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20/07/2014

Ruby, perché la terza repubblica si legittima sulle orge della seconda


“È un tempio, la natura, dove le a volte le parole escono confuse da viventi pilastri” (Baudelaire, I fiori del male)

berlusconi1Dobbiamo alle avanguardie artistiche proliferate a cavallo tra otto e novecento il fatto che un qualsiasi declino possa essere pensato con stile. Anche perché, non di rado, si è pensato come l’accelerazione, di ciò che era visto come declino, portasse in prossimità dei processi di rigenerazione. Osservando la vicenda del processo Ruby, e più in generale la lunga parabola politica di Berlusconi, se si può bene parlare del declino di un paese, si può escludere sia la presenza di uno stile sia la prossimità dei processi di rigenerazione. E non si può nemmeno parlare del declino della repubblica italiana come di un lento processo, storicamente naturale se esistesse naturalità nella storia, comunque disteso nel tempo come accaduto alla Serenissima.

La repubblica italiana ha meno di settanta anni, non molti per i processi storici nei quali le costituzioni si vogliono intrecciare, e ha già visto scomparire due pilastri rispettivamente della costituzione formale e materiale: il lavoro e i partiti. Di conseguenza, in un mondo globalizzato dove il lavoro e la politica residui riconoscono il livello di comando della finanza e della moneta, ha già cambiato la costituzione con l’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio. Nell’indifferenza della maggioranza della popolazione ma anche nella vigile attenzione di chi ha indirizzato questo processo: la governance continentale che ha rilevato la sovranità monetaria di questo paese in cambio di niente. Già l’Italia è, o era a seconda dei punti di osservazione, uno strano paese. Il presidente della repubblica, nel mezzo della crisi del debito di tre anni fa, è andato a giro per l’Europa a teorizzare pubblicamente la cessione di sovranità dell’Italia. Nessuno gli ha detto pubblicamente niente ma la sua rielezione, fatto unico nella breve storia repubblicana, parla in modo eloquente. Non c’è quindi da stupirsi se un paese del genere è in declino. E se si è affidato ad un continente che adatta ogni principio di rappresentanza, e ogni tecnologia politica e amministrativa, a un tipo di economia, un misto tra mercato autoregolato e ordoliberalismo, che non trova un futuro apprezzabile per decine di milioni di persone in nessuna seria proiezione di scenario.

In un contesto del genere l’assoluzione di Berlusconi a Milano si adatta come un pesce pescato guizzante e gettato di nuovo vivo altrove, in un mare appena diverso. Certo, una lettura antropologica del piano giuridico, e della procedura processuale, potrebbe dirci molto non solo del processo ma anche di questo paese. Di sicuro non solo del fatto che Berlusconi è stato assolto per il reato di concussione, nel momento in cui telefona in questura a Milano per ottenere l’affidamento della minore Ruby. Ma anche perché, stando alle cronache giudiziarie, gli è stato pure riconosciuto il fatto che non poteva sapere che la stessa Ruby era minorenne. Sull’età della giovane marocchina si gioca tutto un trattato di satira politica scritto direttamente dalle istituzioni di questo paese. Il parlamento si è espresso a maggioranza sostenendo che Berlusconi agì, verso la procura di Milano, convinto di aiutare una minore nipote un capo di stato estero. E si parla dello stesso parlamento, anzi la stessa maggioranza con il Pd in convinto supporto, che ha votato il pareggio in bilancio nella costituzione.

Il romanzo di satira politica, attorno alla vicenda Ruby, prosegue se si guardano in sequenza i giudizi che, in attesa della motivazione della sentenza, emergono dal dibattimento a Milano:

a) Berlusconi chiede, e non minaccia, l’affidamento di Ruby come minore (quindi assolto)

b) in altra fattispecie Berlusconi non sapeva che Ruby era minore (quindi l’induzione alla prostituzione minorile in ogni caso non sussiste).

La presenza della giovane ad Arcore, spiegata da Berlusconi per motivi di filantropia, assume quindi la dimensione del periodo di un contraddittorio travaglio esistenziale legato al senso, e alle modalità temporali, del disvelamento della propria anagrafe da parte di una giovane scappata di casa. Insomma, se quanto istituzionalmente detto e scritto fosse preso sul serio allora nemmeno De Amicis in Dagli Appennini alle Ande avrebbe scritto un romanzo più straziante, sofferto e morale di quello emerso dal parlamento delle repubblica e dai giudici di Milano.

Ora, è giusto ed anche necessario, sostenere un garantismo radicale. Solo che qui siamo di fronte ad un parlamento ed un tribunale degni della assoluzioni più sfacciate ai potenti, come descritte in modo acutissimo in Justine e Juliette nella Francia dell’Ancien Regime. Chiunque ha guardato il materiale a disposizione in rete si è fatto un’idea chiara: Arcore, Roma e la villa in Sardegna erano, assieme a dove l’ex presidente lo desiderasse, nodi di una rete orgiastica organizzata da Berlusconi. Poi si può dare un giudizio antropologico, politico, legale. Va inoltre indicato che, attorno alla modifica del reato di concussione, voluta dal ministro Severino, a suo tempo non si sono solo poste le condizioni per salvare Berlusconi oggi in questo processo. Ma anche per favorire il processo politico che vuole che ciò che rimane dei vertici di Forza Italia, emanazione del sofferto periodo di evoluzione di Mediaset, sia un pilastro fondamentale della costruzione della terza repubblica. Se questa costruzione passa dalla legittimazione delle orge della seconda, pace. E quando Piersilvio Berlusconi ha parole di apprezzamento verso Renzi si capisce che la cordialità lavora da preludio al completamento dell’intesa.

