Da diverso tempo il caso Podemos – il
partito politico nato dall’esperienza del movimento degli “indignados”
in Spagna – sta tenendo banco nelle discussioni di movimento. A ragione,
vorremmo sottolineare, perché il caso si presta ad una molteplicità di
letture affatto attuali e dirimenti per la situazione italiana.
Interpretare il caso spagnolo è allora opportuno, perché può insegnarci
qualcosa, per cogliere i limiti e le potenzialità di tale esperimento,
insomma per generare una discussione capace di smuovere le secche
politiche dei movimenti italiani. Movimenti costantemente stretti tra
rifiuto della rappresentanza e crisi del politico, una vuoto di volta in volta riempito dalle peggiori imitazioni del concetto di sinistra.
Podemos nasce nel gennaio di quest’anno,
a più di tre anni dall’esplosione (e dalla relativamente rapida
dissoluzione) del movimento degli indignados (un movimento particolare
che già aveva attirato la nostra attenzione: uno, due e tre
link utili a capire cosa ne pensavamo). Una dissoluzione determinata da
vari fattori anche contrastanti, il primo dei quali è la non
strutturazione dell’esperienza politica, che ha portato questa al veloce
dissolvimento una volta raggiunto l’apice della protesta. Un movimento
politico basato esclusivamente sulla mobilitazione costante infatti non
riesce a reggere alla distanza, quando fisiologicamente la mobilitazione
viene meno per le ragioni più varie. E in genere, senza strutturazione e
visione politica definita, la capacità delle proteste di movimento di
“cogliere l’attimo”, cioè portare a casa dei risultati stabili nel
momento di massima partecipazione, è molto scarso. Una certa agilità
movimentista è allora necessaria alla capacità di mobilitazione, ma
senza strutturazione questa disperde troppo velocemente il capitale
umano e politico attivato. Podemos conferma direttamente questa
tendenza. Nonostante il “movimiento 15M” abbia continuato la propria
attività assembleare, dialettica, partecipativa, radicale, anche nella
fase calante della protesta, nei fatti era scomparso dal panorama
politico effettivo spagnolo. La nascita di Podemos ha riportato
immediatamente in auge le vertenze e la visione politica di quel
movimento, e stavolta senza la necessità di una mobilitazione costante
che lo ponesse al centro delle cronache. Attraverso un processo di ampio
respiro democratico, il partito non solo si è dato un programma
definito e chiaro, ma si è anche organizzato sul terreno della
rappresentanza politica ufficiale, divenendo il quarto partito di Spagna
e soprattutto un’alternativa identificabile nel calderone dell’offerta
politica. Rappresentanza e “conoscibilità”, identificazione chiara di un
progetto e strutturazione, non fanno rima con elezioni. Il fatto che
Podemos si sia posto anche su un piano elettorale è paradossalmente la
caratteristica meno interessante. E’ stata una scelta, potremmo dire
anche azzeccata, ma è il risultato di un percorso politico, non
l’origine di un esperimento elettorale.
Podemos struttura dunque le aspirazioni
politiche di un movimento altrimenti relegato all’invisibilità, capace
di generare interesse solamente nel momento di massima mobilitazione ma
destinato all’irrilevanza nella quotidianità. Ovviamente parliamo di
un’irrilevanza riferita alla massa di lavoratori/elettori del contesto
spagnolo, che dovrebbero costituire il naturale bacino sociale di quel
movimento, non di quei militanti che anche nella fase di bassa marea
hanno continuato a portare avanti le ragioni della protesta. Ma se la
politica riguarda la costruzione di quel feedback decisivo tra
avanguardie militanti e composizione sociale, quel legame per cui
un’avanguardia rappresenta le ragioni politiche di una determinata
classe, allora l’invisibilità di un movimento ne descrive la sua
incapacità di farsi alternativa politica. L’esperimento politico di
Podemos ha colmato questa irrilevanza, e lo ha fatto tramite la
strutturazione politica di un’esperienza altrimenti defunta (ripetiamo:
defunta per l’opinione media ecc).
