Dalle guerre in Afghanistan e Libia alla vigilanza di piazze, cortei, manifestazioni e azioni di lotta contro le politiche di austerity del governo italiano. I “Predator” dell’Aeronautica militare, dopo essere stati schierati nei principali scacchieri di guerra mediorientali e africani saranno messi a disposizione delle forze di Polizia e dei Carabinieri per interventi d’ordine pubblico e vigilanza del territorio. Nei giorni scorsi è stato firmato a Roma un accordo che prevede il “concorso con i velivoli senza pilota Predator ad attività istituzionali della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri”, riferisce il Comando dell’Aeronautica italiana. Il protocollo d’intesa, mai discusso in sede parlamentare, è stato siglato dal capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica gen. Pasquale Preziosa, dal Capo della Polizia Alessandro Pansa e dal Comandante Generale dei Carabinieri, gen. Leonardo Gallitelli.
L’uso dei “Predator” in funzione di controllo interno rappresenta l’ennesimo salto di qualità nella gestione “militare” dell’ordine pubblico, in linea con le più recenti elaborazioni strategiche in ambito Nato (le cosiddette Urban Operations) che propongono l’intervento in future operazioni urbane anti-sommossa di reparti super-specializzati e super-armati di professionisti formatisi nelle operazioni di “guerra asimmetrica” in Iraq e Afghanistan. I velivoli a pilotaggio remoto che l’Aeronautica metterà a disposizione di Polizia e Carabinieri saranno gli RQ-1A e RQ-9B in possesso del 32° Stormo con sede ad Amendola (Foggia). La versione più vecchia del “Predator” è lunga 8,2 metri, ha una larghezza alare di 14,8 m e può raggiungere una velocità di crociera di 135 km/h e un’altitudine di 7.800 metri. L’RQ-9B, noto anche come “Reaper”, è una versione più aggiornata e sofisticata del drone prodotto dall’holding statunitense “General Atomics”: ha una lunghezza di 11 metri, un’apertura alare di 20 e può volare a 440 Km/h e a 15.000 metri dal suolo.
I “Predator” hanno la capacità di rimanere in volo per lungo tempo (oltre 20 ore) nell’area di operazione, con possibilità di essere dirottati in qualsiasi momento verso nuovi obiettivi. I velivoli senza pilota vengono impiegati normalmente in missioni d’intelligence, sorveglianza e acquisizione dei target, grazie all’impiego di avanzati sistemi di scoperta elettro-ottici ed infrarosso, diurno e notturno, e di potenti radar per l’individuazione di obiettivi di superficie. In via secondaria i “Predator” sono impiegati dalle forze armate nell’ambito di operazioni di pattugliamento aeronavale, ricerca e soccorso. “Questi velivoli a pilotaggio remoto sono in grado di assolvere un’ampia gamma di compiti dimostrando elevate doti di flessibilità, versatilità ed efficacia”, spiega il Comando generale dell’Aeronautica militare. “È possibile, ad esempio, rilevare la presenza di minacce quali ordigni esplosivi improvvisati che rappresentano il pericolo più insidioso e diffuso nei teatri operativi odierni. Possono inoltre essere effettuate missioni in ambienti operativi ostili, in presenza di contaminazione nucleare, biologica, chimica o radiologica, oppure acquisire dati ed informazioni relativi ad obiettivi di piccole e grandi dimensioni in zone potenzialmente oggetto di operazioni. Le caratteristiche di autonomia, velocità, persistenza e raggio d’azione, unite ai bassi costi di esercizio, rendono il Sistema uno degli strumenti migliori per il controllo dei confini, l’attività diretta all’antiterrorismo, il monitoraggio ambientale, il supporto alle forze di polizia, l’intervento in caso di calamità naturali e la sorveglianza del fenomeno dell’immigrazione clandestina”.
Nei mesi passati i “Preadator” del 32° Stormo di Amendola sono stati impiegati per il pattugliamento del Mediterraneo centrale nell’ambito dell’operazione aeronavale “Mare Nostrum” condotta dalle forze armate per contenere il transito delle imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo in fuga dal Nord Africa e il Medio oriente. Anche dopo il recente passaggio di consegne all’operazione Triton a guida Frontex, l’agenzia europea di contrasto all’immigrazione, i droni dell’Aeronautica continuano a volare nei cieli mediterranei con sortite fino ai confini meridionali della Libia con Ciad e Sudan. Anche in passato, i droni dell’Aeronautica militare erano stati impiegati in operazioni di “sicurezza interna” e controllo dell’ordine pubblico a favore della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri: ad esempio, durante il vertice intergovernativo Russia–Italia, tenutosi a Bari nel marzo 2007 o il G8 dell’Aquila del 2009. Con l’accordo dei giorni scorsi, l’Aeronautica militare entra a pieno diritto nella “prevenzione anti-crimine” in territorio italiano: i suoi droni grandi fratelli, potranno spiare liberamente comunità e singoli cittadini, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno.
La prima batteria di “Predator” fu utilizzata dal 32° Stormo di Amendola dalla base di Tallil, in Iraq nel gennaio 2005, in supporto del contingente terrestre della missione “Antica Babilonia”. Nel maggio 2007 i droni furono trasferiti pure nella base di Herat, sede del Comando regionale interforze per le operazioni in Afghanistan (RC-West), dove hanno continuato ad operare ininterrottamente sino ad oggi. Nel corso delle operazioni belliche contro la Libia della primavera-estate 2011, i velivoli a pilotaggio remoto hanno avuto un ruolo guida per consentire i bombardamenti dell’Aeronautica italiana e dei partner della coalizione internazionale anti-Gheddafi. Lo scorso mese d’agosto, due “Predator” sono stati schierati a Gibuti, in Corno d’Africa, nell’ambito della missione antipirateria dell’Unione Europea “Atalanta” e a supporto delle forze governative somale in lotta contro le milizie di Al Shabab. A fine ottobre, altri due velivoli senza pilota dell’Aeronautica militare sono stati trasferiti nello scalo aereo di Kuwait City per operare a favore della coalizione internazionale anti-Isis in Iraq e Siria. Adesso è l’ora della guerra sul fonte interno.
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