Lo scoop
Sentite cosa dice - in un italiano da codice penale - Arrigo Petacco, intervistato dal blog di Beppe Grillo: "Mussolini
nel '24 ha ottenuto il 68,8% dei voti vi rendete conto? Altro che
violenza e che minaccia! E i socialisti, il povero Matteotti era al
18-20%. A questo punto la domanda che faccio io è: voi pensate che, 10
giorni prima che aveva stravinto le elezioni politiche, il capo del
governo, non ancora dittatore, per fare uccidere il capo
dell’opposizione manda 4 manigoldi con una lima arrugginita? Ecco, io
proprio per questo non ho mai creduto che Mussolini avesse fatto il delitto”.
Matteotti fu accoltellato a morte il 10
giugno 1924 da cinque membri della polizia politica fascista (che
sicuramente avranno rapito un deputato dell’opposizione di loro
iniziativa e senza avvertire nessuno...) e di motivi per ucciderlo ce
n’erano eccome: il primo era quello di intimidire e mettere
definitivamente a tacere l’opposizione dopo l’appassionato discorso in
cui il deputato socialista aveva denunciato, oltre ai brogli elettorali
da parte dei fascisti, una vera e propria occupazione militare dei seggi
(in molti casi presidiati dalla milizia fascista) assieme a
intimidazioni e devastazioni delle sedi di partiti di sinistra,
cooperative e sindacati.
Ma secondo fonti credibili ci sarebbe
stato un altro movente, ben più concreto: Matteotti stava per presentare
un dossier sulle tangenti che l’americana Sinclair Oil aveva versato al
Re e a personaggi vicini al “duce”.
In ogni caso gli assassini furono
condannati nonostante le pressioni sui magistrati. Il capo degli
squadristi, tale Dumini, confessò con un documento autografato in
carcere la committenza di Mussolini, che il 3 gennaio del 1925 si
assunse la piena responsabilità morale, politica e storica del delitto (link: il discorso di Mussolini) avviando quel combinato di leggi che tra il 1925 e l'inizio del 1926 sciolse partiti e sindacati. Fu colpo di Stato.
Ma chi è Arrigo Petacco?
Per capire chi è Petacco basta leggere il suo blog: “Se
non ci fosse il revisionismo perché si scriverebbero nuovi libri di
storia? Non ce ne sarebbe bisogno, basterebbero i vecchi. Il
revisionismo è importante!”
Petacco fa parte di quella schiera di
mediocri divulgatori che hanno fiutato l’aria e hanno capito che in
Italia basta sputare sull’antifascismo e sulla Resistenza, rivalutare la
figura di Mussolini o di qualche altro gerarca per garantirsi
visibilità illimitata nelle librerie e in tv.
Nel suo libro “I
ragazzi del ‘44” sosteneva che “il contributo dei partigiani alla
guerra di liberazione fu modesto” e polemizzava con giudizi «datati,
troppo convenzionali, con i partigiani tutti buoni, i fascisti tutti
cattivi, la resistenza con la "R" maiuscola e il duce con la "D"
minuscola».
Nel 2003 ha pubblicato “Faccetta nera”
dove giustificava l’uso dei gas tossici in Africa orientale da parte
delle truppe italiane in base alla “morale del tempo”. A proposito di
questo libro scrive lo storico Del Boca: “è difficile, in meno di 230
pagine, accumulare tanti errori, tante lacune, tanti giudizi e
valutazioni non corrette. Una spietata aggressione a uno Stato sovrano,
che causa la morte di oltre 300.000 etiopici, viene contrabbandata come
un’impresa necessaria e urgente, tanto più che l’aggredito, l’imperatore
Hailé Selassié, era, come precisa Petacco, soltanto un ‘ras affarista,
sanguinario, crudele e schiavista’”. E ci fermiamo qui.
Grillo, “né di destra né di sinistra”
Ma perché pubblicare una simile
spazzatura? E perché Beppe Grillo si occupa di storiografia, visto che
tutto quanto è successo prima della nascita del M5S secondo lui è
ciarpame di un'epoca preistorica in cui esistevano sempre la destra e la
sinistra?
