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13/09/2015

Il bambino e il cormorano, quali scenari per la borghesia europea


In queste ultime settimane estive gli “apparati ideologici dello Stato (europeo)” lavorano a pieno ritmo svolgendo bene la loro funzione di formazione delle coscienze. Le foto del bambino siriano morto sulle spiagge turche sono state gettate sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo facendo montare un’onda emotiva e compassionevole verso l’esodo dei siriani ma anche verso le masse di popolazioni che fuggono dagli scenari di guerra che dall’Afghanistan, attraverso l’intero Medio Oriente e la fascia africana arriva all’Oceano Atlantico.

L’esito di questo sdegno mondiale ha prodotto un cambiamento delle politiche della Unione Europea, di quella che conta, aprendo improvvisamente le porte ai migranti e dichiarando la disponibilità ad accettare centinaia di migliaia di profughi all’anno.

Strana questa rapida conversione umanitaria; di bambini morti, infatti, ce ne sono stati a migliaia in questi anni a causa dell’ intervento militare occidentale o delle aggressioni di Israele al popolo palestinese. Più che una reazione morale all’elemento drammatico ed emozionale della foto sembra che si sia creata ad hoc l’occasione per un cambio di condotta che andava preparato nel modo giusto. D’altra parte non è la prima volta che ciò accade.

Chi si ricorda del cormorano incatramato fotografato nel Kuwait del 1991 simbolo della perfidia di Saddam Hussein, intento a distruggere, nella sua furia dittatoriale, raffinerie e natura? Quella foto falsa, ovviamente questo si è saputo molto tempo dopo, servì a montare la compagna che preparava l’intervento occidentale in Iraq continuato in vari modi fino all’invasione americana del 2003. 

Dunque a cosa serve questa campagna “umanitaria” promossa da quella stessa Unione Europea che ha imposto i suoi draconiani diktat al popolo greco e che, fino a ieri, faceva orecchie da mercante alle richieste del governo italiano di intervenire a livello comunitario contro i barconi della morte?

Gli apprendisti stregoni dell’Unione Europea, in associazione con gli USA, in questi decenni hanno promosso innumerevoli aggressioni militari, a cominciare dagli anni ’90, che hanno trasformato la geografia politica di una parte importante del pianeta, dall’Asia centrale fino all’Africa francofona. Laddove c’erano Stati indipendenti modernamente costituiti, spesso con istituzioni laiche e variamente progressiste, oggi esiste un’area, ricca di risorse naturali a cominciare dal petrolio, divisa in una miriade di zone d’influenza tribale, in continua guerra tra di loro. In questo scenario coloniale l’occidente e, soprattutto, le sue multinazionali, possono decidere con chi allearsi, chi combattere e come valorizzare al meglio i propri interessi, facendoli scannare a vicenda.

Va detto chiaramente che l’occidente imperialista ha vinto una vera e propria guerra distruggendo interi Stati, Iraq, Libia, Somalia, Siria, Yemen, Eritrea…, creando una immensa “terra di nessuno” dove il più forte, cioè l’Occidente stesso ed i suoi alleati locali, può dettare la propria legge e dove gli interventi militari così come li abbiamo visti in questi anni possono essere tranquillamente sostituiti da operazioni di “polizia” usando droni ed aerei senza far mettere alle proprie truppe il piede a terra.

Il termine di apprendisti stregoni non è stato usato a caso, in quanto questi soggetti non hanno considerato ne gli effetti che possono derivare da guerre “infinite” collocate tutte attorno alla Unione Europea (forse gli USA su tali dinamiche potrebbero saperne qualcosa in più), ne hanno previsto l’esodo biblico che si sta muovendo, non verso i PIGS ma verso il cuore stesso del continente attraverso i Balcani. E’ proprio dalla presa d’atto dell’inarrestabilità dell’esodo in corso, anch’esso non del tutto casuale visto che è stata la Turchia a permettere la tragica “transumanza” umana di queste settimane, che ha spinto a gestire un fenomeno che ha un carattere di natura storica per il nostro continente.  

Trasformare le sconfitte in vittorie; questo principio sembra aver ispirato l’Eurocrazia, la quale si è posta il problema di come utilizzare a proprio vantaggio un movimento che è obiettivamente inarrestabile, se non “manu militari”. Plasticamente questo cambiamento lo si è visto nei comportamenti della Merkel che poche settimane fa ha fatto piangere una bambina palestinese dicendogli senza troppi complimenti che non poteva rimanere in Germania, in questi giorni invece continua a visitare campi profughi facendo dei ridicoli selfie ad uso e consumo della propaganda.

