del processo Ruby, e più in
generale la lunga parabola politica di Berlusconi, se si può bene
parlare del declino di un paese, si può escludere sia la presenza di uno
stile sia la prossimità dei processi di rigenerazione. E non si può
nemmeno parlare del declino della repubblica italiana come di un lento
processo, storicamente naturale se esistesse naturalità nella storia,
comunque disteso nel tempo come accaduto alla Serenissima.
La repubblica italiana ha meno di
settanta anni, non molti per i processi storici nei quali le
costituzioni si vogliono intrecciare, e ha già visto scomparire due
pilastri rispettivamente della costituzione formale e materiale: il
lavoro e i partiti. Di conseguenza, in un mondo globalizzato dove il
lavoro e la politica residui riconoscono il livello di comando della
finanza e della moneta, ha già cambiato la costituzione con
l’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio. Nell’indifferenza
della maggioranza della popolazione ma anche nella vigile attenzione di
chi ha indirizzato questo processo: la governance continentale che ha
rilevato la sovranità monetaria di questo paese in cambio di niente. Già
l’Italia è, o era a seconda dei punti di osservazione, uno strano
paese. Il presidente della repubblica, nel mezzo della crisi del debito
di tre anni fa, è andato a giro per l’Europa a teorizzare pubblicamente
la cessione di sovranità dell’Italia. Nessuno gli ha detto pubblicamente
niente ma la sua rielezione, fatto unico nella breve storia
repubblicana, parla in modo eloquente. Non c’è quindi da stupirsi se un
paese del genere è in declino. E se si è affidato ad un continente che
adatta ogni principio di rappresentanza, e ogni tecnologia politica e
amministrativa, a un tipo di economia, un misto tra mercato autoregolato
e ordoliberalismo, che non trova un futuro apprezzabile per decine di
milioni di persone in nessuna seria proiezione di scenario.
In un contesto del genere l’assoluzione
di Berlusconi a Milano si adatta come un pesce pescato guizzante e
gettato di nuovo vivo altrove, in un mare appena diverso. Certo, una
lettura antropologica del piano giuridico, e della procedura
processuale, potrebbe dirci molto non solo del processo ma anche di
questo paese. Di sicuro non solo del fatto che Berlusconi è stato
assolto per il reato di concussione, nel momento in cui telefona in
questura a Milano per ottenere l’affidamento della minore Ruby. Ma anche
perché, stando alle cronache giudiziarie, gli è stato pure riconosciuto
il fatto che non poteva sapere che la stessa Ruby era minorenne.
Sull’età della giovane marocchina si gioca tutto un trattato di satira
politica scritto direttamente dalle istituzioni di questo paese. Il
parlamento si è espresso a maggioranza sostenendo che Berlusconi agì,
verso la procura di Milano, convinto di aiutare una minore nipote un
capo di stato estero. E si parla dello stesso parlamento, anzi la stessa
maggioranza con il Pd in convinto supporto, che ha votato il pareggio
in bilancio nella costituzione.
Il romanzo di satira politica, attorno
alla vicenda Ruby, prosegue se si guardano in sequenza i giudizi che, in
attesa della motivazione della sentenza, emergono dal dibattimento a
Milano:
a) Berlusconi chiede, e non minaccia, l’affidamento di Ruby come minore (quindi assolto)
b) in altra fattispecie Berlusconi non
sapeva che Ruby era minore (quindi l’induzione alla prostituzione
minorile in ogni caso non sussiste).
La presenza della giovane ad Arcore,
spiegata da Berlusconi per motivi di filantropia, assume quindi la
dimensione del periodo di un contraddittorio travaglio esistenziale
legato al senso, e alle modalità temporali, del disvelamento della
propria anagrafe da parte di una giovane scappata di casa. Insomma, se
quanto istituzionalmente detto e scritto fosse preso sul serio allora
nemmeno De Amicis in Dagli Appennini alle Ande avrebbe scritto un
romanzo più straziante, sofferto e morale di quello emerso dal
parlamento delle repubblica e dai giudici di Milano.
Ora, è giusto ed anche necessario,
sostenere un garantismo radicale. Solo che qui siamo di fronte ad un
parlamento ed un tribunale degni della assoluzioni più sfacciate ai
potenti, come descritte in modo acutissimo in Justine e Juliette nella
Francia dell’Ancien Regime. Chiunque ha guardato il materiale a
disposizione in rete si è fatto un’idea chiara: Arcore, Roma e la villa
in Sardegna erano, assieme a dove l’ex presidente lo desiderasse, nodi
di una rete orgiastica organizzata da Berlusconi. Poi si può dare un
giudizio antropologico, politico, legale. Va inoltre indicato che,
attorno alla modifica del reato di concussione, voluta dal ministro
Severino, a suo tempo non si sono solo poste le condizioni per salvare
Berlusconi oggi in questo processo. Ma anche per favorire il processo
politico che vuole che ciò che rimane dei vertici di Forza Italia,
emanazione del sofferto periodo di evoluzione di Mediaset, sia un
pilastro fondamentale della costruzione della terza repubblica. Se
questa costruzione passa dalla legittimazione delle orge della seconda,
pace. E quando Piersilvio Berlusconi ha parole di apprezzamento verso
Renzi si capisce che la cordialità lavora da preludio al completamento
dell’intesa.
