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28/11/2014

Riapre Rafah, per Gaza è sempre un inferno


di Michele Giorgio – IL MANIFESTO

«Avevo programmato di viaggiare con mio figlio per due settimane, per dimenticare l’ultima guerra a Gaza. Ora stiamo affrontando una realtà altrettanto difficile. Dal 5 novembre siamo bloccati in una stanza d’albergo al Cairo…Mi manca mia figlia Zeina». É questo il racconto che qualche giorno fa Abu Abdallah Tafesh, un abitante di Gaza, ha fatto a una giornalista di al Monitor. Una storia amara simile a quella che potrebbero dirci i 3500 palestinesi, secondo stime prudenti, 6000 secondo altri dati, bloccati al Cairo, a El Arish e in altre località da circa un mese, da quando gli egiziani hanno ordinato la chiusura del valico di Rafah in risposta a un attentato (33 soldati uccisi) compiuto il 24 ottobre nel Sinai da Ansar Beit al Maqdes, una formazione jihadista affiliata allo Stato Islamico (Isis). Attentato che, sostiene il regime del presidente Abdul Fattah al Sisi, sarebbe stato concepito nella Striscia di Gaza.

Una versione poco convincente che probabilmente serve alle autorità del Cairo per mascherare il fallimento di oltre un anno di operazioni militari che hanno soltanto scalfito i jihadisti. Al Sisi e il resto dell’establishment egiziano, dal giorno del golpe anti-islamista del 2013, sono impegnati in una dura campagna contro i Fratelli musulmani e il loro braccio palestinese, Hamas. Al punto che il presidente in una intervista al Corriere ha di fatto proposto l’occupazione militare egiziana di Gaza descrivendola come un contributo alla stabilità del territorio palestinese e alla sicurezza di Israele.

In questo mese l’esercito egiziano ha cambiato il volto dei 13 km di frontiera con Gaza, creando una zona cuscinetto larga un chilometro, demolendo almeno 1500 abitazioni e trasferendo da un giorno all’altro decine di migliaia di civili a El Arish e altre località (promettendo risarcimenti irrisori). I militari hanno anche riferito di aver chiuso altre decine di tunnel sotterranei tra la Striscia e l’Egitto. A ciò ha aggiunto la chiusura prolungata del valico di Rafah, l’unica porta sul mondo a disposizione dei palestinesi di Gaza.


Il terminal ieri ha finalmente riaperto, per qualche ora, e oggi resterà operativo dalle 9 alle 16, però solo in uscita dall’Egitto. È una buona notizia ma nessuno sa quanti palestinesi potranno passare. E nessuno è in grado di prevedere quando il valico tornerà ad essere aperto in futuro. Abu Abdullah Tafesh e il figlio forse non saranno in grado di rientrare a Gaza dove l’uomo, un insegnante di educazione fisica, è atteso dalla famiglia e dai suoi studenti. Probabilmente saranno costretti a tornare davanti all’ambasciata palestinese al Cairo a chiedere aiuto per pagare l’albergo.

L’ambasciatore Jamal al-Shobaki ripete che gli abitanti di Gaza sono le vittime degli attentati terroristici nel Sinai, proprio come i soldati uccisi. Parole che non danno conforto a chi è bloccato da settimane, come gli 800 palestinesi costretti ad aspettare all’estero, spesso in condizioni precarie negli aeroporti, quando l’Egitto fisserà una nuova data per l’apertura del valico di Rafah. Il regime di al Sisi consente l’arrivo allo scalo del Cairo ai palestinesi diretti a Gaza solo se il terminal di confine è aperto. Da un anno l’Egitto preme affinchè la guardia presidenziale dell’Anp di Abu Mazen prenda il controllo del versante palestinese di Rafah, in sostituzione della polizia di Hamas.

Il dramma di tanti civili palestinesi ai quali viene impedito di tornare a casa, finisce per apparire marginale di fronte alla condizione spaventosa delle decime di migliaia di palestinesi ai quali i bombardamenti israeliani della scorsa estate hanno distrutto l’abitazione. Piove tanto su Israele e Territori occupati. E la pioggia cade copiosa anche su Gaza trasformando in laghi Shujayea, Beit Hanun, Kuzaa e le altre località ridotte in macerie.


Molte famiglie, con il tempo asciutto, avevano montato tende accanto alla casa distrutta o si erano adattate a vivere negli edifici danneggiati ma ancora in piedi. La pioggia però filtra ovunque, allaga, non lascia altra possibilità che quella di tornare in quelle scuole dove gli sfollati, senza altra possibilità di sistemazione, sono ospitati da mesi. La ricostruzione di Gaza, dopo le fanfare del 12 ottobre alla conferenza dei Donatori (promessi 5,4 miliardi di dollari), rimane una parola scritta su fogli di carta. Israele due giorni fa ha consentito l’ingresso a Gaza di un convoglio di 28 autocarri carichi di cemento e materiali per l’edilizia, appena il secondo in tre mesi. A questo ritmo una nuova casa gli sfollati potranno averla tra una dozzina d'anni.

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