Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

19/07/2014

La Libia sotto scacco chiede l’intervento

di Francesca La Bella

A tre anni dall’intervento dell’Alleanza Atlantica che pose fine all’era Gheddafi, la Libia è un Paese distrutto sia dal punto di vista politico-sociale sia dal punto di vista economico-strutturale. Un Paese diviso in tre parti, sostanzialmente corrispondenti alle regioni storiche del Fezzan, della Tripolitania e della Cirenaica con profondi conflitti tra gruppi all’interno dello stesso ambito regionale. Un Paese dove le infrastrutture civili sono pressoché inesistenti e, quelle ancora funzionanti, diventano terreno di battaglia tra i diversi schieramenti.

E’ di questi giorni la notizia del blocco di tutti i voli da e per Misurata e Tripoli a causa della chiusura degli aeroporti e la distruzione del 90% della flotta libica a seguito degli scontri tra le milizie islamiste di Ansar al Sharia e i fedeli di Khalifa al Hiftar. Un Paese nel quale le elezioni di fine giugno hanno avuto un’affluenza al di sotto del 20% dando vita ad un Parlamento che dovrebbe aprire la sua prima sessione di lavori il 1 agosto e che, al momento incapace di mantenere le redini della situazione, chiede, per bocca del Ministro degli Esteri Mohammed Abdulaziz, l’intervento internazionale a tutela del risultato delle urne.

La debolezza istituzionale e la guerra intestina che ormai da molti mesi è giunta ad un punto di non ritorno aprono, così, alla possibilità di una nuova iniziativa internazionale sul modello di quella contro il Colonnello Gheddafi. Le premesse sembrano esserci tutte: l’incapacità dei libici di “farcela da soli” come chiosano politici ed analisti delle colonne delle maggiori testate; la necessità di salvaguardare i civili che, dopo mesi e mesi di belligeranza, si trovano in condizioni umanitarie disastrose; il bisogno, principalmente europeo, di far rinvenire un’economia libica ormai al tracollo e, dunque, non all’altezza delle necessità di approvvigionamento petrolifero degli Stati a nord del Mediterraneo.

Un ruolo fondamentale in questo contesto è stato ricoperto dall’Italia. Nonostante la fine del legame coloniale, il nostro Paese ha mantenuto fortissimi interessi in terra libica sia prima sia dopo il 2011. La stabilità della Libia ha costituito, per lungo tempo, la principale garanzia per gli investimenti internazionali italiani, soprattutto nel settore degli idrocarburi. Parallelamente, dopo la caduta del Colonnello, l’Italia ha politicamente, diplomaticamente ed economicamente investito molto nel territorio libico per evitare di essere marginalizzata rispetto all’ingresso di altre potenze nel Paese, in particolare la Francia.

Ad oggi, dopo aver affiancato gli Stati Uniti nei programmi di monitoraggio del Mediterraneo e dopo aver investito ingenti somme nella ricostruzione post-bellica, l’Italia si trova in una situazione di impasse: ad inizio luglio un esperto di costruzioni di una ditta edile modenese è stato rapito nel nord del Paese; gli approvvigionamenti petroliferi sono sempre più difficoltosi ed a prezzo crescente; nonostante l’inizio del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, il dibattito sulla figura del ministro Mogherini rischia di limitare le capacità di iniziativa italiana in merito alla questione libica.

Nonostante i deficit del sistema-Italia, il nostro Paese vorrebbe, però, avere un ruolo da protagonista in un eventuale intervento internazionale che, se dovesse diventare realtà, si conformerà, con buone probabilità, come un’azione NATO con l’avallo dell’Europa e delle Nazioni Unite molto simile a quella del 2011.

Colpisce constatare come la memoria in questi casi sia breve. Ogni singolo passo delle potenze occidentali, Stati Uniti, Francia ed Italia in primis, ha profondamente inciso sull’attuale situazione libica e, quasi sempre, in senso negativo. L’aver scelto di sostenere una parte o l’altra prima in funzione anti-Gheddafi e, in seguito, in funzione anti-islamista, ha portato, in un Paese privo di strutture sociali avulse da legami clanici, al rafforzamento di alcuni gruppi di potere a scapito di altri. In questo senso, la mancanza di un processo di riconciliazione nazionale che ponesse le premesse di una soluzione realmente democratica della questione libica ha pesato in maniera sostanziale sul succedersi degli eventi.

L’aver cercato alleanze trasversali che garantissero la sicurezza di pozzi petroliferi e dei capitali stranieri, anziché sostenere un rinnovamento che puntasse a favorire la nascita di un’economia locale diversificata ed alla messa in atto di politiche redistributive a favore della popolazione, ha aumentato la forbice sociale e scatenato conflitti di potere tra le diverse élite. In questo senso un intervento militare internazionale rischia, laddove sia ancora possibile, di peggiorare ulteriormente la situazione, cancellando qualsiasi possibilità di riconciliazione e di ripresa di un Paese ormai sull’orlo della disintegrazione.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento