L’artista. Il drammaturgo. L’intellettuale. Il politico. Ci sarebbero tante espressioni per raccontare Dario Fo, il premio Nobel per la letteratura scomparso oggi a Milano a novant’anni. Di queste – ragiona lo storico Aldo Giannuli, intellettuale apprezzato tra i Cinque Stelle, che lo ha conosciuto e frequentato – l’ultima è da considerarsi la definizione meno azzeccata: “La testa politica è sempre stata sua moglie Franca Rame. Un’ortodossa
proveniente da una famiglia di teatranti, socialisti da tre generazioni
e comunisti da due. Dario, invece, era l’artista. L’ho sempre
considerata una sorta di divisione sociale del lavoro nella coppia“.
E dire, però, che la politica ha avuto un posto fondamentale nella
vita di Fo, come dimostrano i suoi ultimi anni spesi al fianco di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: “Tra
loro tre c’era un grande sintonia, che traspare chiaramente dal libro
che scrissero insieme in occasione delle europee del 2014 (Il Grillo canta sempre al tramonto. Dialogo sull’Italia e il Movimento 5 stelle,
edito da Chiarelettere)”. In quelle settimane Giannuli lo incontra per
l’ultima volta al comizio organizzato dai cinquestelle in Piazza a Duomo
a Milano per la chiusura della campagna elettorale. Si erano invece
conosciuti negli anni ’80 a Bari per l’organizzazione di uno spettacolo
di Fo, ma il loro rapporto si consolidò più avanti: “Tra il ’96 e il ’97 venne fuori dall’archivio della Via Appia (un deposito di documenti dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno) un po’ di materiale relativo al rapimento di Franca Rame. Gian Maria Bellu volle intervistarlo e andammo a trovarlo a casa sua. Da allora mi sono visto tante altre volte sia con lui che con Franca“.
Ma caratterialmente com’era? Giannuli si ferma, sospira e poi risponde: “Il
grande Dario Fo: matto ma geniale. In questo era molto simile a
Casaleggio. Quando eravamo tutti e tre insieme, li sfottevo e dicevo ad
entrambi: ‘Siete pazzi, ma vi vogliamo bene per questo’. Avevano questa
vena creativa esplosiva, eruttiva e contagiosa. Tra loro c’era una
grande attrazione caratteriale“. Lo storico descrive Fo come “un personaggio né aspro né autoritario“, “paterno nei confronti dei giovani” e “molto distratto, capace di dimenticarsi una cosa ogni due minuti“.
Artisticamente parlando, invece, era “un attore, un regista, uno
scenografo. Un ex allievo dell”Accademia di Belle Arti di Brera, autore
di disegni anche molto belli, come quelli messi in scena nel suo
spettacolo dedicato al caso Sofri-Marino (dal titolo Marino libero! Marino è innocente!)“. Una delle sue idee più geniali – racconta Giannuli – fu “la
creazione dell’Arci: l’intuizione di racchiudere in un’unica realtà
tutte le case del popolo, facendone la più grande associazione culturale
d’Italia con più di un milione di iscritti“.
Dario Fo si iscrive al Pci nel quale “lo tirò dentro Franca“, anche se “in lui ha sempre soffiato un certo vento d’anarchia“. Un vento che lo porta a rompere con il partito a causa di una serie di uscite pubbliche e di spettacoli teatrali: “Ad
esempio il suo celebre Mistero Buffo non è che fu molto gradito dal Pci
che in quel momento era impegnato in un difficile dialogo con i
cattolici“.