Per capire come questo possa essere fatto non si può prescindere dalle caratteristiche di chi è coinvolto nel processo migratorio. Gran parte di quelli che fuggono dalla Siria, ma anche dai paesi africani, è una popolazione che ha usufruito dei vantaggi di un periodo storico dove la cultura e l’istruzione caratterizzavano il grado di evoluzione del proprio paese. La lotta anticoloniale del ‘900 aveva come elemento centrale l’emancipazione del popolo e dunque il raggiungimento di un’istruzione adeguata. Per cui chi fugge dalle guerre non è, per la gran parte, comparabile ai nostri emigranti che fuggivano dalla durezza del lavoro contadino. Assistiamo a un esodo di ex cittadini con un grado di formazione avanzato, sia professionalmente sia tecnicamente. In tal modo i profughi in fuga si trasformano magicamente,  appena passate le frontiere di Schengen, in esercito industriale di riserva, funzionale al livello di sviluppo dell’apparato produttivo europeo.

Invecchiamento della popolazione, riduzione della contribuzione sociale e del welfare, rischi per il pensionamento delle future generazioni, sono tutti elementi che caratterizzano l’attuale condizione sociale, che l’immissione di nuova forza lavoro può rivitalizzare, non solo in funzione della tenuta economica della UE, ma soprattutto per la competizione globale in atto.

L’inserimento dei migranti in questa misura in Germania, Francia, Spagna oltre che nel nostro paese potrebbe cambiare molti dei riferimenti che abbiamo sull’assetto produttivo attuale, potrebbe invertire parte del processo di delocalizzazione in aree del mondo dove la crescita economica stenta e dove il costo del lavoro tende a equipararsi ai parametri occidentali, potrebbe modificare i caratteri della produzione in diverse regioni europee ed incidere negativamente sulle condizioni salariali interne alla comunità europea. 

Del resto non è la prima volta che accade in questo scorcio storico. E’ già successo con l’annessione della DDR alla Germania Ovest ed anche con tutti i paesi dell’est “associati” all’Unione Europea. Che questi paesi siano entrati come soci di serie B, nel ruolo di servi, diviene sempre più manifesto sia con l’accodamento alle posizioni forcaiole della Germania nell’affrontamento della vicenda Greca e sia nel loro inutile lamento contro “l’invasione” dei migranti come dimostra l’Ungheria di Orban.

Anche altri scenari meno positivi per la costituenda borghesia europea potrebbero manifestarsi; una mancata integrazione resa difficile dall’incedere della crisi economica che, come le recenti vicende cinesi insegnano, è ben lungi dall’essere risolta. Oppure la costituzione di questo nuovo proletariato continentale che dopo la prima fase di assorbimento ed accettazione potrebbe modificare i rapporti di forza tra le classi a questo punto dentro la dimensione europea. Questa possibilità si è già manifestata in Italia tra gli anni ’60 e ’70 con i nostri emigrati del Sud ma anche nella stessa Germania, in quegli stessi anni con quote di proletariato proveniente dalla Turchia e dall’allora Jugoslavia, e potrebbe succedere anche oggi.

Una cosa certa è che siamo entrati dentro un cambiamento profondo a livello mondiale. La crisi sistemica del capitalismo procede, determinando molti e diversi effetti concreti, non solo l’esodo di masse enormi. I parametri interpretativi usati fino ad oggi stanno saltando uno a uno producendo uno sbandamento mai visto finora anche tra militanti ed organizzazioni che tentano di mantenere una identità di classe e comunista.

Di fronte a questi sconvolgimenti il recupero del pensiero marxista, l’uso dei corretti strumenti teorici per leggere tendenze e prospettive è fondamentale per inquadrare le questioni e agire politicamente a tutto campo. La sinistra di oggi, reduce di una cultura politica ormai sconfitta, di cui Tsipras ne è l’ultimo vergognoso esempio, ormai non gode più di nessun spazio. Il miserabile buonismo opportunistico anche rispetto al drammatico esodo di massa di queste settimane, che da noi marcia “scalzo”, rimuove sistematicamente la lettura di classe dei fenomeni, lettura che mai come oggi dimostra la sua validità, non può che portare a ulteriori sconfitte, ad accodarsi al renzismo anche se condannato a parole ma accettato e digerito nei comportamenti politici e sociali.

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