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28/11/2014

OPEC: Arabia Saudita, un colpo al petrolio USA e uno alle casse dell’Iran

di Michele Giorgio – Il Manifesto 

«Non c’è il taglio della pro­du­zione del petrolio…l’Opec ha preso una buona deci­sione». Sono state suf­fi­cienti que­ste poche parole pro­nun­ciate ieri pome­rig­gio al ter­mine del ver­tice Opec a Vienna dal mini­stro del petro­lio sau­dita, Ali Al-Naimi, per far crol­lare in poche ore la quo­ta­zione del Brent e quella del Wti sotto i 70 dol­lari. In tarda serata la ten­denza era sem­pre al ribasso, verso un prezzo che il petro­lio non toc­cava da oltre quat­tro anni. E men­tre gli auto­mo­bi­li­sti occi­den­tali, appren­dendo la noti­zia, si ral­le­gra­vano sognando un netto calo alla pompa del prezzo di ben­zina e gaso­lio – sogno desti­nato a sva­nire ancora una volta a causa delle tasse gover­na­tive e delle spe­cu­la­zioni sul greg­gio messe in opera dalle grandi com­pa­gnie petro­li­fere – i rap­pre­sen­tanti di Iran e Vene­zuela, che ave­vano insi­stito per un taglio della pro­du­zione volto a far risa­lire il prezzo del barile (e con esso le entrate di valuta pre­giata nelle loro casse) non hanno potuto far altro che ammet­tere la sconfitta.

Di fronte al secco «no» dell’Arabia Sau­dita e delle altre petro­mo­nar­chie del Golfo, i 12 Paesi mem­bri dell’Opec hanno man­te­nuto a 30 milioni di barili al giorno il tetto della pro­du­zione. Il mini­stro sau­dita non ha voluto con­tem­plare il taglio anche sol­tanto di un milione di barili così come gli esperti del set­tore, o almeno quelli più otti­mi­sti, ave­vano pre­vi­sto. Motivo uffi­ciale? Riyadh sostiene che senza garan­zie da parte degli Stati che non fanno parte del car­tello di Vienna, i tagli della pro­du­zione potreb­bero essere imme­dia­ta­mente col­mati da altri paesi, vani­fi­cando così gli sforzi per far risa­lire il costo del barile e facendo per­dere ai mem­bri dell’Opec sostan­ziose quote di mer­cato. Una tesi non infon­data ma anche gli inte­ressi stra­te­gici e le riva­lità regio­nali hanno un peso in quella che è stata chia­mata la «guerra dei prezzi». A comin­ciare dal con­flitto a distanza tra Ara­bia Sau­dita e Iran per finire ai «colpi» che Riyadh prova a dare a Rus­sia e Vene­zuela, alleati dell’Iran e del pre­si­dente siriano Bashar Assad.

Il mini­stro degli esteri vene­zue­lano Rafael Rami­rez per­ciò ha lasciato la riu­nione visi­bil­mente con­tra­riato. Il rap­pre­sen­tante di Teh­ran invece ha osten­tato tran­quil­lità. «Non è la deci­sione che voleva l’Iran ma non siamo arrab­biati», ha com­men­tato il mini­stro del petro­lio Bijan Zan­ga­neh. E invece a Teh­ran l’esito del ver­tice dell’Opec ha fatto strin­gere i pugni dalla rab­bia a parec­chi diri­genti della Repub­blica isla­mica. Con il prezzo del petro­lio in con­ti­nuo calo e i pesanti riflessi delle san­zioni eco­no­mi­che inter­na­zio­nali che subi­sce da anni, l’Iran dovrà fare bene i conti nelle sue casse sem­pre più vuote. Allo stesso tempo a Teh­ran non tutti guar­dano con sfa­vore al man­cato taglio della pro­du­zione Opec e con­di­vi­dono la stessa paura dei sau­diti di per­dere quote di mer­cato di fronte alla cre­scita di quella sta­tu­ni­tense, ai mas­simi in que­sti ultimi anni, desti­nata però a rima­nere fuori mer­cato se i livelli di prezzo diven­te­ranno inso­ste­ni­bili. L’obiettivo sarebbe quello di costrin­gere gli ame­ri­cani a fre­nare la pro­du­zione fon­data sullo Shale Oil, ossia il petro­lio che si ricava con la tri­vel­la­zione che fran­tuma le rocce.

Secondo i dati degli esperti inter­na­zio­nali pre­sto l’America del Nord sarà in grado di pro­durre almeno 4 milioni di barili al giorno di Shale Oil e di petro­lio estratto dalle sab­bie bitu­mi­nose del Canada. Gli Stati Uniti, prin­ci­pali con­su­ma­tori di ener­gia del mondo, pro­du­cono oggi 8,5 milioni di barili al giorno e gra­zie anche alla quota di Shale Oil le impor­ta­zioni nette sono scese a 5,2 milioni. Tut­ta­via lo Shale Oil non è più com­pe­ti­tivo sotto gli 80 dol­lari al barile (tra 60 e 70 secondo altri cal­coli) e con prezzi bassi molti pro­dut­tori rischie­reb­bero la ban­ca­rotta essen­dosi inde­bi­tati per gli inve­sti­menti già fatti e per por­tare avanti per le ricer­che. Que­sta pro­spet­tiva dovrebbe indurre i pro­dut­tori di que­sto tipo di petro­lio a fre­nare e il mer­cato mon­diale, pen­sano a Riyadh e con meno otti­mi­smo a Teh­ran, potrebbe nel giro di un anno o due sta­bi­liz­zarsi su un costo del barile ben più alto di quello attuale.

Il futuro imme­diato però parla di un eccesso di offerta di fronte ad una domanda di petro­lio calata sen­si­bil­mente a causa soprat­tutto della crisi eco­no­mica che col­pi­sce in par­ti­co­lare le eco­no­mie occi­den­tali. I danni per Teh­ran – che dal petro­lio ricava il 60% delle sue entrate - si annun­ciano pesanti men­tre i ric­chi regnanti sau­diti hanno riserve di valuta per andare avanti 2–3 anni senza grandi pro­blemi. A sof­frire per il calo del prezzo del barile è anche l’Iraq deva­stato dalla guerra interna e che vede i suoi gia­ci­menti minac­ciati dai jiha­di­sti dello Stato Isla­mico (che ven­dono il greg­gio ira­cheno e siriano sul mer­cato nero rica­vando almeno 2 milioni di dol­lari al giorno). Senza dimen­ti­care le ten­sioni legate ai gia­ci­menti petro­li­feri tra il governo cen­trale a Bagh­dad e i diri­genti curdi.

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