di Michele Paris
Il licenziamento del Segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel,
da parte del presidente Obama ha fatto emergere questa settimana la
profonda crisi nella quale continua a dibattersi l’amministrazione
democratica sul fronte della politica estera e della “sicurezza
nazionale”. L’elenco delle ragioni immediate riportate dalla stampa
negli Stati Uniti per il più recente rimpasto di governo, ha visto
invariabilmente al primo posto la difficoltà dell’ex senatore
repubblicano a connettersi con la Casa Bianca e il potente Consiglio per
la Sicurezza Nazionale, nonché una serie di incomprensioni registrate
con i membri più importanti dello stesso staff presidenziale.
Dell’amicizia
nata al Senato tra Obama e Hagel non si è vista in ogni caso traccia
nella conferenza stampa di lunedì sera per annunciare le dimissioni del
numero uno del Pentagono. Quest’ultimo è apparso irrigidito e attento a
evitare lo sguardo di un presidente che, nonostante il benservito, ha
riempito di inutili elogi l’ex collega e amico.
Secondo i
resoconti della stampa, la rimozione di Hagel sarebbe stata “concordata”
nel corso di discussioni avvenute nelle ultime due settimane, durante le
quali le tensioni all’interno dell’amministrazione, così come le
crescenti contraddizioni, sono esplose in tutta la loro portata.
Da
tempo, d’altra parte, Hagel veniva descritto come assente o distaccato
quando partecipava alle riunioni dei vertici del governo USA, lasciando
intendere sia una certa disconnessione con i veri centri decisionali
dell’amministrazione Obama sia una carenza in termini di controllo e
fiducia tra i suoi presunti sottoposti, cioè i vertici militari.
La
mancanza di esperienza diretta nelle questioni del Pentagono potrebbe
avere poi acuito l’incapacità o l’impossibilità da parte di Hagel di
penetrare la cerchia di consiglieri e assistenti vari della Casa Bianca
sulla quale si basa il processo decisionale di Obama.
Questo
conflitto era diventato di dominio pubblico qualche settimana fa, quando
Hagel in maniera insolita aveva indirizzato una lettera alla Casa
Bianca per criticare il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, presieduto
dalla fedelissima del presidente, Susan Rice, circa la mancanza di una
politica coerente sull’Iraq e, soprattutto, sulla Siria e la sorte del
suo presidente, Bashar al-Assad.
I punti su cui Hagel e la Casa
Bianca hanno avuto opinioni divergenti potrebbero essere molti altri,
dal Medio Oriente all’Ucraina all’Estremo Oriente, anche se la
segretezza del processo di avvicendamento al Pentagono rende per il
momento difficile un’analisi precisa delle ragioni che l’hanno messo in
moto.
Hagel, inoltre, sembrava essere sempre più lontano anche
dai militari, forse anche per la sua scarsa combattività, rispetto ai
due predecessori, Robert Gates e Leon Panetta, attorno alle questioni
del budget. Il bilancio del Pentagono, infatti, pur rimanendo
oggettivamente enorme, è stato ridotto in maniera relativamente
sensibile, così che le risorse a disposizione faticano a tenere il passo
del crescente sforzo militare americano nel pianeta.
La sfiducia
dei vertici militari e la freddezza della Casa Bianca nei confronti del
segretario alla Difesa erano state così simbolizzate nei mesi scorsi
dalla presenza accanto a Hagel, in varie conferenze stampa ed eventi
pubblici, del capo di Stato Maggiore, generale Martin Dempsey, sempre
più nelle grazie della Casa Bianca, al contrario del suo diretto
superiore nominale.
Al di là delle speculazioni o delle
attitudini personali del segretario alla Difesa uscente, la chiave della
brusca interruzione dell’avventura di Chuck Hagel alla guida del
Pentagono dopo nemmeno due anni può essere intravista in due decisioni
prese da Obama nelle ultime settimane e che implicano un nuovo aumento
dell’impegno militare degli Stati Uniti nei teatri di guerra più caldi
del pianeta.
La prima è stata resa nota dal New York Times
nel fine settimana e riguarda l’espansione, rispetto a quanto
annunciato in precedenza, dei compiti da assegnare al contingente
militare USA che rimarrà in Afghanistan dopo il 31 dicembre 2014. La
seconda, invece, è il raddoppio del numero dei soldati americani inviati
in Iraq nell’ambito dello sforzo per combattere lo Stato Islamico
(ISIS).
