Ci sono anche 28.163 dipendenti del ministero dell'Educazione, per lo più insegnanti di scuole elementari e medie, tra i lavoratori statali licenziati oggi in una nuova ondata di maxi-purghe decisa in Turchia dal governo contro presunti appartenenti alla rete golpista guidata da Fethullah Gulen, predicatore e magnate che ha a lungo sostenuto dal suo esilio statunitense l’ascesa al potere di Erdogan per poi diventarne un acerrimo nemico da qualche anno.
Complessivamente, sono oltre 40 mila i dipendenti pubblici cacciati con 3 nuovi decreti dello stato d'emergenza, pubblicati oggi sulla Gazzetta Ufficiale. Tra gli epurati ci sono 1.519 lavoratori della Presidenza per gli affari religiosi (Diyanet), massima autorità islamica nel Paese, 2.018 dipendenti del ministero della Salute e 2.346 accademici del Consiglio per l'educazione superiore (Yok), che supervisiona le università.
Ad essere colpiti dalla repressione governativa sono anche altri 820 militari congedati dalle forze terrestri e navali dell'esercito, anch’essi accusati di essere affiliati alla rete di Fethullah Gulen, accusato da Ankara del fallito golpe del 15 luglio. Secondo quanto reso noto dal ministero della Difesa di Ankara, 648 dei soldati espulsi sono stati anche arrestati. Come se non bastasse i decreti governativi hanno ordinato anche l’espulsione di 7.669 agenti dalle forze di polizia.
Lo scorso 30 agosto l'ex capo della polizia di Istanbul, Huseyin Capkin, era stato arrestato nella località costiera turca di Cesme, in provincia di Smirne. Secondo i media turchi il provvedimento è stato deciso a seguito della testimonianza dell'ex governatore di Istanbul, Huseyin Avni Mutlu, finito in manette in precedenza.
Nelle liste di proscrizione figurano anche 24 governatori centrali, 323 membri della Gendarmeria (la Polizia militarizzata) e 2 ufficiali della guardia costiera.
La massima autorità giudiziaria turca (Hsyk) ha da parte sua annunciato la rimozione di altri 543 giudici e procuratori. Il numero dei magistrati cacciati dopo il fallito putsch del 15 luglio sale così a 3.390. Nei giorni scorsi un giudice turco, che in patria temeva di essere arrestato per supposti legami con i presunti organizzatori del fallito golpe, è riuscito ad approdare sulle coste dell'isola greca di Chios insieme a 6 rifugiati siriani a bordo di un barcone partito dalle coste turche.
Lo scorso 27 agosto un tribunale di Ankara ha ordinato l'arresto di tre ex diplomatici di alto livello, tra i quali un consigliere dell'ex presidente della Repubblica Abdullah Gul (esponente del Partito Giustizia e Sviluppo, al potere), per i loro presunti legami con Gulen. In custodia sono finiti Gurcan Balik, Ali Findik e Tuncay Babali.
Sul fronte del contrasto ai terroristi jihadisti, il Ministero degli Interni di Ankara ha annunciato l’arresto nella provincia di Gaziantep, nel sud-est al confine con la Siria, di tre sospetti che figuravano tra i membri dello Stato Islamico più ricercati nel Paese. Secondo i media locali, la figura di maggior spicco è Talha Gunes, chimico 'bombarolo' dei jihadisti, che avrebbe partecipato a diversi attentati. In manette sono finiti anche Abdulmuttalip Demir, su cui pendeva una taglia di 600 mila lire turche (circa 180 mila euro), e la moglie Gamze. In loro possesso sarebbero stati trovati 20 chili di tritolo, un giubbotto esplosivo e alcune armi. Il mese scorso, un attentato a un matrimonio curdo a Gaziantep, attribuito ai jihadisti di Daesh aveva provocato 56 vittime.
Ma le attenzioni delle autorità turche si concentrano anche sui giornalisti, in particolare su quelli troppo indipendenti e “impiccioni”. Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia che una giornalista statunitense, Lindsey Snell, fermata il 6 agosto scorso al confine turco-siriano, si trova attualmente in stato di detenzione nella provincia frontaliera di Hatay (Antiochia) con l'accusa di aver "violato una zona militare" entrando in Turchia dalla Siria senza autorizzazione. A renderlo noto è stato il portavoce del dipartimento di Stato Usa, John Kirby. Nei suoi ultimi messaggi sui social prima dell’arresto da parte della polizia turca, la reporter sosteneva di essere sfuggita a 10 giorni di prigionia nel nord della Siria, dove si sarebbe trovata nelle mani dei ribelli islamista di al Nusra.
Sono attualmente 110 i giornalisti attualmente detenuti in Turchia, arrestati in maggioranza durante lo stato di emergenza dichiarato dopo il fallito golpe del 15 luglio. Lo rivela l'osservatorio locale per la libertà di stampa P24, secondo cui 66 giornalisti sono finiti in manette con accuse di legami con la rete di Fethullah Gulen, accusato da Ankara del tentativo di colpo di stato. Altri sono stati arrestati in precedenza a causa delle loro inchieste sulla corruzione o sul sostegno del regime turco ai jihadisti che operano in Siria. La maggior parte dei giornalisti arrestati prima dell’entrata in vigore dello stato d’emergenza sono detenuti con l'accusa di "propaganda terroristica" a favore del Pkk. Si tratta, per lo più, di reporter dei quotidiani filo-curdi Ozgur Gundem e Azadiya Welat e dell'agenzia Dicle.
Invece l’ultima retata contro reporter accusati di aver sostenuto il fallito golpe del 15 luglio risale al 30 agosto, quando in manette è finito anche il direttore della versione online del quotidiano di centrosinistra Hürriyet. Insieme a Dincer Gokce sono stati arrestati anche altri otto giornalisti, fermati a Istanbul, Ankara e nella provincia di Kocaeli; si tratta di collaboratori o di ex collaboratori dei quotidiani Bugun, Radikal (di sinistra) e Yeni Safak, oltre che dell'ormai chiuso giornale gulenista Zaman. Oltre ai nove arresti, la procura di Istanbul ha emesso 35 mandati di arresto ma secondo i media turchi 18 sospetti hanno lasciato il paese e 8 sono ancora ricercati.
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