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04/10/2014

Punta Bianca Agrigento, il poligono dei veleni

Dalle ore 8 a mezzanotte, ogni giorno, tutti i giorni, dall’1 ottobre sino a Natale, escluse le domeniche e le feste dei morti e dell’Immacolata. Il Comando Regione Militare Sud ha reso pubblico il calendario per il quarto trimestre 2014 delle esercitazioni “con utilizzo di armi da fuoco portatili e di reparto” presso il poligono di tiro fisso Drasy, tra la riva del fiume Naro e località Punta Bianca, Agrigento, a meno di una decina di km della Valle dei Templi (patrimonio UNESCO). Con ordinanza della Capitaneria di Porto Empedocle, nei periodi e negli orari dei cannoneggiamenti, è vietato il transito e la sosta di persone e veicoli nell’area demaniale marittima lungo la costa inclusa nel poligono, nonché la navigazione, l’ormeggio e la balneazione nel tratto di mare antistante. Alle guerre bisogna addestrarsi con cura e ufficiali e fanti devono affratellarsi con carri armati, cingolati e mitraglie. Peccato che l’area del poligono Drasy Punta Bianca siano uno degli ultimi paradisi paesaggistici e naturalistici della Sicilia, individuata con decreto regionale del 13 aprile 2001 come riserva naturale da istituire e assicurare alla pubblica fruizione.

Dall’alto, il territorio sembra un po’ la luna e un po’ un deserto roccioso: crateri dovunque, canyon e faglie, solchi aridi e profondi. Nulla d’antico o naturale, sono le lacerazioni e le ferite lasciate dalle ogive sparate dai reparti dell’esercito italiano e delle forze armate Usa di stanza in Sicilia. Sul terreno fanno cattiva mostra di sé i bossoli e i residui di munizioni. Un crimine contro l’uomo e l’ambiente che si perpetua da decenni, puntualmente e ininterrottamente da inizio autunno all’estate. Durante le esercitazioni di fine anno 2013, i mezzi pesanti del 4° Reggimento genio guastatori e del 6° Reggimento “Lancieri Aosta” di Palermo hanno reso completamente inagibile il sistema viario di Punta Bianca e i boati dei war games hanno fatto tremare la terra di mezza provincia, i vetri delle abitazioni e persino i fragili colonnati dei templi greci. Le autoblindo cacciacarri “Centauro”, prodotte dal consorzio Iveco-Fiat-Oto Melara, hanno disseminato nella riserva naturale promessa i proiettili esplosi dalle mitragliatrici MG-42/59 (munite di 4.000 cartucce da 7,62 mm) e dai cannoni da 105 millimetri. “La stessa potenza di fuoco dei carri Leopardi 1 e dei maggiori carri armati a disposizione delle forze Nato”, vantano le aziende produttrici dei “Centauro”. I cannoni, in particolare, possono sparare tutti i tipi di proiettili dello stesso calibro stipati negli arsenali dell’Alleanza Atlantica, compresi i famigerati penetratori cinetici sotto calibrati che usano l’energia cinetica per penetrare dentro le corazzatura dei bersagli. “Nel momento di massima velocità, il proiettile può raggiungere i 975 metri al secondo, con conseguente generazione di tre tonnellate e mezzo di forza e una gittata massima di 6 chilometri”, spiegano i manager di Oto Melara (Finmeccanica). Una potenza immensamente distruttiva, i cui effetti sul territorio sono sotto gli occhi di tutti. L’8 gennaio scorso, un intero pezzo collinare è franato giù sulla splendida spiaggia di Punta Bianca e a mare. Ma smottamenti e frane sono all’ordine del giorno. “I boati e le vibrazioni causate dalle esercitazioni militari sono certamente una concausa e forse anche un elemento scatenante delle frequenti frane che hanno colpito la costa che, con la complicità dell’erosione, abbiamo visto arretrare di diversi metri negli ultimi decenni”, afferma Claudio Lombardo, presidente dell’associazione Mareamico di Agrigento.

“La porzione del poligono Drasy coincidente con il tratto costiero del pianoro, a ridosso della falesia, è caratterizzata da un equilibrio geomorfologico precario”, scrive Marco Interlandi, geologo di Legambiente Sicilia e direttore della riserva naturale Grotta di Sant’Angelo Muxaro. “I depositi che caratterizzano il pianoro sono costituiti da sabbie, limi e ghiaie; sono quindi sedimenti caratterizzati da una elevata permeabilità. L’erosione costiera in generale è dovuta ad azioni antropiche che hanno alterato gli apporti di sedimenti alle spiagge: cementificazione dei fiumi, realizzazione di porti e barriere frangiflutti, edificazione lungo le coste, ecc... In un contesto generale di dissesto idrogeologico dovuto a cause strutturali ed all’arretramento della linea di costa, va evidenziato che le attività di tiro e l’utilizzo di mezzi pesanti all’interno del Poligono Drasy contribuiscono, con ogni probabilità, ad alterare in negativo il precario equilibrio geomorfologico dell’area e a provocare il collasso del versante”. Per queste ragioni, il geologo di Legambiente ha chiesto formalmente di spostare il poligono in un altro sito, ritenendo “incompatibili le attività di esercitazione militari ivi condotte con la conservazione e la fruizione naturalistica e archeologica della fascia costiera compresa tra Punta Bianca ed il Castello di Palma di Montechiaro”.

