Wadi al Joz (Gerusalemme). Giovani palestinesi lanciano sassi alla polizia. Foto Reuters |
“Intifada”. E’ la parola che gira di bocca in bocca tra israeliani e palestinesi in questi giorni di grande tensione a Gerusalemme. Per qualcuno la rivolta sarebbe già cominciata, per altri è imminente. Ne abbiamo parlato con l’analista Hamada Jaber del Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah.
Siamo di fronte a una svolta dopo l’attacco palestinese dell’altro giorno alla sinagoga di Har Nof?
Non dal mio punto di vista, c’è stata una escalation ma non non credo che si possa parlare di svolta. Rimango dell’idea che questi occasionali attacchi palestinesi siano stati messi in atto da individui che non fanno organicamente parte di organizzazioni politiche. La stessa rivendicazione del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (dell’attacco di due giorni fa alla sinagoga, ndr) per me non significa che la leadership di questa formazione sia effettivamente dietro quell’attentato. Ripeto, si tratta perlopiù di reazioni a ciò che subiscono i palestinesi e ai rischi che corre la Spianata delle Moschee. L’attacco alla sinagoga è giunto poche ore dopo il ritrovamento del conducente di autobus palestinese (Yusef al Rummani, trovato impiccato nel suo automezzo. Per la famiglia è stato ucciso da estremisti israeliani, per Israele si sarebbe suicidato, ndr). Allo stesso tempo non è detto che la situazione non possa evolversi in qualcosa di più ampio.
Si riferisce alla terza Intifada?
Ciò che accade potrebbe già essere la nuova Intifada, in forme e modi abbastanza diversi da quelli che abbiamo conosciuto nella prima (1987) e nella seconda rivolta (2000). Noi forse non ce ne rendiamo conto perchè facciamo automaticamente riferimento a quanto abbiamo visto in passato. La prima era stata l’Intifada delle pietre, la seconda quella armata. In questi giorni non riusciamo a leggere bene la situazione. L’evoluzione in ogni caso dipenderà anche dalla linea che adotterà Israele. Durante la seconda Intifada il governo israeliano ordinò l’uso massiccio della forza, fu ucciso un gran numero di palestinesi nel primo periodo della rivolta e questo spinse tanti verso la lotta armata. L’estendersi di questa terza Intifada, ammesso che lo sia, dipenderà anche dall’Autorità Nazionale (Anp). I palestinesi di Gerusalemme sono più liberi di manifestare rispetto a quelli della Cisgiordania perchè (nella città) non ci sono le forze di sicurezza dell’Anp che contengono le proteste, le frenano, prima che possano allargarsi. Ad un certo punto però, se l’onda della rivolta travolgerà anche la Cisgiordania, l’Anp potrebbe perdere il controllo della situazione. Conteranno anche le azioni violente dei coloni (israeliani) in Cisgiordania: dovessero intensificarsi la reazione dei palestinesi sarebbe inevitabile.
L’Anp quindi vuole prevenire una nuova Intifada in Cisgiordania?
Il primo dei motivi che sino ad oggi ha impedito ai grandi centri urbani cisgiordani di seguire Gerusalemme Est è proprio il ruolo dell’Anp. I palestinesi però vogliono delle risposte, chiedono di sapere dove stanno andando e se c’è una leadership in grado di guidarli. Sanno che non è possibile proseguire così. E se da un lato ora sono disposti ad aspettare gli esiti dell’iniziativa avviata da Abu Mazen per il riconoscimento dello Stato di Palestina al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dall’altro non potranno attendere all’infinito, senza nessun cambiamento reale nella vita di tutti i giorni, senza prospettive di libertà e indipendenza.
L'intifada si rivolgerà anche contro l’Autorità nazionale palestinese?
Sì, se l’Anp reprimerà le manifestazioni contro Israele e arresterà gli attivisti della rivolta. Se metterà in galera, ad esempio, i dirigenti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina perchè coinvolti nell’attacco alla sinagoga. E’ indiscutibile che ci sia rabbia tra i palestinesi anche contro l’Anp, per varie ragioni.
Abu Mazen sta emergendo più forte o più debole da questa nuova crisi?
Abu Mazen è debole agli occhi degli israeliani e altrettanto debole agli occhi dei palestinesi. La dichiarazione di condanna dell’attentato alla sinagoga di Gerusalemme (che ha rilasciato martedì, ndr) non soddisfa allo stesso tempo gli israeliani e i palestinesi. Il presidente è in una posizione molto difficile: è sistematicamente attaccato da Israele e allo stesso tempo non gode della fiducia piena della sua gente. E il quadro per lui si fa ancora più complicato se pensiamo che il governo di unità nazionale e la riconciliazione tra il suo partito Fatah con Hamas vacillano pericolosamente in questi giorni.
Cosa prevede per le prossime settimane e mesi?
Penso che questa situazione andrà avanti e che potrebbe espandersi. Ma i limiti di questa estensione dipenderanno in buona parte dalla reazione israeliana. Più sarà violenta e più possibilità ci saranno che tutto ciò che abbiamo visto sino ad oggi si trasformi nella terza Intifada.
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