Dieci morti stamattina in scontri nella capitale yemenita Sana’a tra
ribelli Houthi e miliziani tribali sunniti. Le violenze sono iniziate
nel quartiere di Hasba e sono proseguite per due ore: secondo
fonti Houthi, i miliziani di Ahmar, tribù sunnita che guida il
principale partito islamista Islah, avrebbero rifiutato di fermarsi ad
un checkpoint. I ribelli Houthi, a loro volta, hanno cercato di dare fuoco alla casa di Sam al-Ahmar, leader tribale.
Nelle stesse ore, un gruppo armato ha fatto saltare in aria
la principale conduttura di greggio del paese, nella provincia di Marib,
come riporta il Ministero degli Interni, bloccando il flusso verso il
Mar Rosso. La conduttura, lunga 435 km, collega i giacimenti di
Safir, a est della capitale, con l’impianto di Ras Isa nel porto di
Hodeida sul Mar Rosso. La città costiera è stata occupata ad
ottobre dagli Houthi, che hanno guadagnato così una posizione strategica
tra Sana’a e il mare, garantendosi il controllo del passaggio di greggio verso l’Europa.
Da tempo le tubature di olio e gas sono target di milizie tribali che
tentano così di ottenere maggiori concessioni dal governo centrale,
atti che hanno provocato gravi danni alle esportazioni del paese che
vive per il 90% delle vendite di greggio: tra marzo 2011 e marzo 2013, attacchi alle infrastrutture energetiche hanno provocato perdite per 4,75 miliardi di dollari.
Da settembre gli sciiti Houthi, minoranza yemenita, hanno assunto il
controllo della capitale chiedendo un nuovo governo e maggioranza
rappresentanza politica. Da due mesi il paese è nel caos:
scontri settimanali per il controllo del territorio provocano centinaia
di morti e la mediazione tentata dall’Onu è naufragata da tempo. Dietro,
gli interessi regionali dell’asse sciita guidato da Teheran e quello
sunnita con in testa l’Arabia Saudita.
Dopo la rimozione del presidente Saleh nel 2011, la politica resta
invischiata in un pericoloso stallo, apparentemente insuperabile.
Nonostante ad ottobre fossero state accolte le richieste Houthi e il
precedente governo fosse stato sostituito da un premier che gli stessi
sciiti avevano indicato, le tensioni interne non sono cessate e un nuovo
premier è stato nominato il 9 novembre. Il nuovo primo
ministro, Khaled Bahhah e il suo esecutivo avevano giurato e aperto la
nuova legislatura con la promessa di porre fine alle divisioni interne e
ai settarismi etnici. Ma i continui scontri tra Al Qaeda e
sunniti da una parte e Houthi e sostenitori dell’ex presidente Saleh
dall’altra dimostrano il contrario.
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