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25/11/2014

La questione Lega all’ordine del giorno


La Lega Nord è sempre stata un’organizzazione di destra. Inoltre ha sempre viaggiato, sebbene in maniera altalenante, su percentuali elettorali importanti, sfiorando a volte il 10%, e comunque stabilmente sopra il 5 a livello nazionale, senza contare le percentuali in doppia cifra praticamente inamovibili al nord. La sensazione che oggi rappresenti qualcosa di radicalmente differente è però palese. In effetti, oggi la Lega Nord è qualcosa di diverso, rappresenta uno sviluppo politico imprevisto e potenzialmente deflagrante. Fino alla svolta maroniana, cioè al processo di riorganizzazione dovuto al fallimento politico della precedente dirigenza avviato dal 2011, la Lega Nord era la propaggine locale di una forza politica nazionale, il centrodestra di Berlusconi. Una posizione collaborativa ma secondaria, visti sia il suo peso elettorale che la sua natura localistica. Una sorta di CSU bavarese, espressione regionale di un contenitore nazionale di centrodestra. Una posizione subalterna, dove la radicalità verbale era destinata a raccogliere elettoralmente la pancia sociale poco convinta del “moderatismo” berlusconiano. Inoltre, la Lega Nord era un partito unicamente territoriale. Sebbene presente in molte regioni, la visione politica e il punto di vista generale del soggetto era spendibile esclusivamente attorno al discorso autonomistico/scissionistico. Impossibile da tali presupposti farsi forza politica generale: costituiva pervicacemente l’espressione della volontà autonomistica (o più prosaicamente anti-statale) di determinati pezzi sociali del nord, soprattutto del nord-est. A fronte di tutto questo, sebbene sia sempre stata un problema politico, costituiva comunque un aspetto marginale rispetto al quadro generale. Più un problema di agibilità in determinati territori che per la condizione politica italiana. Oggi non è più così, o potrebbe non essere più così.

La Lega Nord odierna ha accantonato ogni tendenza “nordista” o esclusivamente autonomistica, per non dire scissionistica. Oggi si propone l’obiettivo di divenire forza nazionale, non espressione di un determinato territorio, ma di una volontà politica complessiva, di un discorso generale capace di affrontare l’esistente. Nel farlo, ha abbandonato ogni timidezza liberale per strutturarsi in maniera definita attorno ad una proposta identitaria, sovranista, razzista. Nei fatti, questo cambio di rotta ha prodotto la convergenza con determinate forze della destra anti-liberale: Fratelli d’Italia e, soprattutto, Casapound. La Lega di un tempo non aveva problemi a dichiararsi formalmente antifascista (ad esempio l’insulto frequente di Bossi ai “terroni” di AN era proprio: fascisti!). Semmai, tale antifascismo era in sostanza un a-fascismo, una presentabilità di facciata smentita dalla sostanza. Oggi la Lega Nord non si propone neanche nella forma tale presunta volontà antifascista, e anzi tende sempre più marcatamente a recuperare storie, tradizioni, espressioni e punti di vista apertamente legati all’universo fascista.

Questa trasformazione sarebbe di per sé un aspetto secondario del contesto politico complessivo, se non si sommasse alla parallela implosione del campo politico della destra liberale-liberista. Oggi c’è un vuoto politico evidente, e il proposito del partito di Salvini è quella di riempirlo. Se allora fino a qualche anno fa gli schiamazzi leghisti erano, appunto, schiamazzi, e chi dirigeva il gioco era Berlusconi, oggi non è più così, e il rischio che tale vuoto venga riempito dal partito di Salvini è forte. Siccome i politici legati alla Lega sono dei nemici ma non sono stupidi, cogliendo le potenzialità di questo orizzonte, questi sono andati a scuola dal Front National. Un partito che sotto la guida di Marine Le Pen è riuscito a compiere la traversata del deserto divenendo attore politico credibile, rompendo lo schema antifascista su cui si fonda(va) la compatibilità democratica francese, irrompendo quale protagonista delle vicende politiche francesi non più come outsider ma come soggetto politico a tutti gli effetti concorrente per il potere. Ovviamente nella sostanza il FN è il partito neofascista fondato da Le Pen padre, ma la capacità di Marine è stata quella di legittimare tale partito nella normalità democratica. La Lega sta tentando lo stesso percorso, e il problema è che in Italia, oggi, c’è lo spazio politico potenziale per riuscirci. Da un lato rafforzare le proprie caratteristiche identitarie, comunitariste, xenofobe, poujadiste; dall’altro presentarsi quale soggetto politico né di destra né di sinistra cavalcando l’ondata anti-politica della retorica del basso contro l’alto. La Lega si propone quale espressione della “gente” sfruttata: dalla UE, dalla Casta, dalle banche, dai “poteri forti” in generale. Il partito del popolo minuto contro grandi potentati legati al capitale transnazionale.

Per quanto il dato significativo della tornata elettorale regionale di domenica sia l’astensionismo ormai strutturalmente a livelli statunitensi, dovremmo concentrarci soprattutto, in questa determinata fase, sul 20% preso dalla Lega Nord in Emilia Romagna. Di gran lunga la forza di “centrodestra” più forte e votata, l’unica capace di riorganizzare un discorso politico di destra facendo convergere su di sé la vocazione elettorale di un vasto pezzo di società. E in territorio da sempre restio a farsi abbindolare dalle retoriche leghiste.

Insomma, oggi il problema Lega è all’ordine del giorno, e sarebbe un errore storico sottovalutarlo. La nascita di un potenziale Fronte Nazionale all’italiana, con quei presupposti ideologici e quelle percentuali elettorali, sarebbe la pietra tombale per la sinistra di classe. Perché prosciugherebbe l’acqua nella quale nuota da sempre ogni sinistra legata al mondo del lavoro: tale ipotetico Fronte Nazionale darebbe una prospettiva di lotta e di governo possibile alle categorie impoverite dalla crisi economica, e fra queste anche a grande parte del lavoro dipendente salariato oggi completamente orfano di una qualsiasi prospettiva politica organizzata. Il dato emiliano è l’ennesimo campanello d’allarme. La soluzione, a scanso di equivoci, non sta solo nell’agire radicalmente contro queste formazioni politiche, ma nell’affrontare di petto i nodi attorno ai quali questa Lega Nord trova consenso. Affrontarli da sinistra, in termini di classe, ma affrontarli: immigrazione, sicurezza, Unione Europea, Euro, recupero della sovranità, degrado e via dicendo sono temi spinosi, scivolosissimi, complicati, border line, ma che occorre tornare a frequentare. Bisogna avere una visione politica su questi temi che non può limitarsi agli assunti generalissimi dell’antirazzismo o sulle dinamiche produttive che producono inevitabilmente scontri tra poveri e contraddizioni in seno alla classe. Tutto giusto e tutto inevitabilmente destinato all’incomprensibilità sociale in questa precisa fase storica. Serve sporcarsi le mani anche ideologicamente, declinando i nostri presupposti politici in una chiave probabilmente nuova e inaspettata, ma che va indagata. Pena la perdita di rilevanza sociale, e dunque politica, sull’universo mondo.

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