di Francesca La Bella
L’Iraq è un Paese pieno di contraddizioni e lo è fin dalla sua nascita
come Stato Nazione in senso moderno. Forti spinte centrifughe e grandi
ricchezze naturali sono stati gli ingredienti principali
dell’instabilità interna e, ad oggi, il mosaico tra etnie ed interessi
contrapposti che sembrava potesse avere qualche possibilità di
completamento, potrebbe essere andato definitivamente in pezzi.
Ciò che ha portato ad un mutamento così repentino della situazione è sicuramente la rinnovata intraprendenza di IS (Stato Islamico) e le relative conseguenze. Questo non avrebbe, però, potuto avere un effetto così dirompente se non si fosse inserito in un contesto già di per sé conflittuale.
Se da un lato, possiamo, infatti, disegnare sul suolo iracheno due
linee immaginarie che solcano approssimativamente il 33esimo e il
36esimo parallelo e che dividono rispettivamente l’area curda da quella
sunnita e quest’ultima dall’area sciita, troviamo, all’interno di queste
zone etnicamente abbastanza omogenee, varie fazioni politiche ed armate
con obiettivi e interessi divergenti. Ed è su questo retroterra che va
ad innestarsi l’azione dello Stato islamico ed il suo progetto di
Califfato transnazionale tra Iraq e Siria.
L’indicazione dei due paralleli non è,
oltretutto, casuale, ma riprende le linee scelte dall’amministrazione
statunitense durante la guerra del Golfo per la determinazione delle
No-fly-zone sul Paese. E’ interessante, a tal proposito, notare come, la
cacciata di Saddam Hussein e la fine di un’epoca di Governo a guida
sunnita non abbia posto fine alle divisioni etniche e che, quest’ultima
crisi, abbia avuto inizio durante il Governo di Nouri al-Maliki, sciita,
primo ministro iracheno per due interi mandati.
Le fasi finali della dirigenza Maliki sono, infatti, stati segnati da fortissime tensioni etniche causate dalle politiche discriminatorie del Governo.
Se da un lato, i sunniti, ed in particolare quelli della regione
dell’Anbar, si sentivano esclusi dai centri del potere ed emarginati
rispetto alla vita politica del Paese, il Governo Regionale del
Kurdistan iracheno (KRG) stigmatizzava l’operato discriminatorio del
Governo nei confronti dei Curdi. A questo si aggiungano le controversie
in merito ai proventi petroliferi tra Kurdistan e Governo centrale e le
accuse sunnite a Maliki di appoggiare ufficiosamente i gruppi
paramilitari sciiti per mantenere il controllo delle minoranze del
Paese.
In questo quadro bisogna leggere
l’avanzata dello Stato Islamico e, nonostante la sostituzioni di Maliki
con Haider al-Abadi, sciita anch’esso, ma considerato a livello
internazionale un moderato, sembrano non essersi ricucite le profonde
divisioni all’interno del Paese. Ad oggi, si può, di
conseguenza, provare ad interpretare la realtà irachena approfondendo le
peculiarità e le problematiche delle diverse aree del Paese.
Kurdistan
Fin dall’inizio della sua avanzata l’IS ha identificato i curdi come target delle proprie azioni.
Pur condividendo la scelta religiosa (i curdi sono perlopiù di
confessione sunnita), la divisione etnica e la presenza curda in
territori identificati come parte del futuro Califfato, ha contrapposto
KRG e Stato Islamico. La battaglia per Mosul e per Kirkuk, in
particolare, hanno avuto un valore sostanziale in quanto i Peshmerga
(esercito regolare curdo) hanno cercato di difendere la popolazione e di
prendere il controllo di due città da molto tempo contese tra KRG e
Governo centrale. L’attribuzione delle due aree, ricchissime di materie
prime (petrolio ed acqua in particolare), è da sempre stato fattore di
scontro tra curdi e Baghdad e l’IS, con la presa della diga di Mosul, si
è inserito come terzo contendente nella diatriba.
Parallelamente, l’azione contro gli
Yezidi, popolo di origine e lingua curda, ma con religione propria, sul
monte Sinjar, e la penetrazione nei territori curdi in Siria ha
esacerbato il conflitto tra le due parti. Se, da un lato, il conflitto
in Siria ha creato un nuovo fronte di scontro tra curdi iracheni e IS (a
difesa di Kobane sono giunti, nelle settimane passate, alcuni
battaglioni peshmerga), ha anche permesso al KRG di solidificare il
proprio controllo sul territorio iracheno e di stringere accordi con il
Governo Centrale e con i vicini d’area per garantire la propria
sicurezza e la ripresa dell’economia.
In questo senso devono essere letti
il prestito concesso dal Governo Abadi al KRG di 500 milioni di dollari
per la commercializzazione del petrolio curdo attraverso la compagnia
petrolifera di Stato irachena e la visita del primo Ministro turco Ahmet
Davutoglu ad Erbil. Durante l’incontro il
rappresentante turco ha sottolineato la vicinanza tra le due parti,
promettendo aiuto per la gestione degli sfollati interni ed esprimendo
apprezzamento per la promessa di 150.000 barili di petrolio al giorno
che inizieranno ad essere inviati da Kirkuk verso la Turchia.
La realtà del Kurdistan iracheno
in questo momento ha, però, due facce. Da un lato il Governo prova a
porsi come interlocutore privilegiato sia a livello interno sia a
livello internazionale cercando di dimostrare la propria capacità di
garantire la ripresa dell’economia anche in una fase di crisi,
dall’altra gravi problemi sociali persistono. Se alcune zone
sono ormai solidamente sotto il controllo curdo, in molte altre,
soprattutto nell’area di Mosul, i combattimenti continuano
incessantemente con alti costi in termini economici e di vite umane.
Anche laddove il controllo amministrativo curdo è esclusivo, d’altra
parte, i problemi non mancano.
La popolazione di alcune zone ha
ingrossato le file dell’IS, creando una linea di frattura forte
all’interno dello stesso schieramento curdo. Alcune testimonianze,
riferiscono di militanti dello Stato Islamico provenienti da Halabja
(città curdo-irachena tristemente nota per essere stata colpita con armi
chimiche dal Governo iracheno nel 1988, durante la guerra Iran-Iraq)
attivi durante durante l’assedio di Kobane in Siria. A questo si
aggiungano i villaggi praticamente rasi al suolo dall’avanzata dell’IS,
le decine di sfollati ospitati in campi profughi sia in territorio
iracheno sia aldilà del confine con la Turchia.
La situazione è, dunque, ancora lungi
dall’essere risolta e il riavvicinamento strategico tra curdi e Governo
centrale dettato dal comune nemico da combattere e dai convergenti
interessi economici, rimanendo inalterati i fattori di divisione del
passato, potrebbe non passare la prova della fine del conflitto data la
mancanza di programmazione di un’azione comune a livello politico.
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