Qualche decennio dopo si trasformerà da comunista convinto a grande sostenitore del MoVimento 5 Stelle. Perché? “Dario
ha sempre avuto una grande sensibilità per le rivolte popolari. E’ un
tratto che lo accomuna a un certo pensiero anarchico e, per altre versi,
anche a quella tradizione letteraria italiana in cui l’eroe collettivo è
il popolo“. Un filone di cui facevano parte anche Pier Paolo Pasolini e Vasco Pratolini: “Una teoria che non va molto d’accordo con il marxismo, nel quale non c’è il popolo ma la classe“. Non è un caso – nota Giannuli – che Alberto Asor Rosa in uno dei suoi primi libri, Scrittori e popolo, l’abbia fortemente criticata definendola populista: “L’interlocutore privilegiato di Dario è sempre stato il popolo e, infatti, ha sempre guardato con simpatia ai movimenti“. Da queste convinzioni al M5S il passo è stato in fondo abbastanza breve: “Era
naturale che uno come lui – che ha sempre pensato alla rivolta popolare
come momento catartico di rifondazione del Paese – simpatizzasse con i
pentastellati“.
Un’adesione cui ha contribuito molto anche il rapporto di amicizia
nato in particolare con Casaleggio. La loro formazione culturale, però,
era totalmente diversa: “Gianroberto era più influenzato da quel
filone californiano che unisce democrazia diretta, spirito libertario,
spirito tecnologico-informatico e una spruzzata di liberismo. Tutto
mescolato insieme“. Idee a cui Fo era completamente estraneo: “Si schierava con la protesta, ma non lo definirei un libertario“. E perché no? Giannuli sorride e risponde: “Ebbe il mito della Cina di Mao Zedong. Insomma tanto libertario non poteva essere...“.
Amico di Casaleggio, ma amico anche di Grillo, con il quale – dice lo storico – “aveva innanzitutto alcuni odi in comune“. Il primo nei confronti della Rai da cui “entrambi sono stati cacciati“. Fo per uno sketch sulle morti bianche nel corso dell’edizione del 1962 di Canzonissima, Grillo, invece, più di vent’anni dopo, nel 1986, per una battuta contro Bettino Craxi scandita dal palco di Fantastico.
E proprio Craxi e il Psi erano le altre antipatie che accomunavano Fo e
Grillo. Oltre a quella per il Partito Democratico, che il premio Nobel
considerava “traditore della sinistra. Dopo gli anni ’70 perdonò in parte il Pci, ma per lui già il Pds era un orrore insopportabile“. E poi, li univa “l’amore
per lo spettacolo, per il palcoscenico. Nessuno dei due, però, è stato
un organizzatore politico. Il M5S è il frutto esclusivo di un’idea di
Gianroberto. Penso che Dario non l’abbia influenzata granché, ma che vi
abbia aderito con convinzione“.
Una simpatia ricambiata – quella nei confronti degli attivisti
pentastellati – nonostante i cinquestelle non possano certo considerarsi
un movimento che strizza l’occhio agli intellettuali: “Dario Fo era
di sinistra ed era indubitabilmente un intellettuale, ma ha sempre
parlato al popolo con un linguaggio diverso da quello dei tipici
intellettuali di sinistra. Con il suo teatro parlava a una platea
popolare in un modo estremamente semplice“. Un esempio? “Tutti
uniti! Tutti insieme! Ma scusa quello non è il padrone?, dei primissimi
anni ’70. Vi recitava Franca ma lo scrisse Dario. I toni dello
spettacolo sfioravano il comizio veemente, a volte addirittura
propagandistico. E lo stesso vale per Il Fanfani Rapito“.
C’è però anche dell’altro alla base della sintonia tra la galassia cinquestelle e Dario Fo. Giannuli la definisce “la polemica sulla disonestà dei governanti, considerati alla stregua di profittatori e parassiti“. Argomento – aggiunge lo storico – “che ha un fondo di verità“. “L’approccio, però, è un po’ troppo semplicistico. Le cose sono più complesse di quanto non vengano descritte“, commenta ancora.
Ma, in conclusione, c’è qualcosa che il M5S deve a Dario Fo? E se sì, che cosa? “Dario
ha esercitato un forte ruolo di accreditamento a sinistra del
movimento. Non è stata una cosa da poco. L’elettorato dei cinquestelle è
eterogeneo, ma la parte principale – lo zoccolo duro che ha consentito
l’exploit delle politiche 2013 – è formata da ex elettori dell’Italia
dei Valori, di Rifondazione Comunista e del Pd“.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento