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27/11/2014

Egitto - Prigioni piene di dissidenti, ma al Sisi è l’uomo dell’Occidente

di Sonia Grieco

Mentre l’Occidente si profonde in strette di mani, che siglano accordi commerciali (l’Italia in prima linea), con il presidente Abdel Fattah al Sisi che ha appena chiuso il suo primo tour europeo, in Egitto la scure della repressione si sta abbattendo con forza sempre maggiore su chiunque contesti il regime salito al potere con il golpe del 3 luglio 2013.

Ieri l’ennesimo verdetto di un sistema giudiziario addetto all’oppressione quanto le Forze armate e la polizia, ha condannato 78 minorenni a pene che vanno dai due ai cinque anni di carcere per avere preso parte a manifestazioni che chiedevano il ritorno alla guida del Paese dell’ex presidente Mohammed Morsi. L’esponente dei Fratelli Musulmani, eletto nelle prime elezioni post-Mubarak e deposto dai militari nel 2013, è in carcere e rischia la condanna a morte. Con la fine del suo governo, contestato dall’opposizione laica che adesso è anch’essa nel mirino della repressione militare, si è aperta una pagina nera per il Paese. Una fase che ricorda i tempi di Hosni Mubarak, e per molti è anche peggiore, inaugurata dalla strage di piazza Rabaa al Adaweya il 14 agosto dell’anno scorso: oltre 600 morti tra i sostenitori di Morsi.

Nell’Egitto di al Sisi la polizia è autorizzata a sparare sui manifestanti (legge 107/2013); il dissenso, che sia quello laico o quello degli islamici vicini alla Fratellanza messa fuori legge, è punito severamente e di solito è paragonato al terrorismo; nelle carceri si pratica la tortura; la stampa è imbavagliata da leggi liberticide, come pure l’attività delle Ong; le università sono blindate dalle forze dell’ordine.

In nome della sicurezza, il generale salito al potere con un consenso plebiscitario, ma in assenza di reali rivali e con una scarsa affluenza (47,5 percento) alle urne, emana decreti presidenziali che silenziano ogni forma di opposizione. L’ultimo (n.136/2014) ha posto sotto la giurisdizione militare gran parte delle strutture pubbliche del Paese (università, centrali elettriche, ponti, ferrovie e tutte le proprietà dello Stato) e ha dato mano libera alle Forze armate nella “protezione” di queste strutture. Quindi, chi manifesta all’università, per esempio, sarà giudicato da magistrati in uniforme soggetti agli ordini dei propri superiori. E al vertice della catena di comando c’è il ministero delle Difesa, non gli organismi autonomi della Giustizia. Questo decreto aumenterà il numero di processi a carico di civili celebrati nelle corti militari, dove sono già stati giudicati 12.000 civili dal 2011, secondo Human Rights Watch.

Leggi e decreti, quest’ultimo giudicato incostituzionale dall’opposizione, di cui sono vittime non soltanto i Fratelli Musulmani - finiti a migliaia (15.000) dietro le sbarre e passati dall’essere il partito di governo a formazione terroristica, con centinaia di esponenti condanni a morte -, ma anche le formazioni laiche che nel 2011 avevano fatto di piazza Tahrir il simbolo della primavera egiziana. Una sollevazione popolare che era riuscita a mettere fine al trentennale regime di Mubarak.

Sempre ieri, il Movimento 6 Aprile, composto da giovani attivisti, e la coalizione pro-Morsi dell’Alleanza nazionale a sostegno della legittimità hanno diffuso la notizia della morte di due manifestanti durante le proteste al Cairo e nella cittadina di Nahia. Un dimostrante è stato colpito alla testa da un proiettile sparato dalla polizia e un altro è deceduto in seguito all’inalazione di gas lacrimogeno. Inoltre, si susseguono i blitz della polizia alla ricerca di esponenti dell’opposizione.

In questo clima di repressione e paura, al Sisi è diventato un nuovo Mubarak per l’Occidente. L’alleato che combatte il terrorismo, che ha messo fuori legge i Fratelli Musulmani e per questo è stato lautamente ricompensato dall’Arabia Saudita. Non ha mai smesso di essere foraggiato dagli Stati Uniti e ha firmato commesse per armamenti con la Russia. Adesso punta al rilancio economico, in un Paese alle prese con alti tassi di disoccupazione, spianando la strada agli investimenti stranieri con leggi che semplificano la burocrazia e l’Italia sta giocando un ruolo di primo piano. E non va dimenticata la partita libica, dove l’Egitto si è schierato con i laici di Tobruk. Qui il Cairo potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella “gestione” dei flussi migratori verso l’Europa. E per l’Italia al Sisi potrebbe essere un nuovo Gheddafi.

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