In
sostanza, dunque, l’avvicendamento al Pentagono sembra segnare
l’inaugurazione, se possibile, di una svolta caratterizzata ancor più
dall’impegno bellico da parte statunitense. Un’interpretazione, questa,
confermata da vari interventi di analisti e opinionisti apparsi in
questi giorni sui media ufficiali negli Stati Uniti, assieme agli elogi
per la rimozione di Hagel accompagnati da giudizi velenosi
sull’incompetenza del team Obama, incapace di formulare una politica
estera coerente per la promozione dell’imperialismo USA.
In
questa prospettiva, è impossibile non ricordare quali fossero le
posizioni attribuite a Hagel prima di iniziare un difficoltoso processo
di conferma al Senato per la carica di segretario alla Difesa al
principio del 2013. Pur non essendo esattamente una “colomba” sulle
questioni di politica estera, Hagel poteva essere considerato a tutti
gli effetti un “moderato”, se non altro per gli standard della politica
americana odierna.
Le sue convinzioni possono perciò avere
prodotto le divergenze già ricordate e quel senso di estraneità
attribuito a Hagel nei confronti di una Casa Bianca il cui baricentro
politico si è invece spostato sempre più verso destra, in buona parte
sotto la spinta proprio dell’apparato militare e della sicurezza
nazionale.
Ciò appare tanto più significativo e allo stesso tempo
inquietante alla luce del fatto che lo stesso Hagel, almeno a detta del
giudizio comune, era stato imbarcato nell’amministrazione Obama
precisamente per il suo punto di vista sulle questioni internazionali.
L’ex senatore del Nebraska, infatti, era stato scelto nonostante su di
lui continuassero ad addensarsi le accuse, peraltro al limite
dell’assurdo, di “pacifismo” e “anti-sionismo”.
La Casa Bianca
sembrava avere accettato insomma una dura battaglia per la sua conferma
al Senato proprio per avere all’interno del governo una personalità
disposta a sostenere i presunti progetti del presidente per porre fine a
uno stato di guerra perenne e produrre una politica estera basata sul
dialogo e non sulle armi.
La progressiva divergenza dei punti di
vista di Hagel e della Casa Bianca fino alla rottura del rapporto tra il
numero uno del Pentagono e il presidente è stata alla fine determinata
da fattori oggettivi strettamente legati all’evolversi della crisi
irreversibile degli Stati Uniti come forza dominante sullo scacchiere
internazionale, che hanno appunto prodotto a loro volta una nuova
accelerazione delle politiche belliche di Washington, al di là delle
intenzioni reali o presunte di Obama.
Come previsto, l’attenzione
dei media si sta ora concentrando sul successore di Hagel alla guida
della più formidabile macchina da guerra e di morte del pianeta. I nomi
già emersi indicano candidati dalle caratteristiche diametralmente
opposte a quelle del segretario uscente, sia per quanto riguarda
l’esperienza all’interno del Pentagono sia in merito alle posizioni
sull’impegno per la promozione degli interessi americani nel mondo.
Il
nome più citato finora è quello dell’ex sottosegretaria alla Difesa,
Michèle Flournoy, la quale, per la gioia della galassia “liberal” di
Washington fissata con le questioni di genere, potrebbe essere la prima
donna della storia a guidare il Pentagono.
Se il New York Times
l’ha definita di tendenze “centriste” e sostenitrice di un
atteggiamento americano “meno aggressivo” all’estero, la Flournoy ha
contribuito alla revisione della strategia difensiva (bellica) americana
avvenuta nel 2010, la quale prevedeva una maggiore preparazione dei
militari per far fronte a minacce “più complesse”, in altre parole
appoggiando un ruolo più incisivo delle forze armate USA per regolare i
conflitti creati dall’imperialismo a stelle e strisce.
Michèle
Flournoy era stata inoltre una convinta sostenitrice del cosiddetto
“surge” deciso da Bush nel 2007, ovvero l’aumento delle truppe di
occupazione americane in Iraq, mentre nel 2009 si sarebbe battuta per un
numero maggiore di rinforzi da inviare in Afghanistan rispetto a quello
stabilito da Obama. Per il Guardian, poi, un’eventuale nomina
della Flournoy indicherebbe “una revisione dell’approccio USA nella
guerra contro l’ISIS, probabilmente caratterizzato dalla riduzione delle
restrizioni esistenti” circa i compiti di combattimento dei soldati
americani dispiegati in Iraq.
Tra gli altri papabili alla
successione di Hagel indicati dai media USA ci sarebbero infine anche
l’ex vice-segretario alla Difesa, Ashton Carter, già responsabile
dell’approvvigionamento di armi per il Pentagono, il senatore
democratico del Rhode Island ed ex ufficiale dell’esercito, Jack Reed,
l’attuale vice-segretario alla Difesa, Robert Work, e il segretario
della Marina, Ray Mabus.
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