Ma quale asse politico-istituzionale verrebbe fuori se passassero, assieme, legge elettorale e riforma del senato? Quale asse alla fine rappresenta il passaggio politico successivo alla legge Severino?

A parte il grosso interrogativo sul ruolo del senato, che somiglierebbe ad una camera dei lord (non elettiva che, se non decorativa, reintrodurrebbe dei principi di eleggibilità degni dello statuto albertino), la logica della ristrutturazione dei poteri a venire rimane assai evidente. L’Italia ha subito un processo di annessione all’Unione Europea proprio perché nell’integrazione non ha avuto contropartite materiali né di potere. Anzi, l’elezione di Juncker tende ad escludere la logica stessa dei veti nazionali alle politiche comunitarie. Per cui, compiuto da tempo il processo di liquidazione della sovranità monetaria, si accelera quello della dismissione della sovranità economica e fiscale. Sul piano nazionale si risponde quindi, a questa ristrutturazione dei poteri continentali, ricavando un nuovo ruolo al potere centrale. Che non può che essere naturalmente autoritario. Prima di tutto perché l’Unione Europea chiede ai parlamenti nazionali, dei paesi Piigs s’intende, poteri forti, rapidi e certi nell’esecuzione delle politiche continentali e della governance dei bilanci. Secondo perché, con il ritrarsi dello stato dall’amministrazione del territorio (dall’abolizione delle provincie all’accorpamento di numerosi uffici) le istituzioni devono rispondere al declino del soft power territoriale con maggiore forza a livello centrale, pena il declino definitivo dello stato. Terzo perché, dovendo rispondere più all’Ue e alla Bce che alla popolazione italiana, una democrazia fatta di bilanciamento dei poteri istituzionali, di tutela delle differenze e delle minoranze, risulta politicamente paralizzata. Quarto, più antropologico, perché in presenza di risorse scarse, con una società che complessivamente si sta impoverendo è evidente come uno o più gruppi forti si coalizzino per sbarrare la strada alla maggioranza concorrente e governare queste risorse col le proprie leggi.

La terza repubblica francese fu politicamente rissosa e frammentata, nazionalista e colonialista quella italiana la si progetta autoritaria perché subordinata al colonialismo della governance Ue e della moneta. Ed è una nascita che non può non comportare l’affiliazione, e la legittimazione, di quel potere del passato funzionale al nuovo. Forza Italia e Mediaset, seppur in declino, garantiscono infatti quella quota di potere politico, mediatico, finanziario in grado di contribuire a chiudere il progetto. Si capisce quindi perché si legittima Ruby praticamente in gloria, con assoluzione piena. Resta, mettendo tra parentesi le controversie processuali e la questione dello spostamento di poteri entro la Procura di Milano, la dimensione del simbolico di questo potere, di come si sta ponendo di fronte alla maggioranza della popolazione. Per capirsi: un vescovo di inizio ‘800, di nome Watson, si raccomandava alle classi dirigenti inglesi non tanto di praticare la moralità quanto di ostentarla e di curarne l’immagine. Il governo dell’immagine della moralità attiva una miriade spontanea di poteri disciplinari microfisici che, alla lunga, può ben mitigare anche i più furiosi conflitti. La citazione di questo Watson è di Michel Foucault e ricorda un aspetto fondamentale delle società di massa: l’immagine, in questo caso della moralità, è una forza primaria di governo. La terza repubblica non nasce certo su questo genere di immagine. Infatti Renzi, che conosce benissimo questa dinamica, sta giocando su un piano di immagine che non è quello della moralità ma è quello della convenienza (gli 80 euro come totem della cifra-denaro). Quando mancherà anche il feticcio della convenienza, e le previsioni macroeconomiche paiono impietose, vedremo cosa accadrà. Nel frattempo la forza dell’avvocatura di Berlusconi, a difesa delle sue orge, si pone come potere costituente della progettata terza repubblica.

Poi quanto durerà la repubblica italiana, che ha già ridotto la costituzione del ’48 a decorazione, è altra questione. Il regno d’Italia è durato 84 anni. Per pareggiarne la durata la repubblica deve toccare il traguardo del 2029. Se dobbiamo aggiungere al recente passato altri quindici anni di questi processi politici, entro una stagnazione economica che può ancora durare qualche lustro, diventa lecito dubitare dell’esistenza della repubblica per quel periodo. Qualsiasi cosa venga dopo, se il paese continua con questo genere di vita pubblica, la fine della repubblica sarà disastrosa e ingloriosa. Senza alcun stile e, probabilmente visto lo sterminio delle arti in Italia via bomba finanziaria, senza alcuna avanguardia a rappresentarlo.

Per Senza Soste, nique la police

19 luglio 1944

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