A preoccupare gli ambientalisti è pure l’inquinamento del suolo e delle acque generato dai composti chimici dispersi con i tiri a fuoco e le grandi manovre di carri e blindati. Una contaminazione pericolosa per la salute e l’habitat naturale a cui non si sottraggono né le vie di accesso, né le spiagge di Punta Bianca, frequentate da turisti locali e internazionali nel solo periodo in cui le esercitazioni vengono sospese, da metà giugno a metà settembre. Le associazioni Legambiente, Mareamico e Marevivo hanno più volte chiesto alle autorità regionali di effettuare controlli nel territorio per rilevare la presenza o meno di radioattività e metalli pesanti (cadmio, antimonio, piombo, nickel, rame, vanadio, zinco, ecc.). Il 22 gennaio 2014, una delegazione di ambientalisti è stata convocata dalla Commissione Territorio e Ambiente del Senato, presidente l’agrigentino Giuseppe Marinello (Ncd), per approfondire le problematiche relative all’uso del poligono Drasy. Solo a partire dallo scorso mese di marzo, però, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) ha avviato una prima azione di monitoraggio della zona. Le indagini diagnostiche, pesantemente condizionate dalle esercitazioni dei militari della Brigata Aosta, sono proseguite sino a fine maggio. A settembre, ARPA Sicilia ha trasmesso gli esiti analitici dei campioni prelevati in occasione del sopralluogo del 26 maggio. “In tutti i campioni non sono stati riscontrati concentrazioni di soglia di contaminazione di cui all’allegata tab. 1 all. 5 del Decreto legislativo152/06”, esordiscono i dottori Giuseppe Maragliano e Salvatore Montana Lampo. “Appare tuttavia opportuno rilevare che nel campione denominato P4 il valore  del parametro PIOMBO è al limite massimo della tabella (97,71 mg/Kg con max 100 mg/Kg). Un valore non trascurabile di tale metallo è presente anche nel campione P5. Significativo perché non trascurabile è il valore dello ZINCO nel campione P4”. “Per quanto sopra – concludono i ricercatori di ARPA Sicilia – non ricorrono in atto le condizioni per l’effettuazione delle procedure relative alla bonifica del sito e tuttavia appare opportuno evitare di appesantire ulteriormente le concentrazioni dei parametri esaminati nei punti di cui sopra”. Un equilibrismo verbale con finalità rassicuranti che tuttavia conferma implicitamente gli altissimi rischi ambientali delle esercitazioni a Punta Bianca.

L’iter politico-burocratico per istituire la riserva naturale continua intanto a languire negli uffici regionali di Palermo. Era il lontano 23 novembre del 1996, quando Marevivo inoltrò alla Commissione provinciale per la tutela dei beni culturali ed ambientali di Agrigento e all’Assessorato regionale del territorio ed ambiente la proposta di vincolo per il territorio costiero “dalla foce del vallone di Sumera al Castello di Palma di Montechiaro. Il 9 aprile del 1999, la Commissione diede il proprio parere positivo e due anni dopo l’Assessorato regionale rilasciò la dichiarazione di “notevole interesse pubblico del territorio”. D’allora non è più accaduto nulla. Dopo le sempre più numerose proteste dei cittadini e delle associazioni ambientaliste, nel 2013 il generale dell’esercito Corrado Dalzini (Comandante della Regione Militare Sud), in visita ufficiale ad Agrigento, espresse la disponibilità delle forze armate a lasciare il poligono a condizione che la Regione Siciliana fornisse “un’alternativa idonea per le necessarie esercitazioni”. L’allora assessore regionale al territorio, l’agrigentina Mariella Lo Bello, prospettò in cambio l’utilizzo di alcune aree sequestrate alla criminalità organizzata “in zone dell’interno, nelle province di Caltanissetta e Palermo”, e s’impegnò a istituire la riserva a Punta Bianca entro l’estate 2013. La Lo Bello fu poi sostituita dal governatore Crocetta prima da Mariarita Sgarlata e poi da Piergiorgio Gerratana, ma ad oggi del decreto non esiste l’ombra.
“Negli scorsi mesi abbiamo documentato con foto e video quale era la reale portata delle esercitazioni militari, che non sparassero a salve e che sparassero abitualmente in mare”, commenta Claudio Lombardo di Mareamico. “Abbiamo provato la relazione esistente tra le frequenti frane che affliggono la zona e i crateri causati dalle esplosioni. Dopo 58 anni di esercitazioni militari a Drasy e dopo 18 anni dalla presentazione della richiesta d’istituzione di una riserva naturale, è arrivato il momento di dire basta. La Regione Sicilia deve subito individuare un posto alternativo per le esercitazioni, come consiglia lo stesso Ministero della Difesa. Nei prossimi giorni incontreremo il neo assessore regionale al territorio Gerratana, cui consegneremo un corposo dossier su quanto accaduto impunemente in questi anni a Punta Bianca”.

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