di Francesca La Bella
La
zona centrale dell’Iraq, nella quale si situa anche la capitale
Baghdad, è quella dove è demograficamente maggioritaria la componente
sunnita. Un’area dove più forti sono state le conseguenze degli attacchi
internazionali dato il radicamento delle forze favorevoli a Saddam
Hussein. Città come Ramadi, Falluja o Tikrit, città principali
insieme a Baghdad del cosiddetto triangolo sunnita, divenute celebri per
la strenua resistenza alle azioni della Coalizione internazionale.
Città che, ad oggi, sono centrali nella battaglia tra l’IS e il Governo
centrale iracheno.
E’, infatti, proprio nell’area a
maggioranza sunnita che si gioca la principale disputa tra le
controparti e dove maggiori sono i protagonisti in campo. In
queste province, nucleo centrale del Califfato, lo Stato Islamico trova
sia la propria base sia i suoi più forti avversari e, per questo, il
controllo di esse diventa fondamentale per lo sviluppo degli eventi a
prescindere dalla presa della capitale. Gli attori, in questo caso, sono
molteplici ed alleanze a geometrie variabili portano a continui e
repentini cambiamenti degli equilibri. Gruppi di ex-alleati di Saddam
Hussein hanno mantenuto una discreta presenza su questi territori,
alcuni gruppi sciiti di opposizione hanno ampliato il loro raggio
d’azione anche nelle zone a maggioranza sunnita sia in opposizione allo
Stato islamico sia nell’ottica di preservazione del predominio sciita
sull’intero territorio iracheno.
Gli scontri tra milizie paramilitari in quest’area sono, dunque,
all’ordine del giorno. A questo si aggiunge l’azione dell’esercito
regolare e delle milizie della più grande delle provincie dell’area, la
provincia di Anbar. Quest’ultima è ormai da molto tempo, teatro
di violenti scontri tra gruppi sunniti locali, esercito iracheno e
militanti dell’IS. Se durante la guerra d’Iraq del 2003, l’Anbar si era
distinto per la netta contrapposizione all’ingresso della Coalizione dei
Volenterosi, nel periodo 2006-2008, la stessa provincia ha svolto un
importante ruolo nella sconfitta delle compagini islamiste, riunite
sotto la denominazione AQI (al-Qaeda in Iraq) nell’area. Il cosiddetto
Anbar awakening ha, di fatto, permesso al Governo centrale, con l’aiuto
statunitense, di ristabilire l’effettivo controllo sulle area centrale
dell’Iraq. La mancanza di sostegno della popolazione sunnita ha avuto,
dunque, un peso consistente nella capacità di azione dei gruppi
islamisti, ma nel corso del Governo a guida Maliki la situazione è
radicalmente cambiata e AQI, ormai diventato ISIL (e poi IS), ha trovato
sempre maggior seguito tra la popolazione.
Ed in questo contesto che
l’ennesima rivolta contro il Governo centrale ha aperto spazi di
conquista per lo Stato islamico. All’intervento dell’esercito regolare
nelle aree di Ramadi e Falluja per sedare le proteste sunnite si sono
contrapposti, infatti, due diversi schieramenti: uno rappresentato dal
Consiglio Generale Militare dei Rivoluzionari e da altre forze sunnite
unitesi a tutela della popolazione sunnita dai raid dell’esercito
regolare e dei gruppi paramilitari sciiti ed uno rappresentato dall’IS.
Nell’Anbar lo Stato Islamico ha,
dunque, uno dei nuclei centrali della sua azione (come parallelamente a
Raqqa in Siria) e, in questi giorni, la situazione della provincia
sembra sul punto di esplodere nuovamente. Sarebbe, infatti, in
atto un’offensiva dell’IS contro Ramadi, capoluogo ed unica città della
provincia ancora sotto esclusivo controllo del Governo centrale.
Nonostante i differenti obiettivi delle tribù alla guida dell’Anbar
rispetto alle volontà politiche del Governo Abadi, si sta conformando
una alleanza di fatto tra le due parti contro quello che viene
considerato il nemico, al momento, più pericoloso. Nonostante questo,
l’ingresso in città di milizie sciite spaventa la popolazione dati i
casi di violenza contro i sunniti del passato. Si teme, inoltre, che le
milizie, regolari e non, possano rimanere sul territorio dell’Anbar a
prescindere dal risultato ottenuto contro le forze dello Stato Islamico.
