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25/11/2014

Il mosaico iracheno (parte 1)

di Francesca La Bella

L’Iraq è un Paese pieno di contraddizioni e lo è fin dalla sua nascita come Stato Nazione in senso moderno. Forti spinte centrifughe e grandi ricchezze naturali sono stati gli ingredienti principali dell’instabilità interna e, ad oggi, il mosaico tra etnie ed interessi contrapposti che sembrava potesse avere qualche possibilità di completamento, potrebbe essere andato definitivamente in pezzi.

Ciò che ha portato ad un mutamento così repentino della situazione è sicuramente la rinnovata intraprendenza di IS (Stato Islamico) e le relative conseguenze. Questo non avrebbe, però, potuto avere un effetto così dirompente se non si fosse inserito in un contesto già di per sé conflittuale. Se da un lato, possiamo, infatti, disegnare sul suolo iracheno due linee immaginarie che solcano approssimativamente il 33esimo e il 36esimo parallelo e che dividono rispettivamente l’area curda da quella sunnita e quest’ultima dall’area sciita, troviamo, all’interno di queste zone etnicamente abbastanza omogenee, varie fazioni politiche ed armate con obiettivi e interessi divergenti. Ed è su questo retroterra che va ad innestarsi l’azione dello Stato islamico ed il suo progetto di Califfato transnazionale tra Iraq e Siria.

L’indicazione dei due paralleli non è, oltretutto, casuale, ma riprende le linee scelte dall’amministrazione statunitense durante la guerra del Golfo per la determinazione delle No-fly-zone sul Paese. E’ interessante, a tal proposito, notare come, la cacciata di Saddam Hussein e la fine di un’epoca di Governo a guida sunnita non abbia posto fine alle divisioni etniche e che, quest’ultima crisi, abbia avuto inizio durante il Governo di Nouri al-Maliki, sciita, primo ministro iracheno per due interi mandati.

Le fasi finali della dirigenza Maliki sono, infatti, stati segnati da fortissime tensioni etniche causate dalle politiche discriminatorie del Governo. Se da un lato, i sunniti, ed in particolare quelli della regione dell’Anbar, si sentivano esclusi dai centri del potere ed emarginati rispetto alla vita politica del Paese, il Governo Regionale del Kurdistan iracheno (KRG) stigmatizzava l’operato discriminatorio del Governo nei confronti dei Curdi. A questo si aggiungano le controversie in merito ai proventi petroliferi tra Kurdistan e Governo centrale e le accuse sunnite a Maliki di appoggiare ufficiosamente i gruppi paramilitari sciiti per mantenere il controllo delle minoranze del Paese.

In questo quadro bisogna leggere l’avanzata dello Stato Islamico e, nonostante la sostituzioni di Maliki con Haider al-Abadi, sciita anch’esso, ma considerato a livello internazionale un moderato, sembrano non essersi ricucite le profonde divisioni all’interno del Paese. Ad oggi, si può, di conseguenza, provare ad interpretare la realtà irachena approfondendo le peculiarità e le problematiche delle diverse aree del Paese.

Kurdistan

Fin dall’inizio della sua avanzata l’IS ha identificato i curdi come target delle proprie azioni. Pur condividendo la scelta religiosa (i curdi sono perlopiù di confessione sunnita), la divisione etnica e la presenza curda in territori identificati come parte del futuro Califfato, ha contrapposto KRG e Stato Islamico. La battaglia per Mosul e per Kirkuk, in particolare, hanno avuto un valore sostanziale in quanto i Peshmerga (esercito regolare curdo) hanno cercato di difendere la popolazione e di prendere il controllo di due città da molto tempo contese tra KRG e Governo centrale. L’attribuzione delle due aree, ricchissime di materie prime (petrolio ed acqua in particolare), è da sempre stato fattore di scontro tra curdi e Baghdad e l’IS, con la presa della diga di Mosul, si è inserito come terzo contendente nella diatriba.

Parallelamente, l’azione contro gli Yezidi, popolo di origine e lingua curda, ma con religione propria, sul monte Sinjar, e la penetrazione nei territori curdi in Siria ha esacerbato il conflitto tra le due parti. Se, da un lato, il conflitto in Siria ha creato un nuovo fronte di scontro tra curdi iracheni e IS (a difesa di Kobane sono giunti, nelle settimane passate, alcuni battaglioni peshmerga), ha anche permesso al KRG di solidificare il proprio controllo sul territorio iracheno e di stringere accordi con il Governo Centrale e con i vicini d’area per garantire la propria sicurezza e la ripresa dell’economia.

In questo senso devono essere letti il prestito concesso dal Governo Abadi al KRG di 500 milioni di dollari per la commercializzazione del petrolio curdo attraverso la compagnia petrolifera di Stato irachena e la visita del primo Ministro turco Ahmet Davutoglu ad Erbil. Durante l’incontro il rappresentante turco ha sottolineato la vicinanza tra le due parti, promettendo aiuto per la gestione degli sfollati interni ed esprimendo apprezzamento per la promessa di 150.000 barili di petrolio al giorno che inizieranno ad essere inviati da Kirkuk verso la Turchia.

La realtà del Kurdistan iracheno in questo momento ha, però, due facce. Da un lato il Governo prova a porsi come interlocutore privilegiato sia a livello interno sia a livello internazionale cercando di dimostrare la propria capacità di garantire la ripresa dell’economia anche in una fase di crisi, dall’altra gravi problemi sociali persistono. Se alcune zone sono ormai solidamente sotto il controllo curdo, in molte altre, soprattutto nell’area di Mosul, i combattimenti continuano incessantemente con alti costi in termini economici e di vite umane. Anche laddove il controllo amministrativo curdo è esclusivo, d’altra parte, i problemi non mancano.

La popolazione di alcune zone ha ingrossato le file dell’IS, creando una linea di frattura forte all’interno dello stesso schieramento curdo. Alcune testimonianze, riferiscono di militanti dello Stato Islamico provenienti da Halabja (città curdo-irachena tristemente nota per essere stata colpita con armi chimiche dal Governo iracheno nel 1988, durante la guerra Iran-Iraq) attivi durante durante l’assedio di Kobane in Siria. A questo si aggiungano i villaggi praticamente rasi al suolo dall’avanzata dell’IS, le decine di sfollati ospitati in campi profughi sia in territorio iracheno sia aldilà del confine con la Turchia.

La situazione è, dunque, ancora lungi dall’essere risolta e il riavvicinamento strategico tra curdi e Governo centrale dettato dal comune nemico da combattere e dai convergenti interessi economici, rimanendo inalterati i fattori di divisione del passato, potrebbe non passare la prova della fine del conflitto data la mancanza di programmazione di un’azione comune a livello politico.

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