di Michele Paris
La presenza dell’imprenditore miliardario Donald Trump tra le fila
degli aspiranti repubblicani alla Casa Bianca e la sua rapida scalata
negli indici di gradimento tra i potenziali elettori delle primarie,
testimoniano dell’avanzato stato di degrado dell’intero sistema politico
americano. Fino a poche settimane fa, quasi tutti i pretendenti alla
nomination del Partito Repubblicano avevano deciso di ignorare
l’ingombrante presenza di Trump, prevedendo che questo fenomeno si
sarebbe sgonfiato da solo, come già avvenuto in passato.
Soprattutto il presunto favorito, Jeb Bush, scommetteva che gli
eccessi di Trump avrebbero finito per beneficiare la sua candidatura,
mostrando ai potenziali elettori quale sarebbe stata la scelta più
ragionevole.
Al contrario, almeno per il momento, l’attenzione
sempre maggiore dedicata dai media a Trump e la conseguente ascesa di
quest’ultimo nei sondaggi hanno costretto i rivali repubblicani a
prendere seriamente in considerazione la sua presenza e a pianificare
attacchi diretti che hanno finito per contribuire alla legittimazione
della sua candidatura e delle sue posizioni.
La prevedibile
conseguenza della legittimazione di Trump e dell’impennata dei suoi
indici di gradimento è stata così lo spostamento ancora più a destra del
baricentro politico repubblicano, per quanto ardua potesse apparire una
tale impresa alla luce dell’evoluzione di questo partito e di tutto il
panorama politico USA nell’ultimo decennio.
Trump, ad ogni modo,
ha deciso di puntare su una strategia volta a stimolare i sentimenti più
retrogradi della base elettorale repubblicana che solitamente partecipa
alle primarie. La questione dell’immigrazione clandestina e le paure
generate nella popolazione dalla classe dirigente americana per la
presunta “invasione” di stranieri senza documenti sono di gran lunga gli
argomenti che dominano le apparizioni pubbliche del 69enne uomo
d’affari.
Il livello del suo “progetto” politico e i toni che
caratterizzano i suoi interventi erano subito emersi durante il lancio
ufficiale della campagna elettorale, quando Trump aveva puntato il dito
contro il governo messicano, accusato di esportare deliberatamente negli
Stati Uniti soltanto “spacciatori e stupratori”.
Gli inaspettati
consensi raccolti da Trump hanno così spinto gli altri candidati e
l’establishment repubblicano a cercare un modo per mettere fuori gioco
il rivale. Secondo alcuni media americani, ogni strategia messa in atto a
questo scopo rischia però di trasformarsi in un boomerang. Gli attacchi
rivolti a Trump provocano infatti reazioni che sembrano trasformarsi in
un ulteriore aumento del gradimento tra una parte di elettori
repubblicani disorientati e comunque infuriati con i vertici del
partito.
Un'altra ipotesi dibattuta è quella di impedire a Trump
di correre sotto le insegne repubblicane, ma una simile mossa potrebbe
seriamente spaccare il partito e spingere il businessman a correre come
indipendente per la Casa Bianca, favorendo il candidato del Partito
Democratico.
Nel fine settimana, intanto, i tradizionali show
televisivi americani di argomento politico hanno nuovamente avuto al
centro della discussione la candidatura di Donald Trump, anche se
quest’ultimo non è apparso su nessuno dei principali network.
A
parlarne sono stati alcuni dei candidati rivali, come il governatore
del Wisconsin, Scott Walker, e quello del New Jersey, Chris Christie,
considerati i più penalizzati dall’ascesa di Trump nei sondaggi. Lo
stesso Jeb Bush è tornato a far riferimento al tema dell’immigrazione,
bollando come “irrealistico” il piano di Trump di deportare gli 11
milioni di irregolari che vivono negli Stati Uniti e “praticamente
impossibile” quello di costruire un muro di protezione lungo tutto il
confine con il Messico.
Le motivazioni di Bush non sono peraltro
di natura morale, bensì solo pratica, a conferma che la sostanza delle
posizioni di Trump non sono poi così estreme ma riflettono in larga
misura il sentire comune in casa repubblicana. Il fratello dell’ex
presidente ha infatti sostenuto che la costruzione di un muro
anti-immigrati risulterebbe troppo costosa, mentre la maggioranza dei
clandestini attualmente non arriva più dal Messico ma dagli altri paesi
centro-americani.
Un’altra proposta di Trump sulla questione
dell’immigrazione ha confermato poi il carattere profondamente
reazionario della sua candidatura e, al tempo stesso, come le idee da
lui avanzate siano condivise da molti nel Partito Repubblicano.
