Il Governing council della Bce si riunisce domani a Napoli tra le polemiche. I gruppi dell’antagonismo annunciano una mobilitazione in città per protestare contro le politiche di austerity volute da quella che definiscono una “dittatura dei banchieri centrali”. Emiliano Brancaccio è docente all’Università del Sannio ed è stato tra i promotori di un monito degli economisti pubblicato un anno fa sul Financial Times, molto scettico sui destini dell’eurozona. Per Brancaccio le proteste sono viziate da una contraddizione: i più accesi contestatori dell’Eurotower sembrano i più avversi all’ipotesi di un’uscita dalla moneta unica.
C’è chi considera la riunione a Napoli un segnale di
vicinanza di Draghi alle popolazioni del Sud Europa, maggiormente
colpite dalla crisi; altri però giudicano l’iniziativa con scetticismo e
le realtà dell’antagonismo promettono battaglia in piazza. Come
dobbiamo interpretare quello che in ogni caso è un evento europeo?
Non credo che la riunione di Napoli sia il preludio di una svolta
favorevole all’Italia e agli altri Paesi del Sud Europa. Nel direttorio
Bce i membri tedeschi sono in minoranza, eppure la loro linea resta
egemone. La realtà, purtroppo, è che la Bce proseguirà con la solita
strategia, dichiarandosi disposta a proteggere i Paesi più deboli contro
la speculazione finanziaria solo a patto che proseguano con le
politiche di austerità e di flessibilità, del lavoro e dei salari. Il
problema è che queste politiche non stanno affatto garantendo la
ripresa, tutt’altro.Il numero due della Bei, Dario Scannapieco, venerdì scorso a Napoli ha sostenuto che Paesi come la Grecia e la Spagna stanno iniziando a vedere qualche segnale positivo.
La Grecia dall’inizio della crisi ha attuato tagli alla spesa pubblica del 28 percento e ha fatto registrare un crollo dei salari monetari del 22. Nonostante questi sacrifici la disoccupazione e il debito hanno continuato a crescere vertiginosamente. E Portogallo, Spagna, Italia, la stessa Francia non stanno molto meglio. In questo scenario, non mi meraviglia che nella decisione della Bce di riunirsi a Napoli qualcuno ravvisi un po’ di ipocrisia. Né mi sorprende che si annuncino proteste. Piuttosto, trovo curioso che queste proteste restino sospese per aria, senza giungere a una logica conseguenza.
In che senso?
E’ un paradosso: i più accesi contestatori della Bce sembrano i più avversi all’ipotesi di un’uscita dall’euro. E’ il retaggio di una cultura europeista e globalista molto ingenua, che a sinistra ha fatto proseliti ma che non ha per nulla favorito la solidarietà internazionale tra i lavoratori. Intendiamoci, il problema non riguarda solo le frange dell’antagonismo. Anche il sindacato è in difficoltà di fronte alla crisi del progetto di unificazione europea. Nell’ultimo direttivo Cgil pare che la Camusso abbia definito l’abolizione dell’articolo 18 “uno scalpo da consegnare ai falchi dell’Ue”. Eppure nel principale sindacato italiano si tende a ragionare come se l’euro fosse un destino ineluttabile. Cosa che non è.
Draghi ha annunciato nuove iniezioni di liquidità: non è questa la chiave per garantire la ripresa dei Paesi in difficoltà?
Vale ancora l’insegnamento di Keynes: l’azione della Banca centrale non basta mai, da sola, a uscire dalla crisi. Le analisi empiriche più recenti confermano questa tesi. Per il futuro resta dunque valida la previsione del “monito degli economisti”: proseguendo con le politiche di austerity e di flessibilità dei salari, prima o poi ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro. Coloro i quali protestano contro la Bce e le altre istituzioni europee dovrebbero iniziare a misurarsi seriamente con questa prospettiva, anziché eluderla.
Intervista di Sergio Governale
pubblicata su Il Mattino del 1 ottobre 2014 con il titolo: “Brancaccio:
chi contesta il vertice è in contraddizione”. La riproduzione è
consentita citando la fonte.
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