di Sonia Grieco
Mentre l’Occidente si
profonde in strette di mani, che siglano accordi commerciali (l’Italia
in prima linea), con il presidente Abdel Fattah al Sisi
che ha appena chiuso il suo primo tour europeo, in Egitto la scure
della repressione si sta abbattendo con forza sempre maggiore su
chiunque contesti il regime salito al potere con il golpe del 3 luglio
2013.
Ieri l’ennesimo verdetto di un sistema giudiziario addetto
all’oppressione quanto le Forze armate e la polizia, ha condannato 78
minorenni a pene che vanno dai due ai cinque anni di carcere per avere
preso parte a manifestazioni che chiedevano il ritorno alla guida del
Paese dell’ex presidente Mohammed Morsi. L’esponente dei
Fratelli Musulmani, eletto nelle prime elezioni post-Mubarak e deposto
dai militari nel 2013, è in carcere e rischia la condanna a morte. Con
la fine del suo governo, contestato dall’opposizione laica che adesso è
anch’essa nel mirino della repressione militare, si è aperta una pagina
nera per il Paese. Una fase che ricorda i tempi di Hosni Mubarak, e per
molti è anche peggiore, inaugurata dalla strage di piazza Rabaa al Adaweya il 14 agosto dell’anno scorso: oltre 600 morti tra i sostenitori di Morsi.
Nell’Egitto di al Sisi la polizia è autorizzata a sparare sui
manifestanti (legge 107/2013); il dissenso, che sia quello laico o
quello degli islamici vicini alla Fratellanza messa fuori legge, è
punito severamente e di solito è paragonato al terrorismo; nelle carceri
si pratica la tortura; la stampa è imbavagliata da leggi liberticide,
come pure l’attività delle Ong; le università sono blindate dalle forze
dell’ordine.
In nome della sicurezza, il generale salito al potere con un consenso
plebiscitario, ma in assenza di reali rivali e con una scarsa affluenza
(47,5 percento) alle urne, emana decreti presidenziali che silenziano
ogni forma di opposizione.
L’ultimo (n.136/2014) ha posto sotto la giurisdizione militare gran
parte delle strutture pubbliche del Paese (università, centrali
elettriche, ponti, ferrovie e tutte le proprietà dello Stato) e ha dato
mano libera alle Forze armate nella “protezione” di queste strutture.
Quindi, chi manifesta all’università, per esempio, sarà giudicato da
magistrati in uniforme soggetti agli ordini dei propri superiori. E al
vertice della catena di comando c’è il ministero delle Difesa, non gli
organismi autonomi della Giustizia. Questo decreto aumenterà il numero
di processi a carico di civili celebrati nelle corti militari, dove sono
già stati giudicati 12.000 civili dal 2011, secondo Human Rights Watch.
Leggi e decreti, quest’ultimo giudicato incostituzionale
dall’opposizione, di cui sono vittime non soltanto i Fratelli Musulmani
- finiti a migliaia (15.000) dietro le sbarre e passati dall’essere il
partito di governo a formazione terroristica, con centinaia di esponenti
condanni a morte -, ma anche le formazioni laiche che nel 2011 avevano
fatto di piazza Tahrir il simbolo della primavera
egiziana. Una sollevazione popolare che era riuscita a mettere fine al
trentennale regime di Mubarak.
Sempre ieri, il Movimento 6 Aprile, composto da giovani attivisti, e
la coalizione pro-Morsi dell’Alleanza nazionale a sostegno della
legittimità hanno diffuso la notizia della morte di due manifestanti
durante le proteste al Cairo e nella cittadina di Nahia. Un
dimostrante è stato colpito alla testa da un proiettile sparato dalla
polizia e un altro è deceduto in seguito all’inalazione di gas
lacrimogeno. Inoltre, si susseguono i blitz della polizia alla ricerca
di esponenti dell’opposizione.
In questo clima di repressione e paura, al Sisi è diventato un nuovo Mubarak per l’Occidente.
L’alleato che combatte il terrorismo, che ha messo fuori legge i
Fratelli Musulmani e per questo è stato lautamente ricompensato
dall’Arabia Saudita. Non ha mai smesso di essere foraggiato dagli Stati
Uniti e ha firmato commesse per armamenti con la Russia. Adesso punta al
rilancio economico, in un Paese alle prese con alti tassi di
disoccupazione, spianando la strada agli investimenti stranieri con
leggi che semplificano la burocrazia e l’Italia sta giocando un ruolo di
primo piano. E non va dimenticata la partita libica, dove
l’Egitto si è schierato con i laici di Tobruk. Qui il Cairo potrebbe
giocare un ruolo fondamentale nella “gestione” dei flussi migratori
verso l’Europa. E per l’Italia al Sisi potrebbe essere un nuovo
Gheddafi.
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