Ma quale asse politico-istituzionale
verrebbe fuori se passassero, assieme, legge elettorale e riforma del
senato? Quale asse alla fine rappresenta il passaggio politico
successivo alla legge Severino?
A parte il grosso interrogativo sul
ruolo del senato, che somiglierebbe ad una camera dei lord (non elettiva
che, se non decorativa, reintrodurrebbe dei principi di eleggibilità
degni dello statuto albertino), la logica della ristrutturazione dei
poteri a venire rimane assai evidente. L’Italia ha subito un processo di
annessione all’Unione Europea proprio perché nell’integrazione non ha
avuto contropartite materiali né di potere. Anzi, l’elezione di Juncker
tende ad escludere la logica stessa dei veti nazionali alle politiche
comunitarie. Per cui, compiuto da tempo il processo di liquidazione
della sovranità monetaria, si accelera quello della dismissione della
sovranità economica e fiscale. Sul piano nazionale si risponde quindi, a
questa ristrutturazione dei poteri continentali, ricavando un nuovo
ruolo al potere centrale. Che non può che essere naturalmente
autoritario. Prima di tutto perché l’Unione Europea chiede ai parlamenti
nazionali, dei paesi Piigs s’intende, poteri forti, rapidi e certi
nell’esecuzione delle politiche continentali e della governance dei
bilanci. Secondo perché, con il ritrarsi dello stato
dall’amministrazione del territorio (dall’abolizione delle provincie
all’accorpamento di numerosi uffici) le istituzioni devono rispondere al
declino del soft power territoriale con maggiore forza a livello
centrale, pena il declino definitivo dello stato. Terzo perché, dovendo
rispondere più all’Ue e alla Bce che alla popolazione italiana, una
democrazia fatta di bilanciamento dei poteri istituzionali, di tutela
delle differenze e delle minoranze, risulta politicamente paralizzata.
Quarto, più antropologico, perché in presenza di risorse scarse, con una
società che complessivamente si sta impoverendo è evidente come uno o
più gruppi forti si coalizzino per sbarrare la strada alla maggioranza
concorrente e governare queste risorse col le proprie leggi.
La terza repubblica francese fu
politicamente rissosa e frammentata, nazionalista e colonialista quella
italiana la si progetta autoritaria perché subordinata al colonialismo
della governance Ue e della moneta. Ed è una nascita che non può non
comportare l’affiliazione, e la legittimazione, di quel potere del
passato funzionale al nuovo. Forza Italia e Mediaset, seppur in declino,
garantiscono infatti quella quota di potere politico, mediatico,
finanziario in grado di contribuire a chiudere il progetto. Si capisce
quindi perché si legittima Ruby praticamente in gloria, con assoluzione
piena. Resta, mettendo tra parentesi le controversie processuali e la
questione dello spostamento di poteri entro la Procura di Milano, la
dimensione del simbolico di questo potere, di come si sta ponendo di
fronte alla maggioranza della popolazione. Per capirsi: un vescovo di
inizio ‘800, di nome Watson, si raccomandava alle classi dirigenti
inglesi non tanto di praticare la moralità quanto di ostentarla e di
curarne l’immagine. Il governo dell’immagine della moralità attiva una
miriade spontanea di poteri disciplinari microfisici che, alla lunga,
può ben mitigare anche i più furiosi conflitti. La citazione di questo
Watson è di Michel Foucault e ricorda un aspetto fondamentale delle
società di massa: l’immagine, in questo caso della moralità, è una forza
primaria di governo. La terza repubblica non nasce certo su questo
genere di immagine. Infatti Renzi, che conosce benissimo questa
dinamica, sta giocando su un piano di immagine che non è quello della
moralità ma è quello della convenienza (gli 80 euro come totem della
cifra-denaro). Quando mancherà anche il feticcio della convenienza, e le
previsioni macroeconomiche paiono impietose, vedremo cosa accadrà. Nel
frattempo la forza dell’avvocatura di Berlusconi, a difesa delle sue
orge, si pone come potere costituente della progettata terza repubblica.
Poi quanto durerà la repubblica
italiana, che ha già ridotto la costituzione del ’48 a decorazione, è
altra questione. Il regno d’Italia è durato 84 anni. Per pareggiarne la
durata la repubblica deve toccare il traguardo del 2029. Se dobbiamo
aggiungere al recente passato altri quindici anni di questi processi
politici, entro una stagnazione economica che può ancora durare qualche
lustro, diventa lecito dubitare dell’esistenza della repubblica per quel
periodo. Qualsiasi cosa venga dopo, se il paese continua con questo
genere di vita pubblica, la fine della repubblica sarà disastrosa e
ingloriosa. Senza alcun stile e, probabilmente visto lo sterminio delle
arti in Italia via bomba finanziaria, senza alcuna avanguardia a
rappresentarlo.
Per Senza Soste, nique la police
19 luglio 1944
Fonte
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