Nel merito, Podemos ha avuto la capacità
di riportare il discorso egemone (e liberista) sulla casta, la
corruzione politica, lo scontro generazionale, ad un quadro di valori e
di proposte chiaramente di sinistra. Il programma politico uscito fuori
dalla discussione interna (ed esterna) al partito è un programma
chiaramente di sinistra radicale. Seppur concedendo molto alla visione
socialdemocratica-keynesiana dei rapporti di produzione, nonché della
retorica moltitudinaria dei beni comuni, l’orizzonte politico definito è
quello della socializzazione effettiva dell’economia, della
nazionalizzazione totale dei mezzi di produzione economici e finanziari
principali, dell’allargamento della democrazia reale sia nella sostanza
che nella forma. Purtroppo, questo programma mirabilmente chiaro è al
servizio di una retorica politica promossa dal partito di un apparente
equidistanza tra la destra e la sinistra, categorie giudicate sorpassate
nell’attuale contesto politico. Podemos non si definisce organizzazione
politica di sinistra, quanto piuttosto un contenitore dal basso per la
rappresentanza di tutto ciò che si oppone “all’alto”. Una visione
manichea e “spoliticizzante” che non favorisce le istanze stesse
dell’esperimento politico. Dando sponda alla retorica delle soluzioni
per il “bene comune” che non sarebbero politicamente orientate, il
progetto spagnolo sembra avvalorare l’ideologia mercatista per cui le
soluzioni ai problemi “della popolazione” non sarebbero nella politica,
inevitabilmente viziata dal contrasto ideologico destra/sinistra, ma
nell’accettazione di determinate soluzioni tecniche, di volta in volta
boicottate dal ceto politico per i motivi di cui sopra: corruzione,
privilegi di casta, complotti di vario genere, eccetera. Purtroppo
questa retorica forte copre il merito del programma, che invece,
ribadiamo, è un programma nettamente di sinistra, una sinistra che
potremmo anche definire comunista, sebbene non legata a vecchi modelli
d’impostazione politica, sia (evidentemente) nella forma che nella
sostanza. Il fatto è che le proposte avanzate da Podemos, e a cui
Podemos rimanda idealmente, non sono né tecniche né impolitiche. Sono il
frutto di un’esperienza plurisecolare delle sinistre di classe, di una
storia del movimento operaio che le ha definite attraverso le proprie
esperienze.
La volontà, politica, di rompere i ponti con il passato, di non storicizzare il proprio retroterra politico, è un errore capitale per le ragioni di Podemos. Prima di tutto, perché contribuisce ad alimentare le ragioni dell’irrilevanza delle sinistre nel contesto europeo, visto l’appoggio ad un certo tipo di retorica che punta in primo luogo proprio alla scomparsa di una visione politica autonoma delle classi subalterne. In secondo luogo, perché rende tale progetto politico “scalabile” da altre posizioni. Se la dirimente non è più destra/sinistra, una qualsiasi opzione politica *di destra* potrebbe appropriarsi dello spirito e delle ragioni rappresentante dal Podemos di turno. In Italia abbiamo un esempio chiaro di questa tendenza: a forze di ripetere che non esistono più soluzioni politiche identificabili, un gruppo dirigente di destra, Grillo e la Casaleggio associati, si è appropriato di un impianto politico di sinistra rimodulandolo in chiave pacificante e liberista, razzista e anarco-capitalista. La facilità con cui Grillo si è apparentemente presentato come leader di sinistra, salvo poi demolire le ragioni della sinistra a vantaggio di un progetto politico liberista, è sotto gli occhi di tutti e risponde proprio alla stessa logica purtroppo promossa da Podemos: senza storicizzazione della propria esperienza politica, questa perde il valore di esperienza diventando permeabile a qualsiasi retorica apparentemente (post)moderna.
La volontà, politica, di rompere i ponti con il passato, di non storicizzare il proprio retroterra politico, è un errore capitale per le ragioni di Podemos. Prima di tutto, perché contribuisce ad alimentare le ragioni dell’irrilevanza delle sinistre nel contesto europeo, visto l’appoggio ad un certo tipo di retorica che punta in primo luogo proprio alla scomparsa di una visione politica autonoma delle classi subalterne. In secondo luogo, perché rende tale progetto politico “scalabile” da altre posizioni. Se la dirimente non è più destra/sinistra, una qualsiasi opzione politica *di destra* potrebbe appropriarsi dello spirito e delle ragioni rappresentante dal Podemos di turno. In Italia abbiamo un esempio chiaro di questa tendenza: a forze di ripetere che non esistono più soluzioni politiche identificabili, un gruppo dirigente di destra, Grillo e la Casaleggio associati, si è appropriato di un impianto politico di sinistra rimodulandolo in chiave pacificante e liberista, razzista e anarco-capitalista. La facilità con cui Grillo si è apparentemente presentato come leader di sinistra, salvo poi demolire le ragioni della sinistra a vantaggio di un progetto politico liberista, è sotto gli occhi di tutti e risponde proprio alla stessa logica purtroppo promossa da Podemos: senza storicizzazione della propria esperienza politica, questa perde il valore di esperienza diventando permeabile a qualsiasi retorica apparentemente (post)moderna.
Il partito politico di Pablo Iglesias
allora ci dice due cose: la prima, che una sintesi politica organizzata
capace di rappresentare le ragioni dei movimenti di classe è necessaria
allo sviluppo e alle possibilità di vittoria dei movimenti stessi. La
seconda, che un cedimento all’ideologia liberista (né destra né
sinistra; soluzioni tecniche; beni comuni per la popolazione
indifferenziata al suo interno; lotta a presunta “caste” di
privilegiati; ecc.) impedisce a questi movimenti/partiti di essere vera
alternativa al sistema politico-economico attuale. Podemos è nel mezzo
di queste due tendenze, e il suo futuro sviluppo ne determinerà la reale
consistenza.
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