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14/09/2015

Corbyn: sarà un altro Tsipras?

L’aneddoto, lanciato via Twitter dalle agenzie di stampa di tutto il mondo, di Tsipras che dopo aver lanciato la giacca dice alla commissione Ue “e ora volete la mia camicia?”, secondo alcune fonti lanciandola secondo altre no, deve essere ben tenuto a mente da ogni genere di sinistra. Perché poi è andata a finire che la camicia, la commissione Ue, se l’è presa davvero.

La sconfitta di Syriza in Grecia le cui definitive proporzioni politiche (non quelle elettorali) saranno chiare nell’autunno, porta però alla questione Corbyn. Ovvero al fatto se il nuovo leader laburista si candida o meno ad essere il prossimo Tsipras: sconfitto, con un partito che si frammenta, con un progetto politico che si rivela inefficace.

Certo, Syriza è un partito, che ha subito una seria scissione, che si è trovato a combattere una battaglia drammatica, per la Grecia, in condizioni di inferiorità e di reale isolamento. Al netto delle posizioni politiche moderate, ed economicamente poco innovative, i membri del governo greco a luglio sembrano aver firmato una resa simile a quella dei francesi ai tedeschi nel 1940. L’importante è che i greci vivano il loro agosto 1944, con la liberazione di Atene come quella di Parigi dell’epoca, ma l’esito non è affatto scontato. Il Labour party invece non è al governo, opera in un paese che resta una delle più importanti economie mondiali, che comunque cresce, ha una banca centrale autonoma e, soprattutto, esprime un Pil che per metà è composto di servizi finanziari. È un paese fortemente ineguale, classista ed altamente tecnologico, dove la City finanzia direttamente le start-up dell’area londinese in materia di prodotti e servizi hig-tech, dove i capitali possono affluire da tutto il mondo e plasmare i territori. È un paese dove austerità del bilancio pubblico e sviluppo dei servizi finanziari compongono la spina dorsale di ciò che chiamiamo governamentalità. In ogni settore.

È evidente che Cameron ha vinto le elezioni di maggio, contro un bollito Milliband promotore di una austerità light subalterna alla proposta conservatrice, poggiando sulla propria maggioranza sociale: quella che è alimentata dal 50 per cento di Pil in prodotti finanziari. Maggioranza nella quale criticità ed ineguaglianze non mancano - il lavoro nelle miriadi di filiere tecnologiche e dei servizi finanziari, e della logistica qui correlata, è solo comandato ma non espresso da decine di milioni di Gordon Gekko o di Roman Abramovich - ma che è comunque espressione di un mondo che non vede niente altro che la dimensione neoliberale. Non è quindi un caso che Corbyn, nel suo discorso di insediamento abbia dedicato spazio a giovani e astenuti. Si parla delle categorie socialmente distanti dalla dimensione del Pil espresso dai servizi finanziari che ha permesso la vittoria di Cameron (e fatta pressione sulla Scozia durante il referendum).

Corbyn è espressione di una sinistra radicale presente in tutte le battaglie sui diritti degli ultimi decenni, che hanno visto Corbyn parlamentare della sinistra labour: dalla lotta contro l’apartheid, al riconoscimento della causa irlandese, allo smantellamento dei programmi di riarmo nucleare fino al sostegno di ogni genere di sciopero a protezione del lavoro e dello stato sociale. Inappuntabile anche in termini di spese personali. Nel 2009, rilanciato dal Telegraph, scoppiò uno scandalo sulle spese dei parlamentari e Corbyn risultò, oltre che assolutamente corretto nei rendiconti, tra i membri del parlamento con minori spese.

Diciamo che Corbyn rappresenta il tipo di parlamentare Labour rimasto nel dimenticatoio durante, e dopo, la generazione dei Tony Blair. Quanto i primi erano, e sono, difficilmente distinguibili dai conservatori quanto i Corbyn, rimasti a lungo in forte minoranza, hanno testimoniato l’importanza di sostenere battaglie di sinistra. Fino a prendersi, con una rete di militanti e di attivisti, la testa del partito. Nel Labour sono stati quindi sconfitti due assiomi, che hanno regnato come verità assolute dall'inzio degli anni ’90 ad oggi: il primo era “si parla di economia solo in termini compatibili con la City” (magari corretti da interventi di welfare sui territori), il secondo “si vince politicamente solo occupando il centro”.

Corbyn ha vinto rompendo con i due assiomi. Sicuramente le parole d’ordine legate al ripristino del welfare, alla ripubblicizzazione dei servizi si proporranno, con forza, ad ogni mossa dei conservatori. Come la questione dell’accoglienza dei rifugiati, sfidando coraggiosamente una opinione pubblica che, con la bolla Ukip poi sgonfiatasi con le politiche di maggio, ha idee sull’immigrazione favorevoli a una rigida regolazione. O come, tema non secondario, il tema dell’autonomia, nella devolution, scozzese.

Ma è sulla visione dei rapporti con l’Ue, nel momento il cui Cameron intende rivederne i rapporti in senso maggiormente concorrenziale, e su come si coniuga economia e diritti che Corbyn si gioca la sua camicia. I laburisti, dopo la seconda guerra mondiale, hanno costruito la propria fortuna politica con l’idea che il welfare fosse un guadagno per tutti, anche economico. Che l’economia di pace fosse materialmente più conveniente di quella di guerra. È su questi punti, Ue e welfare, che Corbyn si gioca la sua camicia.

Redazione - 14 settembre 2015

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