24/11/2014
Egitto e democrazia: jihad eletta di Morsi o laicismo in divisa?
E’ noto che, per gli occidentali, la democrazia è un valore assoluto e da non mettere mai in discussione. Secondo alcuni intellettuali come Fukuyama va pure “esportata” sempre e in ogni contesto, a prescindere dalle condizioni (e dalle tradizioni) di Paesi che hanno cultura e valori diversi. Hillary Clinton è l’esempio più tipico di questo modo di pensare. Nei suoi scritti e discorsi, diritti umani e parità di genere hanno priorità assoluta e tale da oscurare tutto il resto. E Barack Obama è solo un po’ meno estremista circa tali argomenti ma, in fondo, la pensa in modo analogo.
Un sano realismo politico dovrebbe però indurre gli Stati Uniti (e l’Unione Europea, la cui autonomia in materia di politica estera è pari a zero), a comportarsi in modo diverso quando le circostanze lo impongono con forza.
La diffusione del radicalismo islamico rappresenta in questo senso un esempio emblematico. Leggo critiche anche aspre all’esercito egiziano per aver represso con la violenza la rivolta della Fratellanza Musulmana e per aver deposto un presidente democraticamente eletto. Che in Egitto ciò sia avvenuto è fuor di dubbio, ma i critici forse dimenticano su quale strada si stava avviando la maggiore nazione del mondo arabo sotto la presidenza Morsi. USA e UE, basandosi sulla sua presunta moderazione, lo avevano in un primo tempo sostenuto pienamente. Era la stagione delle cosiddette “primavere arabe”, finite poi nel modo che conosciamo.
Certo tutti vorremmo che la repressione non esistesse, e che i cittadini egiziani fossero liberi di esprimere le loro opinioni di qualsiasi tipo esse siano. Che fare, tuttavia, se un’associazione che si colloca a metà strada tra politica e religione pretende di imporre la propria visione del mondo a tutti, inclusi coloro che con essa non concordano? Se la si lascia libera di perseguire i propri fini avremo in breve tempo un’altra teocrazia, come se non ce ne fossero già abbastanza. E la teocrazia significa stragi (come quella recentissima in Kenya a opera dei fondamentalisti somali), persecuzione di chi professa altre fedi religiose, dei laici che non ne professano alcuna e pure di coloro che, pur appartenendo allo stesso ceppo, danno un’interpretazione diversa dei testi sacri.
Posso sbagliare, ma ritengo che in Egitto, vista la situazione, non ci fossero alternative praticabili. Non scordiamo che al Sisi ha incassato il sostegno non solo di altre nazioni arabe, ma anche di Putin e dei cinesi. Tutti molto preoccupati che un Paese così importante per gli equilibri internazionali finisse per essere dominato dal fondamentalismo. Certo il generale e la sua giunta non sono molto popolari in Occidente, e non è difficile prevedere manifestazioni – anche violente – contro di lui in occasione della sua imminente visita in Italia.
Da parte mia auspico che questo continuo strabismo occidentale termini (anche se non nutro eccessive speranze al riguardo). Non si possono condannare un giorno sì e l’altro pure stragi e orrori continui, e un’intolleranza giunta a livelli parossistici, e poi condannare chi blocca con la forza il diffondersi del contagio. E non si può soprattutto in Italia, dove si vede da brevissima distanza una Libia sconvolta da radicalismo proprio grazie alle favole sull’esportazione della democrazia.
Può pure darsi che la situazione in Egitto sia peggiorata per colpa dei militari, anche se confesso francamente di non crederlo affatto. Chiediamoci però cosa sarebbe avvenuto se avesse prevalso la strategia di Hillary Clinton e del Dipartimento di stato USA. Staremmo senz’altro peggio, con la ben magra consolazione di aver imposto le regole della democrazia. E pazienza se il mio discorso suona reazionario.
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Articolo assolutamente da leggere tanto è imbarazzante la tesi proposta e gli argomenti che la sostengono.
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