Tutto si può dire di Grillo e Casaleggio
tranne che non siano abili comunicatori. È quindi improbabile che si
tratti di un autogol o di un post buttato lì a casaccio.
I due guru del Movimento 5 Stelle,
valutando i deludenti risultati elettorali, probabilmente hanno pensato
che il progetto della Lega di riproporre in Italia un soggetto politico
“lepenista” sta facendo breccia in un elettorato di destra che
costituisce un bacino di voti anche per loro.
Gli esempi di esternazioni di Grillo
chiaramente dirette ad accattivarsi questo tipo di elettorato abbondano:
dalla “peste rossa” agli immigrati che portano le malattie, dai
sindacati che sono un ferrovecchio da mandare in soffitta, alle battute
benevole su Casa Pound, fino alla convergenza "tecnico-strategica" e già
fallita con l’Ukip di Farage al parlamento europeo.
Ma sarebbe riduttivo spiegare queste
uscite solo in termini di opportunismo: il Movimento 5 Stelle è
profondamente imbevuto di una cultura qualunquista che vede come il fumo
negli occhi il “culturame” di sinistra. Tutto ciò che viene percepito
come ideologico, astratto, contrapposto al concreto del quotidiano
piccolo borghese sarebbe ipocrisia e vecchiume inutile, e quindi lo
sarebbero anche i valori della resistenza e dell’antifascismo.
Quello che fa pena è proprio
quest’assoluta e rivendicata mancanza di riferimenti ideali, che
peraltro non dovrebbe stupirci in quanto da sempre teorizzata da chi si
definisce “né di destra né di sinistra”.
Grillo e le amministrazioni locali
In fondo potremmo fregarcene, tanto il
Movimento 5 Stelle a gestione Grillo-Casaleggio sta implodendo e
probabilmente si trasformerà in qualcosa di nuovo anche se
ridimensionato. Grazie a una serie irripetibile di circostanze
favorevoli nelle ultime elezioni politiche era riuscito a catalizzare il
voto ambientalista e quello dei leghisti delusi dal Trota, quello della
destra e dei piddini impegnati nelle solite faide interne, il voto di
protesta antisistema e quello dei maniaci della legalità, ma la “bolla
speculativa” ora sta scoppiando e i nodi vengono al pettine.
In un movimento così variegato
l’esistenza di meccanismi di democrazia interna sarebbe quanto mai
necessaria. Invece Grillo continua a gestire il M5S come se fosse una
ditta privata e non rinuncia ad imporre la sua linea a colpi di
espulsioni e anatemi.
Anche la sua immagine ne ha risentito:
da simpatico e arguto uomo di spettacolo, che ha avuto il merito di
anticipare temi importanti come la decrescita, la sostenibilità, la
democrazia della rete, si è ormai trasformato in un caudillo rabbioso e
incapace di confrontarsi con i suoi stessi sostenitori. E se questa è la
nuova politica molto meglio la vecchia.
Questa forme di delirio autoritario si
fa sentire soprattutto nei rapporti con gli eletti nei consigli comunali
e regionali e con gli amministratori.
Nelle elezioni amministrative, dove più
che il carisma del capo conta la presenza sul territorio, il M5S ha
raggiunto risultati significativi soltanto in poche realtà, ma nella
maggior parte di queste, come a Parma, gli amministratori locali sono
arrivati ai ferri corti con il padrone del marchio.
È senz’altro vero che, in questa prima
fase del mandato, Pizzarotti è stato estremamente deludente e ha tradito
molte delle promesse fatte in campagna elettorale (come quelle
sull’inceneritore), ma il problema principale è che una volta vinte le
elezioni i grillini si sono scontrati frontalmente con la realtà e hanno
verificato quanto fossero assurde le regole del loro movimento.
Grillo invece continua a vedere questi
screzi attraverso la lente del “tradimento“ e dell’arrivismo: qualcuno
avrebbe trovato una poltrona e perso la purezza iniziale.
Per questo Grillo rischia di trasformarsi da imprescindibile testimonial a zavorra del movimento.
Potremmo anche fregarcene
tranquillamente, dicevamo, ma si dà il caso che in questo momento il M5S
amministra la nostra città. E la amministra in base alle regole astruse
del padrone della ditta.
Redazione - 29 novembre 2014
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