Come nel caso del Kurdistan, dunque, l’alleanza strategica momentanea
non apre a prospettive future di conciliazione nazionale data la natura
emergenziale del riavvicinamento e la mancanza di obiettivi condivisi.
Le aree a maggioranza sciita
Molto forti all’interno dell’Iraq sono anche i gruppi politici e militari sciiti.
Alcuni nati in opposizione a Saddam Hussein, altri formatisi in
contrapposizione all’occupazione statunitense prima e al Governo al
Maliki in seguito, altri ancora formalmente indipendenti, ma agenti
ufficiosi delle politiche del Governo centrale sciita. Queste compagini
hanno oggi un ruolo particolarmente importante nella lotta contro lo
Stato Islamico e nel controllo effettivo di alcune parti del Paese.
Benché le principali città sciite del sud sembrino escluse dall’attuale
conflitto e sottoposte al controllo esclusivo del Governo centrale,
nell’area centrale del Paese la percezione di un incombente pericolo per
la popolazione è tale che, ad esempio, per la festa dell’Ashura (festa
del sacrificio) di inizio novembre, ingenti sono state le misure di
sicurezza messe in atto da Baghdad per tutelare i pellegrini sciiti in
arrivo a Kerbala.
In quest’ottica si legga il rinnovato vigore di gruppi come quello guidato da
Moqtada al Sadr che, dopo essersi ritirato per un breve periodo dalla
vita politica irachena, ha scelto di tornare e, ad oggi, il suo
movimento controllerebbe le aree di Samarra, Jurf el Sakher e il
governatorato di Diyala. La forza di questi gruppi è tale,
anche grazie alle vittorie sul campo contro lo Stato Islamico, da
permettere ai suoi dirigenti di minacciare Baghdad di ritiro immediato
dagli avamposti conquistati qualora si conformasse la possibilità di un
intervento internazionale a guida statunitense.
Per la popolazione di queste
aree, però la liberazione dal controllo dello Stato Islamico, non
significa, necessariamente un miglioramento del proprio livello di
sicurezza. Molte testimonianze parlano di attacchi diretti delle milizie
sciite contro la popolazione sunnita e di interi villaggi rasi al suolo
dalle stesse in una logica di vendetta contro la popolazione sunnita
per gli attacchi dell’IS contro gli sciiti. Laddove non esiste
omogeneità etnica le problematiche diventano, così ancor più stringenti e
la lotta contro lo Stato Islamico si trasforma in un conflitto tra
sunniti e sciiti che, inasprendo gli animi da entrambe le parti, porta
nuove forze sia alle compagini più radicali della galassia sciita sia
all’IS. A questa situazione, già di per sé precaria, si aggiunga la
questione dei profughi interni che, potrebbe modificare parzialmente la
demografia del Paese oltre che obbligare ad un contatto diretto etnie
diverse come successo alle migliaia di profughi sunniti dell’Anbar
spinti verso sud-ovest dall’avanzata dell’IS.
Un discorso a parte deve essere
fatto, invece, per Baghdad. Alla problematica degli sfollati, nella capitale, si
è aggiunto un ulteriore fattore di destabilizzazione: molti sono stati
gli attentati nei quartieri sciiti e, per quanto il controllo della
città sia ancora saldamente nelle mani del Governo, il timore di nuovi
attacchi è sempre maggiore.
Alla luce di tutto questo e, consci che molti altri fattori, interni ed internazionali, contribuiscono a rendere precaria la situazione irachena e impediscono la soluzione della vicenda sia nel breve sia nel medio periodo, possiamo sottolineare come l’IS sia solo uno dei fattori della crisi irachena. La causa primaria delle fratture irachene deve, dunque, essere cercata nel passato del Paese e la crisi attuale non potrà essere risolta con la mera vittoria militare sullo Stato Islamico, ma dovrà passare per la soluzione di questioni politiche, economiche e sociali di più ampio respiro.
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