Trump
ha cioè auspicato la privazione della cittadinanza americana per i nati
in territorio USA da genitori irregolari. Lo “ius soli” è garantito
esplicitamente negli Stati Uniti dal 14esimo Emendamento alla
Costituzione, adottato nel 1868 dopo la Guerra Civile per garantire agli
schiavi liberati e ai loro discendenti la cittadinanza americana e
tutti i diritti che ne derivano.
Dopo questa nuova sparata
sull’immigrazione da parte di Trump vari candidati alla nomination
repubblicana si sono detti favorevoli all’abrogazione del 14esimo
Emendamento. Altri hanno invece respinto l’ipotesi, come Jeb Bush, il
quale, per non rimanere staccato nella corsa verso destra in atto tra la
schiera di aspiranti alla Casa Bianca, è intervenuto più volte
sull’immigrazione, ricorrendo tra l’altro a termini dispregiativi per
definire i figli degli irregolari nati in America.
Attorno alla
questione dello “ius soli” è comunque risultata sufficientemente chiara
la profonda ignoranza di Donald Trump sulle più importanti questioni di
politica interna e internazionale. Un’attitudine che, peraltro, non gli
ha impedito di salire nei sondaggi e di intercettare l’attenzione dei
media. In un’intervista rilasciata a Fox News, Trump ha
sostenuto che l’interpretazione tradizionalmente data al 14esimo
Emendamento potrebbe non reggere all’esame di un tribunale,
apparentemente non sapendo che proprio lo “ius soli” era stato
riconosciuto dalla stessa Corte Suprema già nel 1898 in relazione a
questa aggiunta alla Costituzione americana risalente a 147 anni fa.
Il
fenomeno Trump non è in ogni caso da sottovalutare per gli altri
candidati repubblicani, nonostante l’assurdità di molte uscite. Di
questo se né è avuta la riprova un paio di settimane fa, quando a un suo
comizio organizzato in uno stadio di Mobile, in Alabama, hanno
partecipato più di 20 mila persone, cioè una presenza decisamente
maggiore rispetto a quelle fatte registrare finora dai suoi rivali.
Al
di là della resistenza della candidatura di Trump e dei risultati che
riuscirà a far segnare nelle primarie, la questione centrale sollevata
dalla sua presenza tra i contendenti alla nomination e il relativo
successo di queste settimane sembra essere il fatto che le sue posizioni
e la sua demagogia abbiano incontrato un’accoglienza positiva almeno in
una parte del Partito Repubblicano e delle élite USA che a esso fanno
riferimento.
Razzismo, misoginia, esaltazione del militarismo e
dell’accumulazione di ricchezze enormi sono il dato costante delle
uscite pubbliche di Donald Trump e il loro abbraccio da parte di molti
tra repubblicani, media e commentatori deve suonare come un avvertimento
circa la predisposizione di parte della classe dirigente USA verso i
principi democratici.
Ciò
è risultato evidente in occasione del primo dibattito tra i candidati
alla nomination repubblicana andato in scena ai primi di agosto, vero e
proprio teatro in cui Trump ha potuto esibire il meglio - o il peggio -
di sé stesso.
Uno spettacolo degradante, salutato dai media
“mainstream” come un sano esercizio di democrazia, è stato altamente
rivelatore non solo della natura del candidato Trump ma dello stato del
sistema politico americano.
Una manciata di politici repubblicani ha potuto snocciolare le
proprie proposte ultra-reazionarie di fronte a una folla attentamente
selezionata e spesso in delirio per dichiarazioni che prospettano, tra
l’altro, nuove sanguinose guerre, la distruzione di ciò che resta dello
stato sociale negli USA e un ulteriore assalto ai diritti democratici.
In
uno scenario segnato da una simile degenerazione politica, non è una
sorpresa che a farla da padrone sia stato Donald Trump, le cui
“proposte” non sono però in nessun modo eccezionali in ambito
repubblicano, visto che a fare la differenza con gli altri candidati
sono in gran parte solo i toni con cui vengono espresse piuttosto che i
contenuti.
Il ruolo di Trump in queste fasi iniziali della
campagna per le presidenziali del 2016, al di là delle sue effettive
chances di successo, sembra essere così quello di mostrare nella maniera
più cruda la vera faccia della classe politica e del capitalismo a
stelle e strisce, totalmente incapaci di fornire soluzioni alla crisi in
cui entrambi continuano a dibattersi disperatamente.
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